
Caro Padre Raffaele Nogaro...
Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 29 del 02/08/2025
Caro padre Raffaele, talvolta ho l’impressione che una parte di Chiesa che ha scelto il potere e i privilegi si sia trovata nelle condizioni del giovane ricco di cui parla il Vangelo, e di fronte all’invito a lasciare tutto, per seguire il Maestro, abbia preferito «modificare l’opera sua», secondo l’espressione del Grande Inquisitore narrato da Dostoevskij, adattandola nel tempo ai modelli degli imperi di ieri e di oggi. Lei, invece, sembra quel giovane discepolo che sulla riva del lago, alla voce del Maestro, lascia padre, barca, lavoro, e si mette a seguirlo, sapendo di non poter contare nemmeno su una pietra dove posare il capo. Mi domando come sia stato possibile mantenere questa rotta, rifiutare la via del potere e del privilegio. Quanto le sia costata in termini di emarginazione e solitudine questa sua radicale obbedienza al Vangelo. Lei non era presente il 16 novembre 1965 alle Catacombe di Domitilla (era ancora un giovane prete nel suo Friuli) dove una minoranza di vescovi, guidati da Helder Camara e José Maria Pires, firmavano un appello rivolto «ai fratelli nell’episcopato» in cui li invitavano a realizzare per primi quella “Chiesa dei poveri” indicata da Giovanni XXIII.
Dei vescovi italiani solo uno firmò quel “Patto delle Catacombe”: Luigi Bettazzi, che arrivò alla vigilia dei suoi cent’anni fedele a quel sogno. Eppure lei, padre Raffaele, sembra uno dei pochi che hanno incarnato quel modello profetico di Chiesa.
Nel Patto era scritto: «Rifiutiamo di essere chiamati, oralmente o per scritto, con nomi e titoli che significano grandezza e potere. Preferiamo essere chiamati con il nome evangelico di Padre». Cosa che lei ha fatto. E ancora: «Nel nostro comportamento, nelle nostre relazioni sociali, eviteremo quello che può sembrare un conferimento di privilegi, priorità, o anche di una qualsiasi preferenza, ai ricchi e ai potenti (es. banchetti offerti o accettati, nei servizi religiosi)». Quando è stato mandato come vescovo nel Sud, a Caserta, ha scelto quella terra come la sua “patria”, meglio, come sua “matria”, vivendo con il suo popolo un patto di amicizia, una fedeltà più forte della morte. Lei, padre Raffaele, è andato oltre, quando nella sua lotta alla camorra ha cercato di bonificare una Chiesa facile agli inchini e ai compromessi. Basti pensare alla sua difesa della memoria di don Peppino Diana, assassinato dalla camorra. La sua distanza da ogni potere e da ogni collateralismo, il rifiuto per sé e la Chiesa di ogni privilegio e concessione, ha segnato tutta la sua vita, 90 anni di radicale mitezza (cfr. il libro a cura di Sergio Tanzarella). La domanda che ci si può porre è: perché questo modello di Chiesa che lei ha incarnato non è stato assunto dai suoi fratelli vescovi? Perché Nogaro, Tonino Bello, Luigi Bettazzi, Giancarlo Bregantini, Carlo Maria Martini, sono rimasti “eccezioni” da celebrare, magari da “canonizzare” ex post, ma il cui messaggio non ha destabilizzato il palazzo del potere clericale? Perché invece il modello del cardinale Ruini preoccupato dell’“irrilevanza della Chiesa” ha inciso sulla struttura lungo il tempo e di fatto ha sfornato negli anni molti vescovi? Papa Francesco a Firenze aveva rivolto queste parole alla CEI: «Mi piace una Chiesa italiana inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti. (…) Sognate anche voi questa Chiesa, credete in essa, innovate con libertà». Invitando alla fine ad avere anche quel senso di autoironia che le gerarchie di solito non hanno. Anche Francesco avrà questo destino di essere “celebrato” “canonizzato”, per essere di fatto marginalizzato e dimenticato?
Grazie, padre Nogaro, per la sua profezia. Non basta alzare sepolcri ai profeti, sulle cui lastre levigate camminare poi indisturbati. Bisogna riconoscerli da vivi i profeti, accogliendo il loro mite, rivoluzionario vento. Il nostro grazie lo esprimiamo con le parole del suo conterraneo friulano e amico David Maria Turoldo: E vai, / vai leggero -. /dietro il vento / e il sole / e canta. / Vai di paese in paese / e saluta / saluta tutti / il nero, l’olivastro / e perfino il bianco. / Canta il sogno del mondo: /che tutti i paesi / si contendano / d’averti generato.
*Foto presa da Unsplash, immagine originale e licenza
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