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Auguri per un episcopato “scomodo”

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 79 del 29/10/2011

Caro vescovo, mi scusi se non mi unirò al coro di coloro che le augurano “ogni bene” per la chiamata ad amministrare la nostra diocesi (il 9 ottobre, mons. Ivo Muser è stato ordinato vescovo della Diocesi di Bolzano-Bressanone, ndr). Non è il solito vizio di voler andare controcorrente. Penso che le lusinghe e le gioie effimere siano virtù poco evangeliche. Un grande profeta del Novecento, don Primo Mazzolari, diceva: «Non la bonaccia, ma la tempesta è il tempo più appropriato per il cristiano». E dunque non le faccio auguri comodi, ma scomodi, come diceva don Tonino Bello. Le auguro di essere in perpetuo travaglio dinnanzi ai problemi prorompenti della nostra storia.

Le auguro di sentire dal di dentro la desolazione dei giovani che brancolano in un mondo senza più speranze, quei giovani che in gran parte hanno abbandonato le chiese perché non avvertono più la forza concreta, vitale, di quella Parola che viene annunciata alla messa. Sentono un Dio lontano, relegato nelle nuvole, ma poco presente nella storia. Una bella espressione di Josef Mayr-Nusser è quantomai attuale in questo senso: «Una stufa che non ha più da ardere non potrà riscaldare l'ambiente intorno».

Le auguro di non dormire la notte se le fabbriche chiudono e licenziano gli operai che non possono più dare una speranza alle loro famiglie.

Le auguro di dire forte un “no” alle discriminazioni che penalizzano i poveri, e in particolar modo gli stranieri, i quali giungono a noi con la speranza di un riscatto possibile. Uscire dal sistema delle gabbie etniche in Sudtirolo vale anche per gli immigrati che rischiano sempre più di diventare materia di sfida politica e, peggio ancora, elettoralistica, con i contraccolpi devastanti che possiamo immaginare (cavilli per accedere ai servizi, liste separate per i contributi per la casa, difficoltà nel ricongiungimento familiare...).

Le auguro di avere i brividi durante le notti invernali al pensiero che nella nostra ricca e fredda città ci siano uomini e donne che dormono all'aperto senza trovare rifugio (l'anno scorso un gruppo di profughi afghani ha dormito per mesi sulle scalinate dello stadio Druso).

Le auguro di impegnarsi con ogni mezzo contro la guerra e la violenza, non soltanto a parole, ma scendendo in piazza e condividendo gli appelli che ci arrivano dalle diocesi dilaniate dalle bombe, come ci ricorda l'amico arcivescovo iracheno, Louis Sako, di Kirkuk, che venne nel suo episcopio a denunciare i crimini della guerra.

Le auguro di non assecondare mai lo spirito del tempo, come se le derive culturali, politiche, etiche, economiche che abbiamo sotto gli occhi, fossero il prezzo che dobbiamo pagare alla complessità di un sistema di cui siamo solamente dei cittadini e dei cristiani inerti. Troppi silenzi della Chiesa hanno contribuito in questi anni ad allontanare fedeli che si aspettavano una presa di posizione più diretta contro le prevaricazioni di potere.

Nei giorni scorsi lei ha dichiarato che intende proseguire sul sentiero del dialogo intrapreso dai suoi predecessori, in modo particolare di Karl Golser, che nel dramma della malattia vive l'umanità del Vangelo alimentando la speranza di molti.

Le auguro di perdere il sonno nel pensare a come realizzare una diocesi davvero interetnica, che sappia valorizzare i ruoli plurali dei fedeli senza ricorrere alla logica della proporzionale.

Le auguro di rispondere alle aspettative dei movimenti ecclesiali di base che chiedono maggior partecipazione nelle decisioni e una presenza più solida dei laici, un ruolo più attivo della donna e una maggior responsabilità delle scelte.

Le auguro di essere in questa nostra terra di frontiera un uomo di frontiera, un vescovo-ponte fra il passato e il futuro, fra l'esigenza di mantenere l'ordine della tradizione e il richiamo a far nuove tutte le cose, fra la necessità di conservare le forme storiche della fede e l'invito a vivere in un mondo divenuto adulto, «etsi deus non daretur», come se Dio non ci fosse, per dirla con le parole del grande teologo tedesco Dietrich Bonhoeffer, ucciso dai nazisti a Flossenburg.

Caro vescovo Muser, le auguro di vivere la sua ordinazione bruciato dal fuoco dei profeti, che sono poi quelli che non abbassano mai la testa, che non rinunciano a lottare per la giustizia e per la verità. Essere scomodi forse oggi è il modo più autentico per essere cristiani.

* Giornalista, scrittore, coordinatore del Centro pace del Comune di Bolzano. Il suo ultimo libro è “Il cerchio di Pannikar” (Il Margine). Questo articolo è stato pubblicato anche sul quotidiano “Alto Adige”, il 9 ottobre

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