IL VATICANO II E LA NASCITA DELLA CHIESA ASIATICA
Tratto da: Adista Documenti n° 35 del 06/10/2012
IL TEMPO DEGLI EREDI
Non è troppo azzardato affermare che la Chiesa asiatica sia nata sulla scia del Concilio Vaticano II. Fino ad allora esistevano svariate Chiese asiatiche, piuttosto che una sola Chiesa unita. Inoltre, pur esistendo da più di 500 anni, queste Chiese in Asia erano più simili a piccole colonie delle loro Chiese madri in Europa. Non solo conservavano una maggiore somiglianza con l'Europa piuttosto che con l’Asia, ma la loro gerarchia era anche maggiormente in contatto con funzionari ecclesiastici europei che con altri vescovi in Asia. Infatti, fu al Concilio Vaticano II che molti dei vescovi asiatici si incontrarono ed ebbero modo di conoscersi per la prima volta. Al loro ritorno in Asia, rimasero in contatto e, successivamente, accarezzarono l'idea di creare una sorta di struttura che alimentasse il nuovo spirito di comunione che si era creato tra di loro.
La visita di Paolo VI in Asia nel 1970 rappresentò l'occasione per i vescovi asiatici di ritrovarsi a Manila, nelle Filippine. L'evento riunì 180 vescovi provenienti da tutta l'Asia, i quali colsero l’occasione per chiedere che fosse convocato un incontro dei vescovi asiatici (ABM, Asian Bishops’ Meeting). Fu durante questo incontro che venne concepita l'idea di una Federazione delle Conferenze Episcopali dell'Asia (FABC). Citando il domenicano francese Yves Congar, il gesuita filippino C.G. Arévalo suggerì che l'Incontro dei vescovi asiatici fosse considerato come l’atto di nascita di una Chiesa veramente asiatica: «E ora gli eredi hanno recuperato la propria voce, ora possono parlare per se stessi... Ora è il tempo degli eredi».
Il teologo indiano Felix Wilfred così si è espresso riguardo all’ABM: «Mai prima di allora i vescovi asiatici si erano riuniti per condividere esperienze e deliberare su questioni comuni e sui problemi che affliggono il Continente. L'incontro ha segnato l'inizio di una nuova consapevolezza riguardo ai molti collegamenti tradizionali che univano i vari popoli di questa parte del mondo». Al termine dell’incontro, i vescovi diffusero una Dichiarazione riconoscendo di aver visto «il volto dell’Asia finalmente emergere come vera comunità di popoli. Perché le barriere che hanno così a lungo isolato le nostre nazioni cadono una dopo l’altra, e tra noi cresce il desiderio di conoscerci e di scoprirci come nazioni sorelle asiatiche, tra le quali possono nascere saldi rapporti di amicizia e di fiducia, di collaborazione, di condivisione e solidarietà vera».
I vescovi conclusero l'incontro sollecitando la creazione della FABC: «Le Conferenze episcopali qui rappresentate sono invitate ad autorizzare e sostenere una struttura permanente per l'attuazione efficace delle decisioni di questo incontro». Con questo mandato, a Hong Kong, quattro mesi più tardi, nel marzo 1971, si svolse una riunione tra gli undici presidenti delle Conferenze episcopali al fine di discutere la natura, gli obiettivi e la portata della proposta di una federazione. A Hong Kong, tuttavia, i vescovi incontrarono il loro primo ostacolo nelle riserve espresse su tale proposta da alcuni funzionari della Curia romana, come rivelato dal vescovo Edward Cassidy, allora nunzio a Taipei.
