
Giustizia: un anno di riforme incoerenti con botto finale
Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 44 del 24/12/2022
L’anno appena trascorso è stato tutto un susseguirsi di tentativi ambiziosi di grandi riforme in tema di giustizia giocate sotto l’onda di indirizzi politici contrastanti e incoerenti. Il ministro della Giustizia del governo Draghi, Marta Cartabia, ha sferzato gli uffici legislativi, le commissioni e le aule parlamentari per tenere fede alla promessa di realizzare gli ambiziosi obiettivi e i gravosi impegni che l’Italia si è presa con il PNRR anche per la giustizia. Ridurre i tempi del 40% nel settore civile e del 25% nel penale, eliminare il 90% dell’arretrato. Nel settore penale è stata messa in cantiere una grande riforma del processo penale, del sistema sanzionatorio (dei reati e delle pene), ed è stata introdotta per la prima volta ...in Italia anche una disciplina organica della giustizia riparativa. Questa maxiriforma, dopo una lunghissima gestazione è sfociata in un decreto legislativo emanato il 10 ottobre, in pieno rigor mortis del Governo Draghi. Subito dopo il 31 ottobre il nuovo Governo con il decreto dedicato a criminalizzare i rave party, ne ha bloccato l’entrata in vigore fino al 30 dicembre 2022. Ed è probabile che a questa data sia di nuovo rinviato, sia perché non sono state approntate le risorse necessarie per far funzionare la macchina giudiziaria, appesantita di nuovi oneri, sia perché molti degli orientamenti espressi dalla riforma Cartabia stridono con gli orientamenti del nuovo ministro della giustizia Nordio.
Contestualmente, con una legge approvata il 17 giugno (L.71/22) è stata impostata anche una riforma dell’ordinamento giudiziario e riscritte le regole di funzionamento del Consiglio Superiore della Magistratura, le cui elezioni sono state rimandate a settembre per consentire l’applicazione delle nuove regole. Il flop dei referendum sulla giustizia promossi da Lega e Radicali, svoltisi il 12 giugno, non ha impedito l’approvazione di una separazione quasi totale fra le carriere dei pm e quelle dei giudici contenuta nella riforma Cartabia dell’ordinamento giudiziario. Col pretesto dell’obbligo di ridurre i tempi del processo è stato resuscitata un’invenzione, poi abortita, dell’ultimo governo Berlusconi: la perenzione (estinzione, ndr) del processo.
Su questo terreno è apparso nella maniera più evidente il carattere “bipolare” della politica sulla giustizia. Da un lato il populismo penale, di cui sono stati alfieri i 5Stelle con la legge cosiddetta “spazzacorrotti”, che (fra le altre cose) ha disposto la cessazione del decorso della prescrizione dopo la sentenza di primo grado, dall’altro lato, l’insofferenza per il controllo di legalità di larga parte del ceto politico, che ha portato a reintrodurre una sorta di prescrizione anomala attraverso la perenzione del processo. Superato il termine di durata di due anni in appello e di un anno in Cassazione, il processo penale sparirà e gli eventuali responsabili non potranno essere condannati, né perseguiti in altro modo. Adesso che si è insediato un nuovo governo, dalle comunicazioni alle Camere del ministro della Giustizia Nordio il 5 e il 6 dicembre, emerge in modo chiarissimo la resurrezione del progetto Berlusconi sulla giustizia, che sinora ha camminato sottotraccia. Le nuove condizioni politiche consentono di superare i compromessi e le mezze misure della riforma Cartabia e di attaccare direttamente il sistema dell’indipendenza della magistratura come concepito dalla Costituzione.
Due sono i punti principali d’attacco annunziati dal ministro Nordio: la separazione delle carriere e la discrezionalità dell’azione penale. È curioso che Nordio affermi che: «l’obbligatorietà dell’azione penale (sancita dall’art. 122 Cost.) si è tradotta in un intollerabile arbitrio». In realtà è vero il contrario, l’arbitrio si verificherebbe se l’azione penale fosse affidata a scelte discrezionali dei pm o di altri. L’obbligatorietà è garanzia di eguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge. Gli effetti negativi dell’eccessiva rigidità di questo principio sono stati già opportunamente ridimensionati dalla riforma che ha introdotto il principio della non punibilità per particolare tenuità del fatto. La separazione delle funzioni fra pm e magistrati giudicanti, è stata già sperimentata al massimo grado con la riforma Cartabia.
Se Nordio insiste su questo punto è perché pensa a una riforma della Costituzione che stacchi definitivamente il Pubblico Ministero dalle garanzie che assicurano l’indipendenza dell’ordine giudiziario, trasformandolo in un super-poliziotto. Questo consentirebbe un controllo o almeno una forte influenza del potere politico sull’attività del Pubblico Ministero.
Manomettere il Pubblico Ministero è lo snodo imprescindibile per neutralizzare l’indipendenza della magistratura e modificare in senso autoritario il governo di un paese. Nella Repubblica Democratica Tedesca, la Costituzione garantiva l’indipendenza dei magistrati giudicanti, però nessun Tribunale ha mai processato i vopos (polizia popolare, ndr) per gli omicidi di coloro che tentavano di espatriare. Come avrebbero potuto, essendo il Pubblico Ministero un funzionario governativo?
Poiché le riforme costituzionali non si possono realizzare immediatamente, il ministro della Giustizia ha annunciato dei provvedimenti utili per deprimere l’efficacia del controllo di legalità, soprattutto nei confronti dei reati dei colletti bianchi. Il principale è una drastica riduzione della possibilità di ricorrere alle intercettazioni.
Vale la pena di ricordare che le intercettazioni sono un mezzo di ricerca della prova. Per alcuni reati come la corruzione, dove sia il corrotto che il corruttore condividono il medesimo interesse a occultare la propria condotta, le intercettazioni sono lo strumento principale per accertare i fatti criminosi. Eliminarle o ridurle comporta un inevitabile allargamento dell’area di impunità. Il corpo a corpo fra il ceto politico e il sistema di indipendenza della magistratura, iniziato 30 anni fa con la stagione di tangentopoli, è giunto a un tornante decisivo.
Riuscirà il governo Meloni a porre fine allo scandalo del “potere diviso?
Domenico Gallo è presidente di Sezione emerito, Corte di Cassazione
Adista rende disponibile per tutti i suoi lettori l'articolo del sito che hai appena letto.
Adista è una piccola coop. di giornalisti che dal 1967 vive solo del sostegno di chi la legge e ne apprezza la libertà da ogni potere - ecclesiastico, politico o economico-finanziario - e l'autonomia informativa.
Un contributo, anche solo di un euro, può aiutare a mantenere viva questa originale e pressoché unica finestra di informazione, dialogo, democrazia, partecipazione.
Puoi pagare con paypal o carta di credito, in modo rapido e facilissimo. Basta cliccare qui!