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Tratta, prostituzione e pandemia. La testimonianza di

Tratta, prostituzione e pandemia. La testimonianza di "Avenida" unità di strada della Caritas ambrosiana

Come già nunciato da Adista qui, sabato 6 febbraio, giornata mondiale contro la tratta 2021, si svolgerà dalle 10 alle 12 in diretta streaming un webvinar promosso da Caritas ambrosiana, Centro Pime e Mani Tese e in collaborazione con Ucsi Lombardia. L’argomento sarà "Tratta, prostituzione e schiavitù. Nuove frontiere e nuove sfide" e sarà affrontato da Laurence Hart, direttore ufficio Oim per il mediterraneo, Cinzia Bragagnolo, coordinatrice numero verde antitratta, Manuela de Marco, ufficio politiche migratorie e protezione internazionale di Caritas italiana, Nello Scavo, giornalista di Avvenire, esperto di migrazioni. Foto di Please Don't sell My Artwork AS IS da Pixabay

Un quadro della situazione che andranno ad analizzare gli oratori è fornito, seppur limitato all’area del capoluogo lombardo, dall’Ufficio stampa Caritas ambrosiana grazie all’esperienza di “Avenida”, l’unità di strada della Caritas. Dai racconti, raccolti al telefono, via whatsapp, tramite video-chiamate, dalle operatrici e dagli operatori emerge quanto «le donne e le trans costrette a vendersi sulle strade di Milano siano diventate in questi mesi (di pandemia, ndr) sempre più vulnerabili e ricattabili e quindi subiscano violenze e abusi ancora maggiori che nel passato. Allo stato di schiavitù in cui sono tenute, che comprime se non annulla la loro libertà di avere relazioni al di fuori dell’ambiente che le tiene sotto scacco, si è aggiunto anche un livello di miseria materiale che non ha precedenti. Al punto che la gran parte di loro (il 70%) è dovuta ricorrere a forme di aiuto, come quello alimentare, di cui non aveva avuto bisogno prima».

«Il Coronavirus – osserva suor Claudia Biondi, responsabile dell’area tratta e prostituzione di Caritas Ambrosiana – ha accelerato un processo che era in corso da tempo: la prostituzione si è ancora di più spostata dalla strada all’indoor e all’online, fenomeno che di per sé rende le vittime ancora più invisibili, difficilmente avvicinabili se non dai clienti e sfruttatori, e quindi più sole. Ma è successa anche un’altra cosa. Una parte di loro, quella più povera e meno attrezzata, sfruttata da sedicenti “fidanzati”, che operano in proprio o affiliati a micro gruppi criminali poco organizzati, non è riuscita ad adattarsi al cambiamento e oggi vive in condizioni di emarginazione ancora maggior che nel passato». È quanto accade, in particolare, tra i membri della comunità rumena, da anni la principale nazionalità delle donne che Caritas Ambrosiana intercettata in strada che conferma il suo primato anche nel 2020 con il 53% di presenze».

Proprio la mappa dei Paesi di provenienza, per come risulta ad Avenida, è l’altro dato che denuncia il cambiamento in corso. Continua, in particolare, il calo delle nigeriane (17%), la terza nazionalità dopo quella albanese (21%). «Con la diminuzione degli sbarchi sulle coste italiane dal 2018 in poi, la presenza sulle strade di Milano delle donne provenienti dal paese africano è andata diminuendo. Diverse fonti e l’osservazione degli operatori umanitari sul campo, con cui Caritas Ambrosiana è in contatto, sostengono che le donne che non sono riuscite ad attraversare il Mediterraneo sono rimaste prigioniere nei campi di detenzione libici e lì, per sopravvivere e sperare di raccogliere i soldi sufficienti a continuare il viaggio, si offrono ai loro stessi carcerieri. Nel frattempo, inoltre, la mafia nigeriana, molto strutturata e capace di controllare insieme alla tratta anche il traffico di droga, ha riorganizzato i flussi.  Da quando la rotta mediterranea si è interrotta, i clan malavitosi hanno trovato più conveniente orientare le donne, in genere reclutate nei villaggi rurali dello stato di Edo, verso gli altri paesi subsahariani. In particolare uno sbocco che è risultato molto profittevole è stato il Niger dove le ragazze vengono costrette a vendersi agli uomini impegnati nell’estrazione dell’oro nelle miniere». 

Quello che non è cambiato è stata la domanda, a quanto risulta: «La richiesta di sesso a pagamento non si è mai fermata e vince anche la paura del contagio come emerge dalla continua azione di monitoraggio che le operatrici di Avenida fanno costantemente sui forum in rete dei clienti».

«Anche nei mesi più duri della pandemia, quando a Bergamo sfilavano i camion dell’esercito con le casse dei defunti che non potevano essere seppelliti nel cimitero cittadino, non abbiamo mai sentito nessuno preoccuparsi di esporre al contagio se stessi, le proprie mogli e familiari, le stesse donne con le quali andavano. In cima ai pensieri dei clienti c’era piuttosto, cinicamente, il timore che le donne potessero aumentare il prezzo per rifarsi dei mancati guadagni», osserva Nadia Folli, dell’unità di strada Avenida. 

«Da un lato serve un sussulto di coscienza da parte dei clienti: non è possibile ridurre quelle donne a dei corpi senza anima, sentimenti, paure, bisogna imparare a guardare il dramma che c’è dietro le loro storie – è la sollecitazione di Luciano Gualzetti, direttore di Caritas Ambrosiana –. Dall’altro, se si vuole davvero sottrarre le vittime di tratta a chi le sfrutta, non è sufficiente offrire loro accoglienza, ma reali opportunità di inserimento nel mercato del lavoro. La crisi sociale che si è aperta con la pandemia non può essere un alibi per dimenticarsi degli ultimi, ma al contrario deve essere un’occasione per ripartire da loro»

*Bordello Wild West Western. Foto tratta da Pixabay, immagine originale e licenza

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