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RDC e M23 siglano un accordo: ma è solo l'inizio di un percorso tutto in salita

RDC e M23 siglano un accordo: ma è solo l'inizio di un percorso tutto in salita

Il processo di dialogo tra i ribelli filoruandesi del Movimento 23 Marzo/Alleanza Fiume Congo (M23/AFC) e il governo della Repubblica Democratica del Congo (RDC), avviato a Doha, sotto la mediazione di Qatar e il supporto di USA e Unione Africana, aveva portato le parti in guerra a siglare, il 19 luglio dopo tre mesi di trattative, una “Dichiarazione di principi”, una road map negoziale che avrebbe dovuto condurre a un accordo di pace globale ad agosto scorso. Tappa, però, bucata a causa delle numerose violazioni del cessate il fuoco, dei brutali attacchi ai civili e dei rimpalli di accuse reciproche tra miliziani ribelli ed esercito congolese.

M23 e RDC hanno infine siglato un framework a Doha il 15 novembre scorso: non si tratta ancora di un accordo di pace globale e definitivo, ma di un impegno politico in otto punti che definisce passaggi negoziali su cessate il fuoco, integrità territoriale e sovranità congolese sulle zone occupate dall’M23, scambio dei prigionieri, rientro dei profughi, garanzie di sicurezza per i civili, accesso degli aiuti umanitari, gestione concordata delle risorse minerarie dell’Est Congo.

In quanto semplice dichiarazione d’intenti non vincolante, l’accordo sembra per molti analisti un contentino offerto in pasto a opinioni pubbliche e comunità internazionale, destinato a naufragare così come le altre iniziative volte a porre fine alla trentennale crisi della regione.

Ricorda anche la rivista Africa che «durante le pause nei negoziati, sia l’Afc/M23 sia Kinshasa hanno rafforzato le proprie posizioni militari: il gruppo ribelle continua a reclutare e consolidare il controllo dei territori, mentre il governo si arma, anche con l’uso di droni, aumentando il rischio di un ritorno a scontri più violenti. La situazione umanitaria nell’Est del Paese rimane critica: l’Afc/M23, sostenuto dal Ruanda secondo Kinshasa, è uno dei più di cento gruppi armati attivi, e i combattimenti hanno generato circa sette milioni di sfollati, con le Nazioni Unite che definiscono la crisi tra le più gravi al mondo».

* Foto di aboodi vesakaran su Unsplash

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