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La parrocchia prenda il largo in un nuovo Esodo

La parrocchia prenda il largo in un nuovo Esodo

Tratto da: Adista Documenti n° 22 del 24/06/2023

Il vescovo di Avellino, mons. Arturo Aiello, ha scritto una lettera a noi preti della diocesi, per proporre una soluzione alla crisi che anche la nostra porzione di Chiesa sta vivendo. Nel testo dà una lettura lucida di alcuni tra i problemi ecclesiali che siamo condannati a vivere nei nostri territori e, sono certo, altrove: «Mi sembra che tutto il tempo che impieghiamo per regolare, raddrizzare, orientare, restaurare la pastorale ordinaria sia come mettere mascara e fondotinta a un malato terminale. Dobbiamo continuare a fare le cose di sempre, possibilmente con amore, ma con la certezza che tra dieci anni, per lo più, sarà solo un reperto museale. Sono addolorato per quelli che fra voi pensano d’essere “gli ultimi dei Moicani” e che di questo mio messaggio, raccoglieranno solo la prima parte, a consolazione delle loro visioni apocalittiche. Da un lato bisogna fare una semplice “cura di mantenimento”, ma dall’altro bisogna preparare una pista su cui lo Spirito Santo possa atterrare per mostrare, a voi che sopravvivrete, la Terra Promessa dopo tanto vagare nel deserto».

Lo confesso, forse sono uno “degli ultimi Moicani”, perché sogno non un’altra Chiesa, ma una Chiesa-altra, che spero soppianti non la Chiesa, ma questa Chiesa; in fondo è avvenuto altre volte nella storia millenaria del sogno di Dio incarnato nella Chiesa: «Umana realtà impregnata di divina Presenza» (Lumen Gentium).

Nel territorio delle due parrocchie di cui sono parroco ci sono nove edifici di culto. In uno sto pensando di realizzare un pub-parrocchia che sia un luogo dove ci si incontri per divertirsi, per progettare e sperimentare vie nuove di impegno e, perché no, di spiritualità. Per incarnare la parrocchia nel nostro tempo, tirarla fuori da una crisi che sembra irreversibile, occorre forse ripartire da parole come “tempio” e “strada” che, spesso, sono viste in contraddizione tra loro: la preghiera, il culto, il catechismo, non sono affatto in alternativa, non sono inconciliabili con la carità, con la vita vissuta immergendosi nei problemi concreti degli uomini, nelle storie di ingiustizia, di violenza e di dolore che vengono vissute oltre il sagrato. Forse bisognerebbe trovare il coraggio di chiudere le parrocchie per qualche tempo per tornare, si spera, a desiderarle nuove e, approfittando della loro chiusura, iniziare – fuori da ogni clericalismo, anche da quello laico – un ampio e sincero confronto che abbia come guida lo Spirito Santo e che coinvolga tutti, ma veramente tutti coloro che hanno a cuore il futuro della Chiesa.

Le parole d’ordine identitarie che si ascoltano ancora nelle nostre parrocchie raccontano, al contrario, la scarsa fiducia nella libertà di pensiero, e quindi nello Spirito Santo che “soffia dove vuole”, e che si cerca invece di ingabbiare per non lasciarsi infastidire e smuovere dalla comoda convinzione che “si è sempre fatto così”.

Quanto avrebbe ancora da dire oggi la parrocchia se vissuta come comunità di fratelli e sorelle nella quale trovano posto tutte le diversità, dove albergano la misericordia e la condivisione, e un linguaggio nuovo indispensabile se si vuole essere capiti: lontano da formule stantie che sanno di muffa e autoreferenzialità, che poco dicono ai contemporanei, che sanno di stanchezza e pigrizia, che, a volte, rasentano la superstizione. La crisi della parrocchia va certamente compresa nel contesto più generalizzato di un profondo mutamento culturale e antropologico che investe il modo di vivere e che, insieme alla comunicazione digitale, dilata i confini dell’esistenza ed esige perciò una “parrocchia in uscita”, più flessibile, aperta, ospitale, connotata da una reale integrazione col territorio.

Per fare ciò, visto che non riusciamo più a essere interessanti, non dobbiamo temere i mezzi che il nostro tempo ci mette a disposizione: «Tra le meravigliose invenzioni tecniche che... l’ingegno umano è riuscito a trarre dal creato... rientrano la stampa, il cinema, la radio, la televisione», e internet! Il Decreto Conciliare Inter Mirifica ha inteso certamente dare un’indicazione positiva e “profetica” sull’uso di questi strumenti. I mezzi di comunicazione sono comunque “un segno dei tempi”, costituiscono una sfida con cui misurarsi, senza farne degli idoli e senza demonizzarli; senza colonizzarli o, invece, lasciarli totalmente nelle mani degli altri. «Sono stato mandato a portare la buona notizia fino all’estremità del mondo», diceva Paolo. Oggi i social, nonostante tutto, sono lo strumento di comunicazione più straordinario che abbiamo a nostra disposizione. Se i mass media ci ospitano, tanto meglio, lasciamoci accogliere senza pregiudizi e senza condizioni. L’importante è essere veri, esprimere quello che ci anima. E, ancora e sempre, portare lontano la Parola.

