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Ai fratelli vescovi nell’anno del Giubileo e del Sinodo

Ai fratelli vescovi nell’anno del Giubileo e del Sinodo

ROMA-ADISTA. Cari fratelli vescovi, si avvicina l’appuntamento del 25 ottobre, data della 3° assemblea sinodale, e crescono le aspettative sul documento che saremo chiamati a votare, la cui preparazione vi vede coinvolti insieme al Comitato e ai facilitatori dei gruppi di lavoro.

Tra i tanti temi emersi in questi anni di cammino, ce ne sono alcuni, come la pace, che creano meno problemi all’interno della Chiesa perché difficilmente ci si divide su questi, e ce ne sono altri più divisivi, come la questione donne e persone LGBT+ nella Chiesa, temi più scomodi perché richiedono di rivolgere lo sguardo verso noi stessi e il coraggio dell’autocritica. Se è bene valorizzare ciò che ci unisce, penso anche che sia arrivato il momento di trovare il coraggio di confrontarci su ciò che ci divide. E in parte credo sia avvenuto nel percorso sinodale. D’altra parte Gesù non le sfuggiva le questioni divisive, e non perché non avesse a cuore l’unità. Le divisioni le voleva superare, ma facendole emergere e senza compromessi al ribasso.

L’anno in cui si concluderà il Sinodo è anche l’anno del Giubileo. Se questa contemporaneità di eventi non è casuale il documento che uscirà non potrà non essere segnato, e segnato fortemente da ciò che è successo nella giornata del 6 settembre, quando la comunità LGBT+, insieme a tante persone, preti, suore e genitori di figli e figlie LGBT+, ha attraversato la porta santa, passando su quella stessa piazza dove ventisette anni fa uno scrittore omosessuale si era dato fuoco, come gesto estremo di protesta per denunciare l’omofobia della Chiesa. Anche mio marito ed io, genitori di un ragazzo gay, eravamo con loro.

Una giornata iniziata con la celebrazione nella Chiesa del Gesù, presieduta da mons. Francesco Savino. Un applauso lungo e liberatorio ha seguito le sue parole nell’omelia, in cui, riallacciandosi al significato del Giubileo nella tradizione ebraica - l’anno della restituzione delle terre a coloro a cui erano state sottratte, della remissione dei debiti e della liberazione degli schiavi e dei prigionieri, il tempo in cui liberare gli oppressi e restituire la dignità a coloro a cui era stata negata – ha detto: “Fratelli, sorelle, lo dico con emozione: è l’ora di restituire dignità a tutti, soprattutto a chi è stata negata”.

Mi ha colpita il numero di preti, tra quaranta e cinquanta, che hanno concelebrato. Alcuni li conosco, da anni lavorano con persone LGBT+, altri no. All’inizio, mentre attraversavano la navata centrale verso l’altare in due lunghe file, pensavo: hanno imparato da questa comunità, da secoli emarginata, disprezzata, umiliata, il coraggio del coming out, di uscire allo scoperto, di esporsi, di metterci la faccia. Anche senza parole, la loro presenza lì diceva: io ci sono, sono con voi. Qualcuno tra i presenti piangeva. Un canto accompagnava quel momento: “Veniamo da te, chiamati per nome. / Che festa, Signore, tu cammini con noi. ….. / E noi tuo popolo siamo qui”.

Ed era davvero festa… Viene da pensare alle feste che concludono le tre parabole del Vangelo di Luca, che Gesù racconta a chi lo criticava, a colpi di versetti biblici, per ciò che faceva e per le sue frequentazioni: quelle della pecora e della moneta perdute e quella dei due fratelli. Messe insieme nello stesso capitolo, quasi a voler coprire l’intera casistica: la pecora non si sa se si sia persa o no per colpa sua, la moneta non si è certo persa per colpa sua, nell’ultima parabola è chiara invece la colpa di chi si è smarrito. In nessuna delle tre parabole poi si parla di pentimento di chi si è perso. Se la moneta non saprebbe di cosa pentirsi, la colpa semmai è di chi se l’era persa, il figlio che se n’era andato ne avrebbe motivo, ma si preoccupa solo di prepararsi il discorso per essere riammesso nella casa del padre. 

Gesù sembra voler dire: lasciamo stare le colpe, intanto facciamo festa per esserci ritrovati, poi si vedrà… L’ultima parabola si chiude con l’invito del Padre al figlio maggiore ad entrare alla festa. La conclusione però manca, non si sa se quell’invito sarà accettato o no. Il 6 settembre è iniziata una grande festa, i fratelli e le sorelle LGBT+ ci sono entrati. Lasciamo che quella festa arrivi in tutte le diocesi e che le storie delle persone LGBT+ cambino i nostri sguardi e i nostri cuori. Perché questo anno di Giubileo sia davvero tempo di riconciliazione e restituzione della dignità a coloro a cui è stata negata.

La conclusione della parabola la possiamo scrivere noi nel documento che uscirà dal Sinodo. A noi decidere se il fratello maggiore entrerà alla festa.

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