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Un dono e un risarcimento: sorpresa e soddisfazione per la nomina a cardinale di Rosa Chávez

Un dono e un risarcimento: sorpresa e soddisfazione per la nomina a cardinale di Rosa Chávez

Tratto da: Adista Notizie n° 21 del 03/06/2017

38976 CITTÀ DEL VATICANO-ADISTA. Definirla una sorpresa è dire poco: la nomina a cardinale di mons. Gregorio Rosa Chávez (v. notizia precedente), vescovo ausiliare di San Salvador fin dal 1982, ha lasciato di stucco un po' tutti, considerando che, almeno in tempi moderni, non era mai successo che fosse un vescovo ausiliare a ricevere la porpora cardinalizia. E il più sorpreso è stato proprio il diretto interessato, che, raggiunto alle 5 di mattina da una telefonata proveniente dalla Spagna che gli comunicava la notizia dell'annuncio del papa, aveva pensato inizialmente a uno scherzo, per poi dedicare la nomina a mons. Oscar Romero (di cui il vescovo è stato amico e collaboratore). «Un regalo totalmente immeritato e inatteso», ha dichiarato ai giornalisti il vescovo salvadoregno. 75 anni il prossimo 3 settembre, quindi prossimo alle dimissioni per raggiunti limiti d'età, dicendosi «felice per il Paese, poiché le buone notizie sono così poche» e aggiungendo che, come ringraziamento, avrebbe presieduto la messa nella chiesa in cui è stato assassinato Romero e poi si sarebbe recato nella cripta in cui riposano i suoi resti mortali. Tra le innumerevoli felicitazioni giunte a Rosa Chávez, che, con il Concistoro del 28 giugno, diventerà il primo cardinale nella storia del Paese, non potevano mancare quelle del governo salvadoregno, che ha ricordato «i contributi inestimabili» offerti da mons. Arturo Rivera y Damas e da Rosa Chávez, all'epoca suo ausiliare, al processo di dialogo che «ci ha permesso di arrivare alla firma degli Accordi di Pace nel 1992».

Al di là dell'ovvio omaggio alla figura di mons. Romero che la nomina rappresenta, si tratta in realtà di un dono tutt'altro che immeritato, e anche di una sorta di risarcimento: nel 1995, allorché tutti si aspettavano che sarebbe stato chiamato proprio lui a succedere a mons. Rivera y Damas, di cui condivideva la linea pastorale, Giovanni Paolo II aveva scelto invece un uomo dell'Opus Dei, lo spagnolo Fernando Sáenz Lacalle, rompendo clamorosamente con la tradizione di un'arcidiocesi impegnata per più di 50 anni, con Luis Chávez y Gonzáles, Romero e Rivera y Damas (con i necessari distinguo fra i tre) a favore delle maggioranze povere. Era iniziata così, con implacabile decisione, una ristrutturazione in chiave ferocemente conservatrice della diocesi che era stata di San Romero d'America, diretta a sradicare tutte le "erbe cattive" legate in qualsiasi modo alla Teologia della Liberazione. 

In questo quadro, Rosa Chávez, il successore naturale di Rivera y Damas rimasto vescovo ausiliare dell'arcidiocesi, era stato nominato dall'arcivescovo opudeista parroco di San Francisco, nella capitale salvadoregna («precisamente la stessa che mons. Romero affidò al suo ausiliare mons. Revelo», dichiarò all'epoca ad Adista Sáenz Lacalle, probabilmente non senza ironia, considerando quanto fossero problematici i rapporti di Romero con il suo ausiliare conservatore). E, in quella veste, e in quel difficile contesto della Chiesa salvadoregna, Rosa Chávez aveva rappresentato un faro per tutti coloro che erano impegnati a preservare la memoria dell'arcivescovo martire e a portarne avanti la linea profetica. Continuando per esempio – in decisa controtendenza rispetto alle posizioni filo-governative di Sáenz Lacalle, quando a governare era ancora Arena, il partito di estrema destra fondato dal maggiore Roberto D'Aubuisson, il mandante dell'omicidio di Romero – ad alzare la voce in difesa della verità, denunciando l'impoverimento crescente della popolazione, la debolezza delle politiche sociali e anche il ricorso alle forze armate per combattere la criminalità, inadeguato, secondo il vescovo, a rimuovere le cause reali, e strutturali, della spirale crescente di furti, crimini, sequestri e assassini: «A che ci serve avere più poliziotti se la gente sta morendo di fame e sta vivendo in condizioni infraumane?», affermava il vescovo (v. Adista n. 56/99), invitando, al contrario, a un approccio in chiave di  «“sicurezza umana”, un concetto nuovo che implica essenzialmente che le persone abbiano il necessario per vivere».

Quando poi, finalmente, era arrivato per mons. Fernando Sáenz Lacalle, nel 2008, il momento della rinuncia per raggiunti limiti d’età, erano stati quasi 300 i preti salvadoregni che avevano scritto all'allora prefetto della Congregazione per i vescovi card. Giovanni Battista Re, per tracciare il profilo ideale del nuovo arcivescovo di San Salvador (v. Adista n. 14/08), chiedendo che fosse salvadoregno di nascita, appartenente al clero diocesano e in possesso di una certa esperienza di lavoro pastorale parrocchiale e che mostrasse una spiccata sensibilità verso i poveri e gli esclusi e una spiritualità di comunione: tutti requisiti soddisfatti in pieno dalla figura del vescovo ausiliare. Ma, per la seconda volta, il Vaticano aveva deciso di silurare Rosa Chávez, preferendogli l'attuale arcivescovo mons. José Luis Escobar Alas, classe '59, che si era presentato esprimendo il desiderio di «portare avanti la linea di mons. Sáenz Lacalle e le cose buone che ha fatto e fa per il Paese» (v. Adista Notizie n. 4/99).   

Giunge dunque come un opportuno risarcimento la nomina a cardinale di Rosa Chávez, di cui si riconosce in tal modo – come evidenzia Carlos Ayala Ramírez (Alai, 23/5) – un lavoro più che trentennale diretto a «servire la Chiesa e il popolo salvadoregno nella costruzione della pace e della giustizia: due compiti per i quali egli ha offerto il suo contributo pastorale in maniera creativa e persistente». Senza contare che egli «è stato uno dei principali promotori della causa di beatificazione e canonizzazione di mons. Romero, fin dalle tappe iniziali, quando erano pochi coloro che avevano il coraggio di proclamare la santità profetica dell'arcivescovo martire».

E deve senz'altro far piacere a Rosa Chávez che la sua nomina sia giunta pochi giorni dopo un'altra ottima notizia per il Paese: la riapertura del caso dell'omicidio di mons. Romero, archiviato dopo l’emanazione della Legge di Amnistia nel 1993. La risoluzione emessa il 12 maggio scorso dal Quarto Tribunale di Istruzione di San Salvador, di cui è responsabile il giudice Ricardo Chicas, revoca infatti l'immunità all'ex capitano Álvaro Rafael Saravia, unico processato per l'omicidio di Romero, poi amnistiato, sollecitando la Procura Generale della Repubblica a pronunciarsi sulla ripresa delle indagini contro tutti i mandanti ed esecutori dell'assassinio. Una decisione, quella del magistrato, che fa seguito all'annullamento, da parte della Corte Suprema di Giustizia di El Salvador, il 13 luglio scorso, della Legge sull'Amnistia promulgata nel 1993, alla cui ombra hanno trovato riparo tutti i responsabili dei crimini commessi durante la guerra civile che, dal 1981 al 1992, ha insanguinato il piccolo Paese centroamericano (v. Adista Documenti n. 29/16).  

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