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In Brasile va in scena la “Repubblica giudiziaria”. E i movimenti gridano al golpe

In Brasile va in scena la “Repubblica giudiziaria”. E i movimenti gridano al golpe

Tratto da: Adista Notizie n° 12 del 26/03/2016

38495 BRASILIA-ADISTA. Si stringe sempre più, in Brasile, l'assedio contro il governo del Partito dei Lavoratori (Pt). Se, per uscire dall'angolo in cui lo ha spinto l'offensiva politico-giudiziario-mediatica delle destre, il Pt ha tentato la carta della nomina di Lula come ministro della Casa Civile (una sorta di capo di gabinetto), subito è scattata, in mezzo a scontri tra manifestanti a favore e contro il governo, la sentenza provvisoria che la sospende, emessa dal giudice federale Itagiba Catta Preta Neto con la motivazione che tale nomina interferirebbe con l'azione giudiziaria, garantendo l'immunità parlamentare all'ex presidente coinvolto nell'inchiesta Lava Jato sulle tangenti legate al colosso petrolifero statale Petrobras. È quanto, secondo le opposizioni, emergerebbe dall'intercettazione – illegale e non autorizzata, eppure tempestivamente trasmessa ai media – di una telefonata in cui la presidente Dilma Rousseff comunica a Lula che gli avrebbe mandato il decreto della sua nomina da usare «in caso di necessità». Intercettazione che è stata interpretata dal governo e dalle forze che lo sostegnono come l'ennesimo segnale della guerra scatenata dall'élite contro il Pt: «Dobbiamo essere coscienti che è in corso un colpo di Stato, organizzato dagli stessi gruppi e media che hanno tramato nel 1964», dichiara non a caso il teologo Leonardo Boff, invitando a esercitare la massima vigilanza in difesa di una democrazia «conquistata con il sacrificio di tante persone imprigionate, sequestrate, assassinate ed esiliate dalle forze della repressione». Ha preso la parola anche lo storico e teologo José Oscar Beozzo, denunciando, in una lettera inviata al Forum dei lettori dell'Estado de São Paulo, la divulgazione da parte del giudice Sérgio Moro, titolare dell'inchiesta Lava Jato, «dell'intercettazione telefonica illegale»: «Si è scambiato l'esercizio della giustizia nei confronti di un indagato, chiunque egli sia, con il linciaggio pubblico attraverso i mezzi di comunicazione, si è sostituito il giudizio di un tribunale con il verdetto delle strade e lo Stato di diritto con l'arbitrio di un giudice che doveva garantirlo».

Contro Lula, con ogni mezzo

Era del tutto prevedibile che contro la nomina di Lula si scagliassero le opposizioni, troppo preoccupate di veder sfumare l'agognata visione dell'ex presidente operaio in manette e spaventate da un possibile rimescolamento del quadro politico in grado di vanificare la loro strategia: quella di minare l'enorme popolarità che l'ex presidente conserva in ampie fasce della popolazione brasiliana per scongiurarne la candidatura nel 2018. Perché esattamente a questo mirava tanto l'accompagnamento coatto subito il 4 marzo dal leader del Pt (condotto negli uffici della polizia federale all'aeroporto di Congonhas per un interrogatorio), quanto la richiesta di arresto preventivo, con l'accusa di falso ideologico e riciclaggio, avanzata contro di lui dalla Procura di São Paulo (per il presunto occultamento della proprietà di alcuni immobili, tra cui un attico a Guarujà intestato all'impresa di costruzioni Oas, che l'ex presidente avrebbe acquistato a un prezzo di favore). Che l'accompagnamento coatto disposto dal giudice Sérgio Moro fosse immotivato, possono esserci infatti ben pochi dubbi: come evidenziato, tra molti altri, dal prestigioso giurista Fábio Konder Comparato (Portal Vermelho, 6/3), «il fermo di una persona, soprattutto ai fini di una deposizione, può avvenire solo in casi estremi, come quello di fuga o di rifiuto a testimoniare. Che non è il caso dell'ex presidente». Ciò che serviva, evidentemente, era un grande show mediatico: obiettivo perseguito con grande cura, dai titoli strillati sulle denunce dell'ex senatore Delcidio rispetto al presunto coinvolgimento di Lula nello scandalo, fino all'operazione «pirotecnica», come l'ha descritta lo stesso ex presidente, condotta da 200 membri della polizia federale presso il suo domicilio e all'Istituto Lula.    

Né esistono dubbi sul fatto che, rispetto alla richiesta di arresto preventivo, le argomentazioni fossero molto più politiche che giuridiche. A cominciare dalla frase del documento della Procura che ha scatenato l'ironia delle reti sociali: «L'attuale condotta di Lula, il quale aveva emozionato il Paese» diventando, nel gennaio del 2003, il primo “presidente operaio”, «farebbe senza dubbio vergognare Marx ed Hegel», dove il riferimento era chiaramente ad Engels, autore insieme a Marx del Manifesto del Partito Comunista. Per finire con il timore che l'ex presidente possa scatenare «tutta la sua violenta rete di appoggio per evitare che il processo segua il suo corso naturale», attraverso «minacce alle vittime e ai testimoni» e inquinamento delle prove.

