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Cambiamo mira, investiamo nella pace

Cambiamo mira, investiamo nella pace

ROMA-ADISTA. Un appello alle strutture ecclesiali e ai cattolici a non depositare i propri soldi nelle “banche armate”, gli istituti di credito che sostengono l’export italiani di armi (cosa che invece accade regolarmente, come dimostrato da un’inchiesta di Adista, n. n. 22/20). È contenuto in un editoriale congiunto firmato da p. Mario Menin (direttore di Missione Oggi), p. Filippo Ivardi Ganapini (direttore di Nigrizia), p. Alex Zanotelli (direttore di Mosaico di pace) e mons. Giovanni Ricchiuti (vescovo di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti, presidente nazionale di Pax Christi), che riportiamo di seguito.

 

Ognuno di noi – affermava il teologo fiorentino Enrico Chiavacci – ha il diritto e il dovere di sapere dove mette i propri soldi e a che cosa quei soldi servono: “è un dovere morale, fondamentale per tutti”. Senz’altro per un cittadino della nostra Repubblica, che “ripudia la guerra”.

A maggior ragione per un cristiano. Come potrebbe, infatti, un discepolo di Gesù di Nazaret, maestro della nonviolenza, proclamata nelle Beatitudini, depositare i soldi in una banca che investe nel mercato delle armi?

Papa Francesco nel Messaggio di Pasqua ha affermato che “non è questo il tempo in cui continuare a fabbricare armi, spendendo ingenti capitali che dovrebbero essere usati per curare le persone e salvare vite”.

Il governo italiano nel 2019 ha speso ben 27 miliardi di euro in armi, 72 milioni al giorno! Nello stesso anno, ha autorizzato la vendita di armi per cinque miliardi di euro. Spesso in deroga alla Legge 185 del 1990 che proibisce di vendere armi a paesi dove i diritti umani sono violati o in guerra, come l’Arabia

Saudita, cui l’Italia vende bombe usate nello Yemen. In barba alla stessa Legge il nostro paese sta vendendo due fregate Fremm all’Egitto per un valore di 1,2 miliardi di euro. Per non citare le tante

altre armi vendute all’Egitto, usate anche per la repressione interna (con migliaia di prigionieri politici, tra cui lo studente dell’Università di Bologna Patrick Zaki, in carcere da oltre quattro mesi). La tortura e l’omicidio di Giulio Regeni fanno parte di questa sanguinosa repressione dell’attuale regime egiziano, che è restio a collaborare all’indagine giudiziaria italiana.

Tutto questo giro d’affari avviene attraverso le banche.

Sempre grazie alla Legge 185, il Parlamento è tenuto a dar conto ogni anno dell’export italiano di armi,

indicando anche le operazioni bancarie delle aziende armiere e le relative banche.

Nel 2019 ai primi due posti si confermano Unicredit e Deutsche Bank. Al terzo posto Barclays Bank. Al quarto e quinto posto altrettanti istituti italiani: Popolare di Sondrio e Intesa San Paolo. A seguire Commerz Bank, Credit agricole, Banca Nazionale del Lavoro, Bnp Paribas Italia e Banco Bpm. Sono le prime dieci “banche armate” in Italia.

L’appello “Cambiamo mira! Investiamo nella pace, non nelle armi” lanciato dalle nostre riviste e dal movimento Pax Christi nel 20° anniversario della Campagna di pressione alle “banche armate” è

rivolto a ogni cristiano/a, ma anche a ogni cittadino/a della nostra Repubblica che “ripudia la guerra”. Ci appelliamo a ogni comunità cristiana, parrocchia, diocesi, congregazione religiosa, istituto missionario, convento, monastero e, perché no, a ogni scuola e università cattolica.

Ma ci preme indirizzare il nostro appello anche ad ogni Comune, Provincia e Regione della Repubblica,

tutte istituzioni provviste di una tesoreria, che ha il “dovere morale” di sapere dove mette i propri soldi e a che cosa servono.

Purtroppo per tanti anni, dopo il lancio della campagna, come cristiani e come cittadini siamo rimasti

sordi a questo appello. A tutti oggi ritorniamo a chiedere di scrivere ai direttori della propria banca, manifestando la volontà di non accettare che i soldi depositati vengano investiti in armi. Se migliaia

di cittadini, insieme a tante istituzioni religiose e civili, facessero questo gesto, potremmo ottenere straordinari risultati nell’impegno per la pace nel mondo.

Ci incoraggia il fatto che anche i vescovi italiani in un recente documento (La chiesa cattolica e la gestione delle risorse finanziarie con criteri etici di responsabilità sociale, ambientale e di governance) abbiano invitato a “individuare processi di conversione delle capacità produttive di armi in altre produzioni a usi non

militari” (4.2.3).

Come cristiani e come cittadini abbiamo l’obbligo di modificare le strutture economico-finanziarie che

producono morte. Cambiamo mira, investiamo nella pace!

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