In un'intervista al cardinale sudcoreano Stephen Kim, che fu tra i vescovi che parteciparono alla riunione di Hong Kong, Thomas Fox riporta quest’affermazione del cardinale: «Cassidy ci disse che non c'era niente che si potesse fare. L'unica cosa era andare a far shopping, o lasciare Hong Kong subito. Rimanemmo scioccati». A quanto pare, Roma temeva che la federazione proposta delle Conferenze episcopali dell'Asia potesse lanciare le stesse sfide che stava ponendo il Consiglio Episcopale Latino-Americano (CELAM), fondato nel 1956. Va ricordato che la Conferenza di Medellín del 1968, in cui venne lanciata l’opzione per i poveri, aveva generato un enorme disagio tra i funzionari curiali. Roma non desiderava di sicuro che un altro gruppo di Conferenze episcopali percorresse una strada simile, tanto più dopo l’approvazione di fatto dell'opzione per i poveri da parte dell'episcopato asiatico. Il vescovo filippino Julio Labayen commentò poi che i vescovi di Curia avevano effettivamente criticato la Dichiarazione ABM come «opera di sociologi piuttosto che di uomini di Chiesa». In ogni caso, dopo un po' di dibattito, i vescovi riuniti a Hong Kong decisero di proseguire la loro riunione. E questo può essere considerato il primo atto della Chiesa asiatica, in maniera simile a ciò che accadde alla prima sessione del Concilio Vaticano II, quando i delegati episcopali rifiutarono di cedere alle raccomandazioni dei vescovi curiali per quanto riguardava la gestione del Concilio. Così, i vescovi di Hong Kong si fecero avanti con le loro proposte e con le bozze degli statuti, poi approvate dalla Santa Sede nel novembre 1972. La FABC venne ufficialmente costituita due anni dopo l'ABM, un evento spesso considerato come un prodotto di «ispirazione profetica» e una «grazia della collegialità».
IL CONTESTO DELLA CHIESA IN ASIA
La creazione di un’istituzione pan-asiatica finalizzata alla condivisione collegiale è stato solo il primo passo nello sviluppo della Chiesa asiatica. Il passo più importante si è avuto in realtà con la nascita di idee teologiche nuove, con le riflessioni profetiche dei vescovi asiatici e dei loro teologi di fronte alle realtà contestuali del Continente. (...).
Un tema ricorrente nelle loro riflessioni teologiche è quello dell'Asia come «continente di masse brulicanti ... [con] ... quasi due terzi dell'umanità. Si tratta di un volto in gran parte segnato dalla povertà, dalla denutrizione e dalla malattia, devastato dalla guerra e dalla sofferenza, turbato e inquieto» (ABM, art. 5). Un altro tema ricorrente è quello dell’«Asia come continente di culture, religioni, storie e tradizioni antiche e diverse, una regione variopinta come la tunica di Giuseppe» (ABM, art. 7). Se l'Asia è diversa da tutti gli altri continenti, lo è in quanto culla delle grandi religioni del mondo. I vescovi si rendono conto che sono queste «grandi tradizioni religiose asiatiche a costituire la base della creazione, della crescita e dello sviluppo delle culture e delle nazioni di questo grande Continente» (FABC IV, art. 3.0.2).
Al di là delle realtà contestuali esterne alla Chiesa, bisogna anche lottare con l'atteggiamento che ha caratterizzato la Chiesa asiatica almeno fino al 1970. Un buon riassunto è costituito dalla seguente dichiarazione dell'ABM: «Dobbiamo però riconoscere anche, con rammarico, gli aspetti nei quali siamo deficitari: laddove abbiamo cercato di favorire solo ristretti interessi “nazionali”; laddove avremmo potuto mostrare più compassione e sollecitudine per i poveri e non siamo stati sufficientemente vigorosi nell’esprimerci a favore della giustizia e della difesa dei diritti umani; laddove non abbiamo incarnato la Chiesa nei modi e nelle forme delle nostre rispettive culture, mantenendola quindi come un’estranea nelle nostre terre; laddove non abbiamo perseguito la comprensione, la riconciliazione e la collaborazione con i nostri fratelli di altre Chiese cristiane e di altre fedi (ABM, art. 17).
