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Troppa visibilità, poca fiducia

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 18 del 14/02/2009

Le indagini demoscopiche indicano un sensibile calo di fiducia nella Chiesa cattolica. La tendenza è abbastanza costante da qualche tempo ed è piuttosto generale, dall’Italia al Kenia, dalla Germania  agli Stati Uniti. L’Eurispes segnala che un anno fa la fiducia degli italiani era al 49,7 per cento; oggi è al 38,8. Sono dati che abbiamo letto con una stretta al cuore: la dimensione religiosa ed ecclesiale è una grande forza nella vita dei popoli e delle persone, tantopiù in una stagione di crisi e di spaesamento. Ma sono dati sui quali conviene riflettere per trarne insegnamento e rimedi.

Del resto le cifre corrispondono alla nostra esperienza di ogni giorno. Non sono la Chiesa di Gesù Cristo, il vangelo, il sentimento religioso profondo, la ricerca di verità, di libertà e di amore ad essere in crisi, ma la rappresentazione che ne offrono gli uomini, le strutture, i documenti ecclesiastici. Giovani e meno giovani cercano anche oggi, non meno di ieri, ragioni di speranza e riferimenti morali, anche esigenti; ma non sempre incontrano risposte persuasive nelle strutture e nei gesti della Chiesa. Anzi, è più volte sembrato che certi suoi comportamenti contraddicano non solo le attese degli uomini, ma anche lo spirito del vangelo. Il caso Welby, il “perdono gratuito” ai lefebvriani e la emarginazione dei teologi progressisti e persino di quelli “conciliari”, il vescovo negazionista, la vicenda di Eluana Englaro e della sua famiglia… sono alcuni tra i segni più evidenti. Ma, più in generale, c’è la pretesa di affermare la presenza , l’autorevolezza, l’incidenza della Chiesa con strumenti visibili, mediatici, giuridici, economici, politici. Si manifesta così una drammatica emergenza educativa: si vorrebbe imporre l’obbedienza alle norme poste e interpretate dall’autorità forse perché non si riesce a educare alle scelte in coscienza, con amore e rispetto.

Di fronte ai temi radicali della vita e della morte molti uomini e donne si aspettano che la Chiesa li aiuti a capire di più, a intravedere il mistero, a scorgere i valori profondi che sono in gioco. Lo ha detto, con coraggio e chiarezza, il vescovo Giuseppe Casale (su La Stampa del 5 febbraio). Non abbiamo sempre detto che la vita può essere donata per grandi cause, che vale soprattutto per i  valori che la orientano, per l’amore che consente di esprimere? Bisogna aiutare a capire e vivere questo spirito: si otterranno così frutti ben più ricchi che imporre per decreto un comportamento piuttosto che un altro.

I dati sul “crollo della fiducia nella Chiesa” possono essere preziosi per correggere lo stile autoritario e in un certo senso il “progetto pastorale” prevalso negli ultimi anni, tutto fondato sull’esteriorità, la visibilità, la forza. È un invito alla Chiesa universale e a quella italiana a tornare al Concilio, a sviluppare i molti semi che avevano cominciato a germogliare ma hanno sofferto il freddo e la siccità. Questo inizio di millennio, con i suoi sconvolgimenti avvenuti e annunciati, obbliga tutti a ripensare in profondità sul passato per costruire un futuro accettabile. Papa Wojtyla aveva cominciato con le richieste di perdono, la purificazione della memoria anche della Chiesa. Bisogna continuare.

Nei giorni scorsi persino George Bush ha avuto parole di pentimento, quasi di rimorso, per l’inutile strage dell’Iraq.

I capi delle potenze occidentali riuniti alle Canarie per lanciare la crociata del nuovo millennio sono ormai tutti a casa, tranne il nostro presidente del Consiglio. Ma di guerre, stragi, violenze e soprattutto inimicizie tra gli uomini il mondo è ancora pieno; e noi sogniamo una Chiesa fraterna, credibile, impegnata più a curare le ferite e a cancellare le ostilità che a cercare la propria visibilità e rilevanza sociale. Una Chiesa capace di testimoniare che tutti facciamo parte della stessa famiglia umana, come diceva papa Giovanni nella Pacem in Terris. (ab)

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