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Se la scuola corre con l’esercito: riflessioni critiche sulla militarizzazione dell’educazione

Se la scuola corre con l’esercito: riflessioni critiche sulla militarizzazione dell’educazione

CASERTA-ADISTA. Oggi, a Caserta, si è svolta la XXII edizione della manifestazione “Flik Flok… di corsa con i bersaglieri”, un evento organizzato dalla Brigata Bersaglieri “Garibaldi” che ha visto la partecipazione attiva di centinaia di studenti, anche delle scuole dell’Agro aversano. La corsa, presentata come un’iniziativa sportiva e inclusiva, è stata accolta con entusiasmo da dirigenti scolastici e docenti, che ne hanno esaltato il valore educativo. Eppure, dietro la retorica della legalità, della solidarietà e dell’inclusione, si cela un nodo più problematico: la crescente presenza delle forze armate all’interno dei percorsi educativi scolastici.

La scuola è – o dovrebbe essere – uno spazio autonomo, libero da condizionamenti ideologici e capace di formare cittadini critici, non soldati obbedienti. L’interazione costante con corpi militari, anche attraverso eventi apparentemente neutri come una corsa, normalizza la presenza dell’esercito nella vita quotidiana dei giovani, legittimando implicitamente un modello educativo basato su gerarchia, disciplina e obbedienza.

Che il tutto venga mascherato da “educazione ai valori” rende l’operazione ancora più insidiosa: il rischio è che si scambi la disciplina per addestramento, la solidarietà per spirito di corpo, e il rispetto per autorità non negoziabile.

Le dichiarazioni dei docenti partecipanti parlano chiaro: l’evento è stato un “laboratorio a cielo aperto sui valori”, un’occasione per vivere “la civiltà del vivere comune”. Ma ci si chiede: non ci sono forse altri contesti più adatti e civili per promuovere questi stessi valori senza la presenza simbolica – e concreta – delle forze armate?

L’inclusione, la solidarietà e la legalità sono obiettivi condivisibili, ma non hanno bisogno di una cornice militare per essere coltivati. Al contrario, l’accostamento costante tra questi concetti e l’ambiente militare finisce per saldare nella mente dei giovani un legame pericoloso tra cittadinanza attiva e appartenenza a un sistema gerarchico, armato e fondato sull’addestramento.

In un mondo attraversato da conflitti, guerre e militarismi crescenti, la scuola ha il dovere di educare alla pace, alla cooperazione e alla risoluzione nonviolenta dei conflitti, non di allinearsi simbolicamente – o peggio, ideologicamente – all’apparato militare dello Stato.

Promuovere attività fisiche, sportive e inclusive è senza dubbio positivo. Ma farlo sotto l’egida di un corpo militare, celebrandone i rituali e il linguaggio, rischia di compromettere l’autonomia educativa della scuola e di spingere verso una “pedagogia del patriottismo armato”, lontana dagli ideali democratici e pluralisti che la scuola pubblica dovrebbe rappresentare.

La partecipazione degli studenti a eventi organizzati dall’esercito non è un fatto neutro. È una scelta politica. E come tale, dovrebbe essere discussa, problematizzata e valutata con senso critico – soprattutto da chi ha la responsabilità di formare le future generazioni.

La scuola italiana ha bisogno di strumenti, di spazi, di tempo per coltivare conoscenze e coscienze libere. Non di caserme travestite da palestre civiche.

 

* Arturo Formola è docente di Sociologia generale presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose Interdiocesano, Capua

Foto di Cristian Ferronato da Pixabay

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