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L'accordo con la Libia compie 4 anni. L'appello degli organismi umanitari

L'accordo con la Libia compie 4 anni. L'appello degli organismi umanitari

Il “Memorandum d'intesa sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all'immigrazione illegale, al traffico di esseri umani, al contrabbando e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere tra lo Stato della Libia e la Repubblica Italiana” compie oggi 4 anni. Per lo più trascorsi tra atti d’accusa e mobilitazioni della società civile indignata per l’esternalizzazione delle frontiere, la pratica illegale dei respingimenti e la violazione dei diritti umani, che in Libia è prassi quotidiana e che si alimenta anche con i fondi (e con i silenzi) europei e in particolare italiani.

In un comunicato stampa congiunto, l’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione (Asgi), Emergency, Medici Senza Frontiere, Mediterranea, Oxfam e Sea-Watch denunciano «4 anni di fallimenti, abusi e torture nel segno del cinismo della politica». L’Italia, affermano gli organismi firmatari, ha speso oltre 785 milioni di euro con l’unico obiettivo, sostanzialmente, di arrestare i flussi migratori nel Mar Mediterraneo, incurante delle continue violazioni dei diritti umani e delle morti in mare. Il totale disinteresse della politica italiana nei confronti delle persone in viaggio sarebbe confermato, spiegano i firmatari, anche dalla mancata predisposizione di piani per la ricerca e il salvataggio dei naufraghi e di corridoi umanitari con la Libia.

Di quel budget, circa 210 milioni di euro sono stati spesi direttamente nel Paese nordafricano, spiega ancora il comunicato, «ma purtroppo non hanno fatto altro che contribuire a destabilizzarlo ulteriormente», e hanno «spinto i trafficanti di persone a convertire il business del contrabbando e della tratta di esseri umani in industria della detenzione». È anche grazie ai soldi italiani, dunque, che oggi «la Libia non può essere considerata un luogo sicuro dove portare le persone intercettate in mare, bensì un Paese in cui violenza e brutalità rappresentano la quotidianità per migliaia di migranti e rifugiati».

Altro che “porto sicuro”, continua il testo: la Libia è piuttosto «un Paese instabile, dove non possono essere garantiti i diritti fondamentali», e dove «migranti e rifugiati sono sistematicamente esposti al rischio di sfruttamento, violenza e tortura». Questo è riconosciuto e documentato non solo dagli organismi umanitari che lavorano quotidianamente in sostegno dei rifugiati, ma anche ma anche dall’Onu e dalla Commissione Europea. Ciononostante, si legge ancora, «continua ad aumentare il contributo italiano ed europeo alla Guardia Costiera libica, che negli ultimi 4 anni ha intercettato e riportato forzatamente nel Paese almeno 50 mila persone, 12 mila solo nel 2020», chiudendole in centri di detenzione ufficiali e non ufficiali, in condizioni di vita insostenibili. «La detenzione arbitraria è però solo una piccola parte del devastante ciclo di violenza, in cui sono intrappolati migliaia di migranti e rifugiati in Libia. Uccisioni, rapimenti, maltrattamenti a scopo di estorsione sono minacce quotidiane, che continuano a spingere le persone alle pericolose traversate in mare, in assenza di modi più sicuri per cercare protezione in Europa».

Altri 540 milioni di euro, proseguono gli organismi umanitari, sono stati spesi dall’Italia «per finanziare missioni navali nel Mediterraneo, il cui scopo principale non era quello di soccorrere le persone». In quello stesso periodo, mentre i governi italiani erano impegnati a criminalizzare la solidarietà con una meticolosa guerra alle navi delle Ong senza predisporre piani alternativi, «quasi 6.500 persone sono morte nel tentativo di raggiungere l’Europa attraverso il Mediterraneo centrale».

È per tutta questa serie di ragioni che la società civile organizzata ha chiesto, nel corso di questi ultimi 4 anni, la revisione o la chiusura dell’accordo tra Italia e Libia. Eppure, «pur di fronte al tragico fallimento dell’accordo da anni sotto gli occhi dell’opinione pubblica – dichiarano le organizzazioni firmatarie – nulla si è più saputo rispetto alla proposta libica di modifica del Memorandum, annunciata il 26 giugno 2020 e che a detta del Ministro degli Esteri Luigi di Maio andava “nella direzione della volontà italiana di rafforzare la piena tutela dei diritti umani”. Né tanto meno sono stati resi noti gli esiti della riunione del 2 luglio 2020 del Comitato interministeriale italo-libico, o se ci siano stati nuovi incontri, e neppure a quali eventuali esiti finali sia giunto il negoziato che avrebbe dovuto portare un deciso cambio di rotta nei contenuti dell’accordo».

In chiusura del comunicato, le realtà promotrici chiedono al Parlamento «di istituire una Commissione di inchiesta» che faccia luce sui fondi investiti nell’ambito del Memorandum d’Intesa e sulle morti nel Mediterraneo. E soprattutto che impegni il governo a: «Interrompere l’accordo Italia-Libia»; interrompere le missioni militari in Libia; chiedere con forza «la chiusura dei centri di detenzione nel Paese nord-africano»; «promuovere, in sede europea, l’approvazione di un piano di evacuazione dalla Libia delle persone più vulnerabili e a rischio di subire violenze, maltrattamenti e gravi abusi»; «dare mandato per l’istituzione di una missione navale europea con chiaro compito di ricerca e salvataggio delle persone in mare»; sempre in sede europea, promuovere «l’approvazione di un meccanismo automatico per lo sbarco immediato e la successiva redistribuzione delle persone in arrivo sulle coste meridionali europee, sulla base del principio di condivisione delle responsabilità tra Stati membri su asilo e immigrazione»; «promuovere la revoca dell’area di ricerca e soccorso libica, poiché solo finalizzata all’intercettazione e al respingimento illegale delle persone in Libia»; infine, «riconoscere il ruolo delle organizzazioni umanitarie nella salvaguardia della vita umana in mare, mettendo fine alla loro criminalizzazione e liberando le loro navi ancora sotto fermo».

*Resti di un barcone di migranti a Lampedusa. Foto di Carlo Alfredo Clerici tratta da Flickr, immagine originale e licenza

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