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Il Kazakhstan fra petrolio, islam e colpi di Stato

Il Kazakhstan fra petrolio, islam e colpi di Stato

Tratto da: Adista Notizie n° 2 del 22/01/2022

40933 ROMA-ADISTA. Con i suoi 18 milioni di abitanti disseminati su un territorio grande quanto tutta l’Europa occidentale, il Kazakhstan vanta il 60% delle risorse minerarie di tutta l’ex Unione Sovietica, insieme a importanti giacimenti petroliferi (1,5 milioni di barili al giorno, che ne fanno il primo esportatore dell’ex Unione Sovietica, oggi Comunità degli Stati Indipendenti), di metano, di uranio e di tanti metalli pregiati. Inoltre è cruciale per la nuova frontiera delle “terre rare” e detiene il 20% delle terre coltivate degli ex territori sovietici. Vitale per la Via della seta di Pechino e indispensabile per l’interscambio con Mosca, il Kazakhstan non si è certo alienato negli anni passati ottime relazioni con l’Occidente che hanno significato enormi investimenti da parte di tante compagnie occidentali, con in testa Eni, Shell, Chevron, General Eletric: 161 miliardi di investimenti diretti nel solo 2020, dei quali 30 dai soli Stati Uniti. È in questo Paese che un aumento del prezzo del Gpl, il più diffuso per il trasporto privato, ha innescato una rivolta che nessuno può dire se sia stata davvero tale, ma di certo una comprensibile protesta. La situazione economica in Kazakhstan non era orribile, ma appena tollerabile.

Ortodossi e sunniti

Paese transcontinentale e soprattutto centro asiatico, il Kazakhstan è popolato da una significativa minoranza russa, tutta ortodossa, soprattutto nel nord del Paese, e da una maggioranza musulmano sunnita, come accade negli altri Stati centro asiatici ex sovietici. Privo di una sua storia democratica, il Paese è stato ereditato dall’uomo forte sovietico, Nursultan Nazarbayev, che con i suoi familiari e soci lo ha governato da autocrate sulla base di un’equazione che può essere così riassunta: voi non disturbate il manovratore e il manovratore vi renderà meno poveri. In questo è stato probabilmente di parola, avendo saputo tenere i russi buoni vicini ma non padroni di casa, i cinesi appagati e gli occidentali contenti. Ma la pandemia ha avuto pesanti conseguenze, per il Kazakhstan come per molti altri produttori di materie prime, e il patto è parso non reggere più ai kazaki, che, ancora senza libertà democratiche, si sono visti anche aumentare il prezzo del Gpl, misura non da poco per chi guadagna mediamente 130-140 dollari al mese. È qui che i conti con la storia recente che ha condotto all’intervento russo non tornano più.

Le autocrazie puntano ai profitti

Molto anziano, Nazarbayev ha infatti ceduto il potere, almeno quello formale, al nuovo presidente, un suo fedelissimo ovviamente, l’attuale capo dello Stato Kassym-Jomart Tokayev. Quando la crisi pandemica ha colpito direttamente la popolazione e i suoi bassi standard di vita, la realtà predatrice del l’apparato di potere è emersa in tutta la sua evidenza, con le notizie e le voci di conti inauditi nei paradisi fiscali e molto altro. Le ricchezze del Paese, come in molti casi di analoghe autocrazie, sono depredate da un’élite insaziabile. Anche in questo caso è venuta alla luce una tendenza comune a tutte le autocrazie che non possono ridurre i loro profitti neanche se la coperta si restringe: voi continuate a non disturbare il conducente, il conducente vi garantisce orgoglio militar-imperiale. È quanto è avvenuto, in passati più o meno recenti, nel caso di Vladimir Putin o di Recep Tayyp Erdogan. Ma, ha osservato giustamente Melik Kaylan su Forbes, il Kazakhstan non ha trascorsi imperiali né sete di gloria planetaria. Un primo segno di questa nuova proposta il regime lo ha dato proponendosi come improbabile promotore di negoziati internazionali associati alla capitale Astana sulla crisi siriana. Ma ad un protagonismo kazako non ha mai creduto nessuno, né nel mondo né in Kazakhstan.

