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Caso Shanin. Evangelici italiani: «Siano prioritari il dialogo e la tutela dei diritti umani»

Caso Shanin. Evangelici italiani: «Siano prioritari il dialogo e la tutela dei diritti umani»

ROMA-ADISTA. Il Consiglio della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei) chiede l’annullamento del provvedimento amministrativo che ha colpito l’imam della comunità islamica di Torino, Mohamed Shanin, attualmente in stato di fermo al Centro di permanenza per il rimpatrio di Caltanissetta e in attesa di essere espulso in Egitto.

«La richiesta è legata a due motivazioni», si legge nella nota della Fcei. «Anzitutto, per quanto gravi possano essere le azioni contestate, la Corte di Cassazione ha ribadito che il diritto italiano vieta l’estradizione in un paese dove il soggetto rischia la pena di morte. L’imam è stato colpito da un provvedimento amministrativo che tuttavia rischia di aggirare i distinguo e le garanzie del processo penale. Riteniamo che la tutela della vita della persona debba essere preoccupazione prioritaria della Repubblica. Con l’occasione ricordiamo che da quasi dieci anni le autorità egiziane si sono dimostrate opache e complici rispetto alla morte di Giulio Regeni, torturato e ucciso quasi dieci anni fa. La memoria di Regeni dovrebbe essere ragione sufficiente per evitare qualunque ipotesi di estradizione o espulsione in Egitto, almeno finché le condizioni non cambino. In secondo luogo, pur giudicando le parole dell’imam Shanin riportate dalla stampa gravemente e profondamente sbagliate e mistificatorie della realtà, riteniamo che le opinioni sbagliate debbano essere contrastate con parole per noi giuste, non con la forza del privilegio di cittadinanza. Non possiamo accettare la discriminazione secondo cui una persona di cittadinanza italiana abbia maggior libertà di espressione rispetto a persone straniere residenti nel nostro paese, o che possa difendersi in un processo civile o penale con tutte le garanzie della legge mentre una persona straniera possa essere espulsa con un provvedimento amministrativo.

Le frasi riportate dalla stampa farebbero dubitare che le posizioni dell’imam siano quelle di un uomo del dialogo. Rimane la questione di vedere se noi, persone di fede cristiana, possiamo aspirare a essere definiti donne o uomini del dialogo, nel caso in cui l’imam venga abbandonato al suo destino in Egitto, senza che abbiamo detto o fatto qualcosa per impedirlo. I toni e i modi in cui viene trattato questo caso rappresentano l’ennesima raffigurazione di un corto circuito, per il quale l’osteggiata “informalità” della fede musulmana è anche frutto della mancanza di una specifica intesa. Questo ci invita a sottolineare, ancora una volta, l’urgenza di una legge quadro sulla libertà religiosa, grande assente nell’agenda politica degli ultimi anni.

Nel rilevare queste contraddizioni, ci troviamo insieme alle molte voci che convergono nella mobilitazione contro le espulsioni “facili”.  Fra queste voci, quella del nostro partner ecumenico di lunga data, il vescovo Derio Olivero. Sarebbe bello poter dire “prima gli italiani”, o “prima i cristiani”, nel senso di essere noi i primi a dare il buon esempio per la tutela dei diritti».

 

Foto di Pexels da Pixabay

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