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ABUSI SU MINORI IN SEMINARIO. IL VESCOVO TACE, PARLA IL SUO AVVOCATO. LETTERA AD ADISTA

Tratto da: Adista Notizie n° 81 del 18/11/2006

33630. ROMA-ADISTA. Nel numero 73 del 21 ottobre 2006 Adista ha dato notizia del risarcimento chiesto dal vescovo di Agrigento, mons. Carmelo Ferraro, nei confronti di Marco Marchese, ex seminarista vittima di un prete pedofilo (già condannato dopo patteggiamento a 2 anni e 6 mesi di reclusione per abusi ai danni di 7 ragazzi). Nell'articolo – intitolato Abusi su minori in seminario. Il vescovo sapeva, taceva, e ora vuole essere risarcito dalla vittima – veniva riportato uno stralcio della lettera aperta scritta da Marchese a mons. Ferraro (e già pubblicata su Adista 54/04) nella quale il ragazzo denunciava con parole toccanti il silenzio del suo vescovo (era il luglio del 2004). La risposta del vescovo a quella lettera, alla condanna del prete ed alla legittima richiesta di risarcimento da parte di Marchese (che ha già dichiarato di voler utilizzare i soldi eventualmente ricevuti per le attività della sua associazione di lotta alla pedofilia) è stata una controcitazione con la richiesta di 200.000 euro per i danni che la denuncia dell'abusato avrebbe arrecato all'"immagine" e al "prestigio" della Chiesa di Agrigento. A seguito della pubblicazione sulla nostra testata di tutta la vicenda qui riassunta, riceviamo la seguente lettera (indirizzata al direttore di Adista) dall'avvocato Anna Mongiovì Gaziano, che assiste il vescovo Ferraro nella richiesta di risarcimento contro Marchese.

L'Avv. Anna Mongiovì Gaziano procuratore in giudizio della Curia Vescovile agrigentina Le scrive per significarLe quanto segue in relazione al procedimento civile Marchese Marco /Curia Vescovile e all'articolo comparso sulla sua rivista del 21/10/2006.

La Curia agrigentina è stata chiamata in giudizio da Marchese Marco per sentirsi condannare al pagamento di una SOMMA di DENARO per fatti cui la stessa è estranea in relazione a delle vicende presuntivamente ed asseritamene accadute nel 1994, perché SAPEVA E TACEVA, come recita il titolo della sua nobile testata.

Ma così non è stato e così non è come si dimostrerà "per tabulas" in giudizio.

La infondatezza e la strumentalità della domanda dell'ATTORE Marco Marchese è "ictu oculi" tendente ad ottenere SOLDI coinvolgendo inopinatamente la Curia, anche al fine di "AMERICANIZZARE" il procedimento civile ed utilizzare i "MEDIA" per rafforzare una domanda priva di fondamento sia in fatto che in diritto.

Tecnicamente e giudiziariamente atteso il comportamento diffamatorio dell'ATTORE si imponeva la domanda riconvenzionale di risarcimento dei danni dovuti a chi sapeva essere estraneo sotto ogni profilo ai fatti oggetto del procedimento penale.

Tanto per dovere di verità e giustizia.

Grazie per l'ospitalità.

P.S. : Lo studio legale Gaziano, in ogni caso, non si farà coinvolgere in polemiche strumentali e resterà fedele al principio che le cause si fanno nelle aule dei Tribunali e non sui giornali come fa l'ATTORE che cerca la confusione diffamatoria piuttosto che la verità.

Grazie ancora e cordiali saluti.

Agrigento lì 26/10/2006

Avv. Anna Mongiovì Gaziano

Questa la risposta di Adista alla lettera dell'avv. Gaziano:

Insomma, a ben guardare non il vescovo si deve pentire di aver taciuto ma piuttosto la vittima dell'abuso. E' la solita storia, quella che hanno sperimentato sulla propria pelle le donne e tante ragazzi e ragazze. Ti hanno violentato? Se taci, ci dispiace e magari preghiamo pure per te; ma se denunci allora vuol dire che te lo sei cercato, vuol dire che un po' sfacciato lo sei e che non ti vergogni di niente, per cui un po' sporco sei e magari la violenza l'hai provocata tu.

Ah, gentile avvocato, e donna, Anna Mongiovì Gaziano, quanto di questo linguaggio le dovrebbe risuonare dentro come un'offesa insopportabile.

Ma un avvocato è un avvocato, si sa. Quello che non si vorrebbe sapere è invece di un vescovo che pensa di farsi pagare "immagine", "prestigio" e "decoro" (di questo si parla nell'atto di citazione) da una persona segnata a vita principalmente a causa della sua omissione.

Esattamente, avvocato, come lei scrive il vescovo è "estraneo" ai fatti oggetto del procedimento penale, e ci mancherebbe pure! Ma il problema è proprio che si è anche comportato da 'estraneo' con un figlio della Chiesa a lui affidato, girando occhi e orecchie da un'altra parte.

Sorprende non solo la reiterazione dell'abbandono, ma anche questo effimero aggrapparsi a cose così transeunti e inutili come, appunto, l'"immagine" che ora sembra fagocitare anche un'istituzione così solida e di sostanza come la Chiesa cattolica. Più che all'immagine il vescovo dovrebbe pensare alla sostanza: la sostanza di un uomo che chiedeva aiuto e ha trovato solo una ben pensante circospezione, nella solita prassi del tacere, sopire, troncare.

Ma l'inquinamento acustico del sacro silenzio emerge ormai sempre più se si ha il coraggio di sentirlo salire dalle lugubri stanze e penombre di tanti seminari, istituti e curie vescovili, di qua e di là di Alpi e Oceano.

Un'ultima cosa, avvocato. Vorremmo chiedere sia a lei che al suo assistito vescovo di non tirare in ballo il "dovere di verità e giustizia". Sono cose grandi, uniche. La giustizia, addirittura, richiede persino di rovesciare i potenti dai troni, figurarsi dunque se si preoccupa dell'immagine dell'ordine esistente. Lasciamole, verità e giustizia, per altre questioni ben più dirimenti di un apparente 'decoro'. Anche noi, nel nostro piccolo, non abbiamo pontificato appropriandoci del loro nome invano. Ci siamo limitati a raccontare i fatti, i fatti della violazione di una vita, riscontrabili negli atti processuali. Con, implicita, una richiesta di giustizia.

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