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Referendum: il buio oltre la siepe?

Referendum: il buio oltre la siepe?

Tratto da: Adista Notizie n° 34 del 03/10/2020

«Oggi si vota per tagliare 345 parlamentari: lo dobbiamo al Paese per dimostrare che la politica vuole davvero fare a meno di fannulloni e parolai televisivi». Questo è il messaggio che un ingenuo deputato del M5S ha pubblicato sul suo profilo Facebook il giorno delle votazioni, senza rendersi conto che quel messaggio spazzava via tutti gli artificiosi argomenti dei sostenitori del Sì. In realtà l’inconsistenza delle ragioni avanzate per giustificare un taglio così incisivo della rappresentanza parlamentare, rende evidente che l’approvazione popolare della riforma si è basata esclusivamente sul sentimento antipolitico e sul disprezzo del Parlamento opportunamente cavalcato da un ceto politico miope ed irresponsabile.

Il risultato referendario, nonostante la netta prevalenza del Sì al taglio del Parlamento (69,6% contro 30,4%), mette in evidenza che nel nostro Paese c’è stata una straordinaria mobilitazione dal basso che ha visto, per la prima volta, dopo lungo tempo, la significativa partecipazione di componenti studentesche e giovanili.

Questa mobilitazione, che si è mossa sulle gambe di migliaia di comitati sorti spontaneamente e distribuiti su tutto il territorio nazionale, ha ottenuto comunque un grande risultato: quello di costruire un senso comune, seppur minoritario, contrario alla narrazione dominante che, partendo dalla crisi della rappresentanza, addita al disprezzo popolare i riti e le istituzioni della democrazia costituzionale, a partire dal Parlamento. La notevole partecipazione alla tornata elettorale (53,84%) dimostra che, a prescindere dagli schieramenti, nel nostro Paese si è aperto un dibattito pubblico sul funzionamento della democrazia rappresentativa e sulla crisi della rappresentanza a cui la politica sarà chiamata a dare delle risposte. In altre parole gli eventi che hanno portato alla riforma e alla competizione referendaria hanno fotografato una patologia: la crisi del rapporto di fiducia fra le masse popolari, i partiti politici e le istituzioni rappresentative. A questa patologia il taglio del Parlamento ha dato una risposta sbagliata, ma il problema della cura resta in piedi, anzi diventa ancora più acuto dopo il voto referendario. Tutti sono d’accordo che bisogna mettere mano a dei correttivi. Il problema principale è la legge elettorale. In un Parlamento a numeri ridotti è essenziale che l’elezione dei rappresentanti avvenga con un sistema proporzionale senza sbarramenti per garantire il pluralismo ed evitare che le minoranze siano cancellate. Occorre che i partiti politici facciano un passo indietro, abbandonando il privilegio delle liste bloccate per consentire agli elettori di concorrere alla scelta dei propri rappresentanti, sia attraverso le preferenze, sia ripristinando quel metodo democratico che esige l’art. 49 della Costituzione.

Insomma questa esperienza di crescita della coscienza civile, testimoniata principalmente dal voto per il No, ma anche dal rinnovato interesse per la partecipazione dei cittadini alla vita politica, non deve andare perduta. Essa può essere lievito per determinare un’inversione di tendenza rispetto alle dinamiche oligarchiche in atto. Prima o poi le illusioni cavalcate da coloro che sfruttano le condizioni di disagio sociale per alimentare rancori e risentimenti qualunquisti contro il Palazzo sono destinate a evaporare, i cittadini si renderanno conto che avere meno rappresentanti non è una conquista e non risolve alcun problema. Dobbiamo metterci al lavoro da subito per ricostruire i ponti fra la società civile e il Palazzo secondo il progetto costituzionale che non è mai tramontato, anzi è più attuale che mai. 

Magistrato, giudice presso la Corte di Cassazione, Domenico Gallo è da sempre impegnato nel mondo dell’associazionismo e del movimento per la pace, è stato senatore della Repubblica per una legislatura ed è attivo nei comitati per la difesa della Costituzione. Saggista, collabora con quotidiani e riviste.  

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