Dunque cosa è successo quando è esplosa la crisi dell’aumento del prezzo del Gpl? Che il presidente ha rimosso Nazarbayev dal ruolo anomalo che si era ritagliato di “padre della patria e garante dell’unità nazionale”, ha rimosso i suoi uomini dal vertice del governo e degli apparati di sicurezza. E ha cancellato l’aumento del Gpl. Dunque si dovrebbe presumere che lui non sapesse della misura: strano.

Qualcuno ha visto nei moti una sorta di golpe di Nazarbayev, ansioso di mettere sua figlia al posto di Tokayev. Chi sostiene questa tesi ha visto l’inadeguatezza degli apparati militari e di intelligence, la loro quasi non operatività davanti ai moti ben presto diventati rivolta violenta. Dunque i vertici militari potrebbero aver agito d’intesa con Nazarbayev, i servizi e il governo per favorire il golpe. Formalmente la ricostruzione sembra poter reggere, ma qualcosa non va. E questo qualcosa si chiama “terrorismo”: quando bisogna salvare l’impresentabile, il terrorismo compare sempre. In questo enorme e decisivo Paese asiatico e musulmano il racconto del Presidente Tokayev ha fatto esplicito riferimento a terroristi fomentati dall’estero, elemento decisivo per chiamare in causa i russi in base al trattato difensivo stipulato con gli altri Stati dell’ex Unione Sovietica. L’intervento russo, con lo stesso contingente che operò in Crimea ai tempi dell’occupazione e annessione unilaterale alla Russia e di qualche decina di altri agenti di Paesi alleati, non sarebbe stato possibile in assenza di un pericolo promosso dall’estero. Il trattato infatti prevede un possibile intervento “fraterno” non per regolare dispute nazionali, ma ingerenze straniere.

Mosca e Pechino

La presenza di gruppi violenti kirghizi, tutti vestiti di nero, è stata documentata, ma come sono arrivati? E i feriti negli ospedali che parlavano in arabo da dove sarebbero entrati? Quando Tokayev ha chiesto l’aiuto russo l’unità di Putin è giunta in pochi momenti, come se fosse stata in allerta lungo il confine. Per Tokayev era meglio chiamare loro o chiamare nella capitale unità i cui capi erano fedeli a Nazarbayev? Il presidente Tokayev svelerà la trama terrorista in queste ore o in questi giorni, con prove, ovviamente (Tokayev ha parlato anche di terroristi afghani…). Ma la sua permanenza al potere ormai sembra dipendere da Mosca e da Pechino: si può escludere che il golpe lo abbia fatto lui? Un nuovo asse Putin-Xi Jinping avrebbe del resto rilevanza globale, come ha detto Anna Zafesova intervistata da Pierluigi Mele: «Sarebbe un'ipotesi veramente inquietante, la prima manifestazione di quell'incubo di molti in Europa e in America che vedrebbe la Russia braccio armato (e minerario) della Cina». Ma il vero punto di questa vicenda potrebbe essere un altro: la destabilizzazione dell’islam centro-asiatico. Tuttavia se si deve costruire una narrativa che legittimi questa operazione sul pericolo islamista, poi non è detto che il pericolo non emerga o venga fatto emergere, in qualche modo. Sarà un caso, ma il potente capo della sicurezza deposto e arrestato appartiene all’etnia dei musulmani di Cina, gli uiguri. La presenza dell’importante minoranza russa, e cristiano-ortodossa, potrebbe diventare un motivo di preoccupazione interna. Quella che fino ad oggi non si è conosciuta. Nel frattempo, sempre Melik Kaylan, ha scritto che la richiesta russa, avanzata da molto tempo, di equiparare il prezzo dell’export di petrolio kazako alla Cina a quello russo è stata improvvisamente accolta. Si delinea allora l’ipotesi di un nuovo asse asiatico, la prima manifestazione di quello scenario temuto da molti in Europa e in America che vedrebbe appunto la Russia braccio armato (e minerario) della Cina.  

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