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Vescovi dell'Amazzonia: non solo il Covid sta sterminando  i popoli indigeni e la Madre Terra

Vescovi dell'Amazzonia: non solo il Covid sta sterminando i popoli indigeni e la Madre Terra

Si rivolge alla società civile mondiale, ai governi, alla Chiesa cattolica, a tutte le confessioni religiose e agli uomini di buona volontà che si preoccupano della Creazione l’allarme lanciato dalla Repam (Rete Ecclesiale Panamazzonica composta da 9 Paesi della regione: Brasile, Venezuela, Guyana francese, Guyana britannica, Suriname, Colombia, Ecuador, Perù e Bolivia) per l'enorme "onda d'urto" che si sta abbattendo sulle popolazioni indigene e il bioma dell'area stretta tra la morsa della pandemia che colpisce esseri umani molto vulnerabili e l'aumento incontrollato della violenza nei territori. A firmare l'appello il presidente, il vicepresidente della Repam, rispettivamente i cardinali Claudio Hummes, Pedro Barreto Jimeno e il segretario esecutivo Mauricio López.

Troppe le criticità nella grande area: in Bolivia mancano quel coordinamento e quella consultazione con i popoli indigeni che aiuterebbero nella lotta contro la pandemia; i vescovi della Colombia sottolineano che «gli indigeni, i contadini e gli afro-discendenti sono i gruppi più a rischio, perché si trovano già in una situazione di povertà strutturale, in condizioni di insicurezza alimentare e malnutrizione, senza accesso al sistema sanitario e all’acqua potabile»; in Venezuela le popolazioni indigene si sentono minacciate da un possibile contagio attraverso le attività minerarie illegali e il passaggio di migranti venezuelani di ritorno; In Brasile, 32 Procuratori del Ministero Pubblico Federale 4 dichiarano che esiste il rischio di genocidio delle popolazioni indigene è concreto per mancanza di azioni di emergenza, mentre la Mobilitazione Nazionale Indigena denuncia che c’è «una chiara intenzione del governo di impedire il funzionamento del Sottosistema Sanitario Indigeno»; in Perù l’allarme è per gli indigeni emigrati nelle città in cerca di lavoro totalmente indifesi e per i quali i vescovi dell’Amazzonia peruviana sollecitano le autorità a sostenere il loro ritorno nelle comunità secondo i protocolli stabiliti dal Ministero della Salute.

La denuncia della Repam (v. Vatican News, 18/5) non si ferma all’analisi del pericolo dovuta alla diffusione del Covid-19 fra i popoli indigeni, perché esistono situazioni che condizionano pesantemente la vita degli abitanti originari dell’Amazzonia, quali il setacciamento dell'oro, la deforestazione illegale delle terre indigene, gli omicidi dovuti a conflitti rurali, per l'84% in Brasile. Inoltre per il Guyana i vescovi denunciano i progetti di legge che consentono e regolarizzano le estrazioni favorendo l’accaparramento delle terre, la deforestazione e legittimando le occupazioni illegali da parte dell’agro-industria; e per l’Equador ricordano che la rottura dell'oleodotto trans-ecuadoriano e dell'oleodotto di Crudos Pesado che hanno causato una grave fuoriuscita di petrolio e ha colpito circa 97mila persone che vivono sulle rive dei fiumi Coca e Napo. E nell'Amazzonia brasiliana   i vescovi prefigurano una immensa tragedia umanitaria per un collasso strutturale e parlano dell’incessante retorica politica del governo federale contro la protezione dell’ambiente e delle aree indigene tutelate dalla Costituzione federale.

«Per la sua attività di denuncia, la Chiesa - aggiunge la Repam - è stata calunniata e attaccata, come è successo di recente con le vergognose e infondate accuse, che noi respingiamo, della Fondazione Nazionale Indigena (FUNAI, organo del governo federale brasiliano) contro il Consiglio Missionario Indigeno (CIMI) organo della Conferenza episcopale brasiliana».

L’appello, dunque, termina con il richiamo al Documento post-sinodale sull’Amazzonia dove afferma che la strada del futuro passa per l’abbandono dell’«economica che uccide» e il rinnovamento dei rapporti ispirati all'ecologia integrale. O sarà sterminio della Madre Terra.

*foto tratta da ambientebio.it, immagine originale e licenza

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