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COLOMBIA: LA PACE NON È PIÙ UN MIRAGGIO. LE REAZIONI ALL’AVVIO DEI NEGOZIATI TRA GOVERNO E FARC

Tratto da: Adista Notizie n° 33 del 22/09/2012

36848. BOGOTÁ-ADISTA. È un concreto spiraglio di pace quello che si è aperto in Colombia con l’annuncio dell’avvio di un negoziato tra il governo e le Farc. Come stabilisce l’Accordo preliminare “per la fine del conflitto e la costruzione di una pace stabile e duratura” - firmato il 26 agosto all’Avana al termine di una serie di incontri esplorativi iniziati, nel più assoluto riserbo, il 23 febbraio scorso -, le trattative prenderanno il via ad Oslo il prossimo 15 ottobre per proseguire poi all’Avana (con la mediazione di Norvegia e Cuba e l’accompagnamento di Venezuela e Cile). E affronteranno i nodi di uno sviluppo agrario integrale (nodo centralissimo, essendo la questione della terra tra le cause più immediate del conflitto), delle garanzie per l’opposizione (con la trasformazione della guerriglia in movimento politico), della fine del conflitto armato (attraverso il cessate il fuoco e il progressivo disarmo), dello smantellamento del narcotraffico e dei diritti delle vittime.

Una notizia, quella dell’inizio delle trattative, salutata con grande favore in Colombia, con la pressoché unica nota discordante dell’ex-presidente Álvaro Uribe e dei suoi seguaci, convinti della necessità di porre fine alla guerra attraverso l’annientamento militare della guerriglia (sulla base della cosiddetta dottrina della sicurezza democratica, finanziata con i dollari del Plan Colombia); e ben accolta in tutto il mondo, dai Paesi della regione fino all’Unione Europea e agli Stati Uniti, con l’ovvia eccezione dei falchi repubblicani, oltretutto disturbati dal ruolo di Cuba come Paese mediatore («La pace attraverso qualsiasi mezzo e a qualunque costo non è vera pace», ha tuonato la parlamentare cubano americana Ileana Ros-Lehtinen). La notizia dell’avvio del negoziato (a cui è stato invitato a partecipare anche l’Eln, l’Esercito di Liberazione Nazionale, che ha già espresso la propria disponibilità) è stata ripresa anche da Benedetto XVI, il quale, dopo l’Angelus del 9 settembre a Castel Gandolfo, ha espresso la speranza «che quanti prendono parte a tale iniziativa si lascino guidare dalla volontà di perdono e di riconciliazione, nella sincera ricerca del bene comune».

Una mano tratta, l’altra spara

La strada, tuttavia, è realmente disseminata di ostacoli di ogni tipo, a cominciare dalla mancata proclamazione di un cessate il fuoco bilaterale come pure dal rifiuto del governo di dar vita ad una zona smilitarizzata in cui portare avanti il negoziato, come avvenuto nel precedente, e fallito, tentativo di accordo tra il governo di Andrés Pastrana e le Farc, a San Vicente del Caguán, nel 1999 (prima ancora, nel 1984, si era giunti a un cessate il fuoco tra la guerriglia e il governo di Belisario Betancur e alla creazione di una coalizione di sinistra chiamata Unione Patriottica, prima che i gruppi paramilitari ne massacrassero, uno dopo l’altro, tutti i leader).

Che al presidente Juan Manuel Santos (già intransigente ministro della Difesa del governo Uribe) piacerebbe passare alla storia come il presidente che ha pacificato la Colombia – considerando il prestigio internazionale che gliene deriverebbe – non dovrebbero esserci dubbi (dopo il suo annuncio del 27 agosto sulle trattative con la guerriglia, la sua popolarità, che era scesa al minimo storico, è salita subito di 3 punti percentuali). Ma che voglia prima di tutto essere sicuro, in caso di fallimento delle trattative, di cadere in piedi, soprattutto nell’ottica della sua possibile rielezione, pare ancora più evidente. Non a caso, non solo ha escluso che si possa arrivare a un cessate il fuoco prima della firma di un accordo di pace, ma ha anche ordinato, nel frattempo, di intensificare l’offensiva contro le Farc, le quali invece si sono espresse chiaramente a favore di una sospensione dei combattimenti. «Abbiamo delineato questo processo – ha per l’appunto dichiarato Santos – in modo tale che, in caso di fallimento, il Paese non abbia nessun costo da pagare, o un costo bassissimo. Per questo non abbiamo accettato il cessate il fuoco e non abbiamo voluto abbassare la guardia sul fronte della sicurezza», mantenendo «il controllo su ogni centimetro del nostro territorio»  (tant’è che, subito dopo il suo annuncio sull’avvio del negoziato, l’esercito bombardava un accampamento delle Farc en Catatumbo, con un saldo di vari morti, senza contare la campagna di aggressioni e arresti di massa in corso contro espressioni popolari come la Marcia Patriottica).