Certamente, come evidenzia, tra molti altri, Antonio Martins (Outras Palavras, 4/3), «le rivelazioni dell'inchiesta Lava Jato non sono invenzioni nate dalla fertile immaginazione del giudice Sérgio Moro», avendo il Pt ereditato e riprodotto le pratiche di corruzione da sempre vigenti nello Stato brasiliano. Ma tali pratiche non riguardano di sicuro solo il Pt: lo scandalo della Petrobras investe anche gli altri partiti, dal Pmdb al Psdb, coinvolgendo gli stessi presidenti di Camera e Senato, Eduardo Cunha e Renan Calheiros, entrambi avversari della presidente Rousseff ed entrambi risparmiati da quella che non a caso è stata definita come “Repubblica giudiziario-mediatica”. Cosicché quella in corso non è «una crociata moralizzatrice» contro i corrotti (i quali, nessuno lo nega, devono tutti essere giudicati e puniti), ma, secondo Martins, «una campagna che usa la bandiera della lotta alla corruzione come strumento per ottenere, bypassando il dibattito democratico, obiettivi che non si potrebbero raggiungere in altro modo». Lo scopo, insomma, come afferma Leonardo Boff, non sarebbe altro che quello «di distruggere Lula e di liquidare il Pt», per scongiurare il pericolo «che Lula torni a completare le politiche che hanno beneficiato le grandi maggioranze, restituendo loro coscienza e dignità». Ed è proprio per questo che il teologo, in una lettera aperta all'ex presidente, gli aveva chiesto in maniera accorata di entrare a far parte della squadra di governo, in maniera da favorire, con la sua autorevolezza e la sua capacità di mediazione, «una soluzione politica e sociale in grado di salvare la nostra fragile democrazia e garantire continuità alle misure sociali umanizzatrici». Misure che il governo di Dilma Rousseff – sempre più considerato indifendibile anche da chi, a sinistra, non gli ha mai negato il sostegno – si è ormai lasciato alle spalle, adottando un'agenda politica di chiaro segno neoliberista e così sacrificando, scrive ancora Martins, «tutto ciò che di più positivo c'era nel lulismo: la modesta (ma effettiva) ridistribuzione di ricchezza; una politica estera indipendente (che tanto ha infastidito Washington); il tentativo di rilanciare un progetto di sviluppo (legato sì a vecchi paradigmi, ma non sottomesso all'aristocrazia finanziaria)». In questo quadro, l'ingresso di Lula nel governo – giudici permettendo – dovrebbe, auspica Martins (Outras Palavras, 14/3), rappresentare «il segno di un completo cambio di direzione, di un recupero dell'impegno a favore delle maggioranze e di una ripresa del dialogo con i movimenti», i soli in grado di arrestare l'offensiva conservatrice in atto, vanificando il procedimento di impeachment aperto il 2 dicembre contro la presidente Dilma (per presunte irregolarità nei conti pubblici), in una riedizione di quel colpo di Stato parlamentare già sperimentato con successo in Paraguay, nel 2012, contro il presidente Fernando Lugo.

L'involuzione del Pt

C'è anche chi, tuttavia, non sembra aspettarsi più molto dal Pt e da Lula. Pur denunciando gli abusi del potere giudiziario e riconoscendo che i due mandati di Lula e il primo di Dilma sono stati i migliori della storia brasiliana, Frei Betto sostiene, per esempio, che «il Pt ha afferrato il violino del potere con la mano sinistra per suonare con la destra», erodendo i «tre simboli dell'identità del partito»: l'organizzazione della classe lavoratrice, l'etica in politica, la realizzazione di riforme strutturali.  

E più duro ancora è il sociologo Raúl Zibechi (Brecha, 14/3), secondo cui il lulismo «non ha la forza morale per affrontare l'offensiva dell'oligarchia, non avendo difeso, quando avrebbe dovuto farlo, le vittime dello stesso sistema che ora lo condanna», come gli abitanti delle favelas assassinati e perseguitati nell'indifferenza o con la complicità dei dirigenti del Pt. Cosicché, gli fa eco la scrittrice e documentarista Eliane Brum (El País, 14/3), se Lula e il Pt hanno ragione a denunciare gli abusi giudiziari, ciò non può far dimenticare che questo governo, dando prova peraltro di una «cecità socioambientale» ancora più criminale in tempi di cambiamento climatico, «ha messo i militari al servizio della Norte Energia (il consorzio cui è stata affidata l’esecuzione della centrale idroelettrica di Belo Monte, ndr) durante l'occupazione del cantiere da parte di indigeni, ribeirinhos e movimenti sociali di Altamira, e lo stesso è avvenuto nella repressione dei munduruku che protestavano contro la costruzione di dighe sul Rio Tapajós». Né può cancellare la repressione e l'arresto dei manifestanti durante le proteste contro i Mondiali di calcio del 2014 o «l'abominio della legge sull'antiterrorismo» che Dilma Rousseff si appresta a firmare.

Ma, al di là di tutti gli errori commessi dal governo e dal Pt, la gravità della crisi, come sottolinea la Direzione nazionale del Movimento dei Senza Terra in un messaggio ai militanti, obbliga tutte le forze popolari a «scendere in strada», lottando in difesa della democrazia e dei diritti dei lavoratori ed esigendo cambiamenti nella politica economica. Così, in risposta alle massicce mobilitazioni a favore dell'impeachment e dell'arresto di Lula promosse il 13 marzo in 22 Stati e nel Distretto Federale, sono in corso nel momento in cui scriviamo (18 marzo), in tutte le capitali e le città più importanti, manifestazioni popolari a difesa della democrazia. E il 31 marzo tutte le forze popolari scenderanno in strada contro ogni tentativo di golpe, ma anche contro la riforma previdenziale, l'aggiustamento fiscale e i tagli alle spese sociali. 

* Immagine di Fabio Rodrigues Pozzebom/ABr, tratta dal sito WikiMedia Commons. Licenza e immagine originale. La foto è stata ritagliata. Le utilizzazioni in difformità dalla licenza potranno essere perseguite

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