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Se anche l’Uomo ragno diventa un problema. La battaglia della Chiesa contro l’“ideologia di genere”

Tratto da: Adista Documenti n° 23 del 21/06/2014

DOC-2631. PARIGI-ADISTA. A Cloe piace l’Uomo Ragno e dunque non ha dubbi: la cartella con la quale metterà piede alle elementari sarà proprio quella del suo supereroe preferito. Le difficoltà però iniziano subito. Prima ci si mette il cartolaio che pensa che lo zainetto sia per il fratello. Poi è la volta dei compagni di scuola che la prendono in giro, facendole chiaramente capire che quella non è una cartella “da femmina”. All’uscita di scuola Cloe è arrabbiata, e quella cartella non la vuole più. 

Le avventure della piccola Cloe, che vorrebbe essere come un maschietto perché «i maschi possono fare tutto», ce le racconta Giorgia Vezzoli nel suo Mi piace Spiderman… e allora? (2013, ed. Settenove) regalandoci un piccolo spaccato della sua quotidianità di genitore alle prese con i condizionamenti che una società come la nostra, così intrisa di stereotipi di genere, instilla fin dalla più tenera età. Cloe infatti somiglia parecchio a Emma, sua figlia, e la storia della cartella “sbagliata” è effettivamente avvenuta, in una scuola del bresciano, nel settembre del 2012. Avrebbe potuto aver luogo altrove e probabilmente è successo: perché le barriere che ostacolano il pieno sviluppo dell’individualità e della personalità dei bambini e delle bambine, e degli adulti che diventeranno, sono sempre all’opera e incontrano inaspettati sostenitori. Come la Chiesa cattolica, che ormai da tempo ha fatto sua, in Italia e non solo, la battaglia contro quella che ha ribattezzato “ideologia di genere”.

Il caso più eclatante nel nostro Paese è stato quello dei tre opuscoli contro omofobia, bullismo e discriminazione realizzati dall’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali  (istituito nel 2003 presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per le Pari Opportunità), in collaborazione con l’Istituto Beck, e destinati agli insegnanti delle scuole primarie, secondarie di primo grado e di secondo grado. Bloccati sul nascere dopo le polemiche cui aveva dato la stura il quotidiano dei vescovi. Persino il card. Angelo Bagnasco, durante il Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana del marzo scorso, ha preso di mira l’iniziativa dell’Unar, rea, secondo il presidente della Cei, di istillare nei bambini «preconcetti contro la famiglia».

Lungi dal voler distruggere la famiglia, i gender studies sono in realtà uno strumento fondamentale per analizzare le relazioni tra i sessi in tutta la loro complessità e alla luce dei contesti storico-sociali. «Senza comportare una determinata, particolare definizione della differenza tra i sessi – evidenzia la Società Italiana delle Storiche – la categoria consente di capire come non ci sia stato e non ci sia un solo modo di essere uomini e donne, ma una molteplicità di identità e di esperienze, varie nel tempo e nello spazio».

Una ricchezza, quella derivante da questo approccio, di cui potrebbero beneficiare anche la teologia e la morale cristiane. Una speranza sulla quale punta il francese Anthony Favier – docente di Storia e animatore del blog Penser le genre catholique, incentrato sulla ricezione del femminismo e del concetto di “genere” nel cattolicesimo – in un intervento pubblicato sul magazine La Vie des idées nel marzo scorso. Perché se è vero che il Magistero negli anni ha complessivamente condannato il “genere” e anche vero che esistono, in Francia come altrove, interessanti intrecci che andrebbero valorizzati. 

Vi proponiamo ampi stralci dell’intervento di Favier, in una nostra traduzione dal francese.

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