Ha ragione dunque uno dei portavoce delle Farc, Rodrigo Granda, a riconoscere che «nulla sarà facile in questo processo», anche se, ha aggiunto, «non esiste niente che non si possa discutere e a cui non si possa trovare una soluzione». E, in un video trasmesso durante la conferenza stampa tenuta all’Avana, il capo dello stato maggiore delle Farc, Timoleón Jiménez, detto Timochenko, ha evidenziato come la guerriglia affronti il negoziato «senza rancori», ma anche senza rinunciare ai principi fondamentali che hanno determinato la sua lotta. Già da tempo, peraltro, le Farc (come pure l’Eln) avevano espresso la propria disponibilità al dialogo, rispondendo alle richieste avanzate in tal senso da diverse organizzazioni della società civile, e proceduto a liberare, nell’aprile del 2012, gli ultimi ostaggi. Ma la risposta del governo non era sembrata molto incoraggiante (v. Adista nn. 68 e 94/11). Il presidente, infatti, si era detto disposto a dare inizio a un processo di pace purché la guerriglia fornisse prove concrete della sua buona volontà - come se la disponibilità ad impegnarsi per una soluzione pacifica e diplomatica del conflitto non costituisse già una prova concreta - precisando che, fino ad allora, i combattenti non avrebbero potuto che aspettarsi «il carcere o la tomba». 

La chiave della pace

Decisivo in ogni caso sarà il ruolo della società civile colombiana, le cui pressioni per una soluzione negoziata al conflitto armato (aspirazione, questa, che, secondo la Ruta Pacífica de Mujeres, la principale rete di organizzazioni di donne della Colombia, sarebbe condivisa dal 75% della popolazione) sono risultate determinanti al fine di creare un ambiente propizio per l’avvio delle trattative. Lo ha espresso chiaramente anche Timochenko: «La chiave della pace non si trova nella tasca del presidente e neppure in quella del capo guerrigliero. Il vero depositario è il popolo di questo Paese». E lo ha sottolineato l’Eln, evidenziando come solo attraverso la partecipazione attiva delle organizzazioni sociali sarà possibile giungere ad una pace «reale, stabile, duratura e profonda, che superi le cause che hanno originato e alimentato il conflitto e che colmi i sogni e le aspirazioni di tutti». Ma, soprattutto, lo rivendicano le diverse espressioni popolari colombiane, come emerge da una lettera che diverse organizzazioni hanno inviato a Santos, alle Farc e all’Eln, per chiedere spazi precisi in cui discutere le proprie proposte, in termini di difesa del territorio, di rispetto per gli ecosistemi, di riforma dell’apparato giudiziario, di politica abitativa… E in un appello dal titolo “È ora di fermare la guerra. È l’ora della pace”, un ampio e variegato gruppo di movimenti sociali (dal Consejo Regional Indígena del Cauca a Colombianos y Colombianas por la Paz, dalle Chiese - presbiteriana, luterana, menonita - al Partito Comunista Colombiano, dall’Unión Sindical Obrera alla Ruta Pacifica de las Mujeres) sottolinea la necessità di «permettere che le aspirazioni della società trovino espressione nel quadro dei negoziati», come unica via per «conferire una reale legittimità al processo e stabilire le basi per una pace sostenibile». «Questo processo di pace – si legge nell’Appello – deve prevedere una sezione di colloqui regionali, che ci permettano di partecipare in maniera autonoma e diretta: non sono solo la Norvegia e Cuba a fornire lo scenario per la pace, ma anche i nostri territori nel Cauca e in generale tutti i territori ancestrali». È dunque l’ora della mobilitazione e dell’azione collettiva, il momento di «creare spazi per la partecipazione e la concertazione»: «La chiave della pace ci appartiene, la responsabilità è di tutti e di tutti lo sforzo. Che nessuno resti in silenzio». (claudia fanti)

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