Armonia fra gli uomini, sovranità di Dio
- ANNO B, 18 febbraio 2018, I DOMENICA DI QUARESIMA. Gen 9,8-15; Sal 24 1; Pt 3, 18-22; Mc 1,12-15
Tratto da: Adista Notizie n° 2 del 20/01/2018
In quel tempo, lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano.Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».
Alle spalle, e alle radici, di una missione storica efficace c’è sempre una fase preparatoria di silenzio, di riflessione, di progettazione, di purificazione delle proprie intenzioni: c’è sempre un deserto. Gesù, nella cui umanità riluce qualcosa della Luce infinita che è Dio, non fa eccezione. Egli pure deve fare i conti con le “bestie selvatiche” (che, secondo il teologo psicanalista Eugen Drewermann, sono anche metafora della propria dimensione pulsionale inconscia) e tesaurizzare le inspirazioni divine (di cui gli “angeli” sono simboli) che lo sosterranno nel momento dell’incertezza e dello sconforto.
Un primo frutto dei “quaranta giorni” di raccoglimento delle proprie energie e di apertura all’azione dello Spirito è la decisione di subentrare al maestro Giovanni il Battezzatore. L’arresto e la condanna a morte di questi avrebbero potuto segnare la rinunzia a qualsiasi strategia di riforma; invece Gesù trova in sé la forza di afferrare il testimone, di continuare – e anzi di rilanciare – la missione dell’illustre consanguineo e precursore.
Ma cosa annunzia Gesù di così rilevante da rischiare di perdere anche lui la vita per mano dei poteri terreni? In cosa consiste la “bella novità” di cui si fa portavoce? A giudicare dalla catechesi e dalle omelie tradizionali si risponderebbe: “se stesso”. Una lettura spregiudicata (nell’accezione etimologica di: “senza pregiudizi”) dell’intero Secondo Testamento lo esclude: il contenuto centrale del messaggio di Cristo non è, autoreferenzialmente, Cristo stesso. È allora Dio, il Padre, l’Origine e il Fine? Neppure. Il vangelo non è infatti né cristocentrico né teocentrico. Come leggiamo nella pericope odierna, è regnocentrico: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino» (Mc 1,15).
In un mondo in cui domina la sovranità di molti signori (dai capi politici alle autorità religiose, dai detentori delle ricchezze agli intellettuali più influenti), il rabbi pellegrino avverte che queste forme di sovranità strumentalizzano a proprio vantaggio le energie della maggioranza e reprimono, scoraggiano e mortificano, ciò che non riescono a strumentalizzare.
La sovranità di Dio, al contrario, si attua solo quando i suoi figli vivono armonicamente perché in libertà e in giustizia; essa è misurata dalla realizzazione «di ogni uomo e di tutto l’uomo» (Paolo VI) dal momento che «la gloria di Dio è l’uomo vivente » (Ireneo). Il regno annunziato in parole e in opere dal Nazareno appartiene a un Dio che «non ha bisogno e non ha mai chiesto nulla per la sua gloria ma aspetta solo, quasi con ansia, che si aiutino le sue piccole e povere creature a crescere, a essere felici e in pace. Il cristianesimo è unico proprio per queste sue dimensioni non religiose ma umanitarie. In nome di Dio chiede di dare tutto ma, ecco il difficile, non a lui – che, non ci si deve mai stancare di ripeterlo, non manca di alcunché – ma a pro degli uomini, degni o indegni che siano» (Ortensio da Spinetoli).
Se il “regno di Dio” è questo, si intuisce facilmente che – per riprendere Agostino d’Ippona (De Baptismo contra Donatistas) – «molti che sembrano dentro sono fuori, molti che sembrano fuori sono dentro».
* Augusto Cavadi ha insegnato per molti anni Filosofia e Storia nei Licei. Attualmente si dedica alla scrittura e dirige a Palermo la “Casa dell’equità e della bellezza” da lui fondata. Ha un sito internet: www.augustocavadi.com
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