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60 anni fa la Ciesa cattolica e la Chiesa ortodossa abolirono le reciproche scomuniche. L'anniversario celebrato a Venezia

60 anni fa la Ciesa cattolica e la Chiesa ortodossa abolirono le reciproche scomuniche. L'anniversario celebrato a Venezia

Son passati 60 anni da quel 1965 quando, nel Concilio Vaticano II, il papa Paolo VI e il patriarca di Costantinopoli Atenagora condivisero l’abolizione delle reciproche scomuniche tra cattolici e ortodossi, che sigillarono lo Scisma d'Oriente, ovvero la separazione tra la Chiesa cattolica (occidentale) e la Chiesa ortodossa (orientale) avvenuta nel 1050. Le dispute teologiche che originarono lo scisma vertevano soprattutto su due questioni: il primato papale e il “Filioque” (la controversia teologica riguardava la processione dello Spirito Santo: la Chiesa cattolica aggiunse nel Credo niceno la frase «e dal Figlio» (Filioque), mentre la Chiesa ortodossa sosteneva che lo Spirito Santo discendesse solo dal Padre).

Ieri, 2 dicembre, il card. Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, ha celebrato a Venezia l’anniversario, presenti, riferisce VaticanNews, il metropolita d’Italia ed esarca dell’Europa Meridionale, Polykarpos, e il patriarca di Venezia Francesco Moraglia, vescovi sacerdoti, autorità e fedeli. L’incontro si è svolto dapprima nella chiesa di San Zaccaria, che custodisce il corpo di sant’Atanasio di Alessandria che contribuì alla formulazione del simbolo di Nicea, e poi si è conclusa nella vicina chiesa di San Giorgio dei Greci che fa di riferimento per la locale comunità ortodossa e che ha, tra le sue opere d’arte, un’antica e preziosa icona del Cristo Pantocratore del XIV secolo, trasportata a Venezia da Costantinopoli prima della caduta dell’impero bizantino. Significativo che l’anniversario sia stato ricordato a Venezia, città dei ponti e città ponte tra Oriente e Occidente.

L’anniversario, ha detto il cardinal presidente, «ci riporta ai giorni nostri: il viaggio di Papa Leone XIV e l’incontro con il patriarca Bartolomeo I, le parole della Dichiarazione comune che ci hanno consegnato, confermano questo nostro incontro. Non è un caso che papa Leone abbia scelto di compiere il suo primo viaggio apostolico nella terra che è legata inscindibilmente alle origini del cristianesimo e oggi richiama i figli di Abramo e l’umanità intera a una fraternità che riconosca e apprezzi le differenze».

Dal canto suo, il patriarca di Venezia Moraglia ha definito quella del 1965 «una pietra miliare nel cammino ecumenico e un invito permanente a rinnovare, con fede e coraggio, la ricerca dell’unità tra le nostre Chiese sorelle. Venezia è una città che dell’ideale ecumenico fa una sua peculiare vocazione. Il nome stesso di Venezia in latino è Venetiae, al plurale: un plurale nel quale riconosciamo, insieme alle molte isole che la compongono, anche la sua specifica natura d’incontro tra le molte culture, popoli ed esperienze religiose. Qui le differenze non si sono cancellate ma incontrate. L’incontro è parte della stessa profonda identità di Venezia. E questa vocazione ecumenica, che appartiene alla storia e alla cultura della città, può oggi diventare segno profetico per il nostro tempo in cui l’umanità avverte nuovamente necessità di ponti, di riconciliazione, di pace. Possiamo dire che Venezia oltre ad essere un luogo è un modo d’essere». Moraglia ha affermato che l’annunciazione del Signore, che si festeggia il 25 marzo, per coincidenza la data convenzionale di fondazione della città, «è il paradigma dell’incontro, l’immagine più alta del dialogo vero: un incontro fatto di ascolto, accoglienza, disponibilità alla volontà di Dio. L’Annunciazione, allora, diventa per noi icona e scuola di dialogo. guardare a Maria significa anche guardare con speranza al futuro dell’ecumenismo: un futuro che non nasce da strategie o da equilibri umani, ma dal sì fiducioso alla Divina Provvidenza».

«La portata storica e spirituale dell’evento del 1965, non si limitava al piano strettamente ecclesiastico: esso rappresentò un modello di dialogo in un mondo ancora segnato dalle contrapposizioni della Guerra fredda», ha affermato il metropolita Polykarpos citando Giovanni XXX quando dichiarò: «Ciò che ci unisce è molto più forte di ciò che ci divide». A partire da quell’incontro, una serie di gesti simbolici consolidò la nuova fraternità. «Questo progressivo riavvicinamento – ha seguitato il metropolita – non fu un atto di mera cortesia diplomatica, ma l’espressione di un mutamento profondo nella teologia del dialogo: Roma e Costantinopoli cominciarono a concepirsi non più come rivali, ma come Chiese sorelle di comuni radici, chiamate a testimoniare insieme la fede cristiana nel mondo moderno». 

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