Dal mio attuale minuscolo osservatorio sento il bisogno di credere che la Chiesa cattolica stia cambiando più di quanto si immagini: è ormai impossibile pensare a essa come un monolito, del tutto corrispondente al dettato dei numerosissimi documenti vaticani o alle oceaniche dirette televisive da piazza San Pietro. Per me, oggi, risulterebbe difficile comprendere la portata di questo cambiamento, se non facendo ricorso a rapporti allacciati negli anni con tante persone e comunità “evangelicamente progressiste” in tanta parte della Chiesa. Provvidenzialmente i lunghi anni di “terrore ecclesiale” durante il “regno” Wojtyla-Ratzinger, non sono riusciti a impedire che tante lillipuziane comunità proseguissero quel cammino di rinnovamento iniziato con il Concilio Ecumenico Vaticano II. La storia racconterà il trentennio del papa polacco e di quello tedesco e il sistematico tradimento, depotenziamento o lettura ristretta delle riforme apportate dal Concilio. A Roma, nonostante papa Francesco e il suo sogno di una “Chiesa in uscita”, c’è chi sembra non rendersi conto che i tempi sono cambiati, e continua a pretendere che il clero cattolico e i milioni di fedeli laici in tutto il mondo pensino all’unisono, che concordino in pieno con tutte le affermazioni del magistero in materia di pastorale e applichino tutte le indicazioni degli innumerevoli documenti che produce a getto continuo la Santa Sede. Al di là degli apparenti trionfi, negli ultimi anni si è intensificato un divario profondo tra la dottrina ufficiale e le coscienze dei fedeli, che tocca tanti aspetti dei rapporti tra messaggio cristiano e mondo moderno. Il Concilio, “prevedendo” i rischi a cui la Chiesa sarebbe andata incontro, ha tentato di dare risposte “profetiche”, su cui bisognerebbe tornare a riflettere onestamente e insieme.

I contadini delle mie zone temono un animaletto che infesta le campagne e ne inverte l’ordine; un insetto che, dicono con una sorta di meraviglia, guarda il mondo sott’e n’coppa, sottosopra; si chiama ’o ruofolo, il grillotalpa che da un lato danneggia le piante, dall’altro, con i suoi tunnel sotterranei, ossigena il terreno e permette alle piante di ricrescere. Sogno cristiani che assomiglino a questo animaletto, che si sentano liberi di criticare fraternamente chi ha ruoli decisionali nella Chiesa e, contemporaneamente, la “ossigenino” con la proprio testimonianza. Sogno comunità che imparino a guardare il mondo e la Chiesa, da un punto di vista altro, da angolazioni scomode dalle quali nessuno si mette mai ad osservare; ci si renderà conto che da lì si notano sfumature che dal punto di vista scontato non si scorgono mai. Comunità pronte a difendere con dignità il proprio punto di vista e a confrontarlo fraternamente con altri, recuperando quella virtù dei martiri che va sotto il nome di “parresia”, sfrontatezza agli occhi del mondo, franchezza del testimone agli occhi di Dio. C’è ovviamente tanto di evangelico in tutto questo; c’è la beatitudine dei calpestati, degli scartati e degli sconfitti agli occhi degli uomini, ma non agli occhi di Dio che invece: «rovescia i potenti dai troni e innalza gli umili; ricolma di beni gli affamati e rimanda i ricchi a mani vuote» (Luca 1, 51-53). Appunto: il mondo capovolto!

Nel Vangelo c’è una parabola nella quale Gesù paragona il Regno di Dio a un granellino di senape, il più piccolo tra i semi che però diventa un arbusto frondoso, «e fa rami tanto grandi che gli uccelli del cielo possono ripararsi alla sua ombra»: paradigma della Chiesa-altra che siamo chiamati a costruire come «convialità delle differenze» (don Tonino Bello). Una Chiesa inclusiva, che non emargina, non usa la pesante scure del giudizio su nessuno, una «Chiesa degli esclusi e non dell’esclusione» (mons. Jacques Gaillot).

Le parrocchie, le comunità, il clero e i fedeli laici dovranno imparare a scoprire e percorrere vie nuove, inesplorate, spesso gioiose, a volte dolorose, ma sempre positive e ricche di insegnamenti. A noi cristiani è richiesto di “prendere il largo”, di lasciarci coinvolgere in un nuovo Esodo, di smuoverci dagli spazi chiusi che la sedentarietà e la pigrizia, la mancanza di spirito di iniziativa, la paura dell’imprevisto invitano a non abbandonare. Ci è richiesto di metterci in cammino, per incontrare, lungo la strada, come avveniva a Gesù, l’adultera, l’uomo lasciato mezzo morto dai ladroni o i discepoli che scappavano, tristi e sconfitti, verso Emmaus.

Vitaliano Della Sala è parroco a Mercogliano (AV) e vicedirettore della Caritas diocesana di Avellino.

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