Sergio Carrarini: pane e Vangelo
Se n’è andato improvvisamente, mentre si stava preparando a fare la cosa più bella che gli piaceva e che sapeva fare con creatività, sincerità e competenza, cioè condividere la Parola delle Scritture con la gente.
Sergio Carrarini era uno storico prete operaio di Verona, biblista “senza cattedra”, resistente nella sua profezia evangelica e nella sua fedeltà al Concilio Vaticano II. Era diventato prete nel 1969, in piena rivoluzione culturale, quando De Andrè scriveva la “Buona Novella”, Dario Fo il “Mistero buffo”, Ignazio Silone “Le avventure di un povero cristiano”. Era il tempo dell’emancipazione femminista e della partecipazione della classe operaia al cambiamento della società. Nel 1973 insieme ai suoi compagni preti operai: Luigi Forigo, Corrado Brutti e Piergiorgio Morbioli, aveva dato vita insieme a un gruppo di donne e uomini liberi e responsabili alla Comunità della “Madonnina” a San Giovanni Lupatoto, nella parte industriale della periferia veronese. Sergio era un “omone” grande, ma con il cuore di “fanciullo”, con una predisposizione alle relazioni, al bene comune e con un grande senso dell'umorismo. Prima era stato operaio presso un mulino della zona, poi aveva lavorato alle tossicodipendenze, negli anni in cui l’AIDS era causa di emarginazione sociale e culturale e di uno strisciante moralismo, anche da parte di una certa Chiesa puritana. Poi lavorerà in una cooperativa con donne e uomini con disabilità e con problematiche psichiche. Questa sua parabola di “operaio del vangelo” racconta il suo modo di concepire la vita e la sua idea di Chiesa. Mai sopra gli altri, le altre, sempre insieme. Mai a calare la verità dall’alto, ma la ricerca, fatta di gioia e di fatica, di trovarla insieme. Non verità come dogma da imporre, regola moralizzante da pretendere, ma verità come relazione, persona, mistero insondabile e non imprigionabile.
Raccontava quando un suo compagno di lavoro al mulino si era presentato inaspettatamente in chiesa la domenica, per vedere se quello “strano operaio” predicasse quello che il giorno dopo avrebbe vissuto sul lavoro. Sergio, a forza di raccontare il Vangelo, ne sembrava lui stesso un personaggio. Raccontava le parabole del Vangelo attraverso quelle che aveva vissuto nella vita: quanti figli che erano andati via di casa nel tunnel della droga; come era difficile contribuire a rendere possibili gli abbracci tra padri, madri e figli, figlie, come quello del Vangelo di Luca. E quanti Bartimeo, Cananea, Zaccheo, aveva incontrato nei molti e molte emarginati, tagliati fuori dalla vita, dalla società e perfino dalla Chiesa. Era stato anche responsabile nazionale dell'Associazione dei preti del Prado. Aveva autorevolezza, carisma, credibilità, ma non fu mai valorizzato dalla Istituzione ecclesiastica. Avrebbe potuto essere rettore del seminario o, come si dice, “padre spirituale" dei seminaristi, aiutandoli a uscire dalla nicchia tossica e clericale in cui era facile rifugiarsi, ma non accadde mai. Sembra che quelli che hanno nel sangue un forte “tasso” di utopia evangelica siano esclusi da alcuni posti nella gerarchia ecclesiastica. D’altra parte “troppo Vangelo” ha sempre messo in crisi la Chiesa, che preferisce da sempre persone “incensurate” che non si sono mai troppo esposte, alzando la testa e la voce per la causa degli ultimi. Era successo anche a uno dei suoi maestri, don Luigi Adami, profeta e teologo senza cattedra.
Un mese fa, al funerale di uno dei suoi compagni preti operai, Luigi Forigo, altro maestro e profeta del Vangelo, aveva tracciato un profilo dell’amico. A un certo punto aveva ricordato che il cardinale Zuppi aveva invitato a Bologna un gruppo di preti operai per parlare del loro contributo al rinnovamento della Chiesa italiana. Si era fermato a quel punto, e voltandosi verso il vescovo di Verona Pompili che presiedeva il rito, aveva detto con un’inconfondibile cadenza veneta: “Domenico? Cosa dici? Meglio tardi che mai!”.
Sergio parlava spesso in dialetto e in fondo la sua traduzione dei salmi su cui aveva lavorato a lungo e dei racconti evangelici era il suo testardo tentativo di rendere la Parola accessibile a tutti, mai escludente, capace di risvegliare la coscienza e la libertà di pensare e di agire nella società e nella Chiesa. È stato un teologo della liberazione a suo modo, cercando di liberare prima di tutto la teologia, cioè il modo di pensare Dio. Ha avuto a cuore il messaggio politico del Vangelo, come fucina di liberazione e di giustizia. È stato un uomo coraggioso Sergio, sincero come il vino buono delle nostre terre, fragrante come il pane del suo antico mulino.
Grande e grosso com'era, era riuscito a farsi così piccolo da passare, alla fine, come il suo maestro don Milani, dalla cruna di un ago…
* Foto tratta dal sito Grillonews.it
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