Purtroppo, a causa degli atteggiamenti assunti nel corso dei secoli, la Chiesa è apparsa disincarnata e pertanto estranea ai popoli dell'Asia. Le sue origini e il suo patrimonio coloniale, la sua costante dipendenza dalle norme, dai soldi e dall’autorità dell’Occidente hanno contribuito ulteriormente all’estraneità della Chiesa. Un’estraneità aggravata dal fatto che i cristiani costituiscono una piccola minoranza nella maggior parte del Continente. Oggi, ad eccezione delle Filippine e di Timor Est (dove vivono circa i due terzi di tutti i cristiani presenti in Asia) e della Corea (dove circa il 25-30% della popolazione è di fede cristiana), negli altri Paesi i cristiani rappresentano una minima percentuale della popolazione. Una religione di minoranza, come avviene a tutte le minoranze, soffre spesso di un complesso di inferiorità. La percezione della propria irrilevanza può generare a tal punto ansia e timore da indurre a considerare le persone esterne al gruppo come concorrenti, come nemici o anche come potenziali persecutori. La preoccupazione principale di una Chiesa in tali condizioni è allora la sopravvivenza del proprio piccolo gregge. Ciò la porta ad autocentrarsi e di conseguenza ad isolarsi dalle realtà culturali.
L’ADOLESCENZA DELLA CHIESA ASIATICA
È allora che i vescovi asiatici hanno espresso la loro posizione profetica. Invece di cedere al vecchio paradigma e alla mentalità di una Chiesa autocentrata, i vescovi hanno preso sul serio l'invito del Vaticano II ad impegnarsi nel mondo moderno, guardando all'esterno per discernere dove e come la Chiesa dovesse condurre la propria missione e la propria evangelizzazione. Due anni dopo la sua creazione, la FABC ha tenuto la sua prima Assemblea plenaria per discutere il tema dell’«Evangelizzazione nell’Asia moderna». «Per predicare il Vangelo in Asia - hanno sostenuto i vescovi - oggi dobbiamo realmente incarnare il messaggio e la vita di Cristo nella mentalità e nella vita dei nostri popoli» (FABC I, art. 9). A questo proposito, «la creazione di una Chiesa veramente locale» (FABC I, art. 9) diventa di primaria importanza, e, perché ciò accada, la Chiesa deve essere «in costante, umile e affettuoso dialogo con le tradizioni, le culture, le religioni, in breve con tutte le realtà di vita del popolo in mezzo al quale ha affondato profondamente le sue radici e la cui storia e la cui vita fa volentieri proprie» (FABC I, art. 12).
Le Assemblee plenarie successive, tenute ogni 4 o 5 anni, hanno discusso i temi della preghiera, della comunione, della vocazione e della missione dei laici. Sorvolerò su queste per parlare in particolare della V Assemblea plenaria, a Bandung, nel 1990. Quest’assemblea è stata unica nel suo genere perché ha fatto appello a un «modo totalmente nuovo di essere Chiesa» (...). «Per i cristiani in Asia - hanno dichiarato i vescovi - proclamare Cristo significa soprattutto vivere come lui, tra i nostri vicini di fedi e posizioni diverse, e realizzare ciò che lui compie con il potere della sua grazia. La proclamazione attraverso il dialogo e le azioni: ecco il principale invito alle Chiese in Asia» (FABC V, art. 4.1).
L’altro aspetto degno di nota della V Assemblea plenaria è il fatto che si è svolta esattamente 20 anni dopo l’ABM. L’Assemblea di Bandung, dunque, commemorava due decenni di nuova consapevolezza, celebrando la maturità della Chiesa dell’Asia e la sua capacità di prendere posto nella società asiatica. (...). Confrontando le diverse dichiarazioni, si nota come negli ultimi due decenni sia stato dato maggiore spazio a temi sociali come la globalizzazione, la migrazione, la militarizzazione, l’ecologia, i rifugiati, ecc. (...).
VERSO UN’EVANGELIZZAZIONE INTEGRALE ATTIVA
L’ Assemblea plenaria del 2000 ha segnato un altro importante passo avanti per la FABC. Svoltasi 30 anni dopo l'ABM, ha rappresentato l'occasione per rileggere il modo in cui la Chiesa asiatica si era sviluppata. Ecco come i vescovi vedevano la situazione: «Per 30 anni, nel tentativo di riformulare la nostra identità cristiana in Asia, abbiamo affrontato, una dopo l’altra, differenti questioni: l’evangelizzazione, l’inculturazione, il dialogo, l’anima asiatica della Chiesa, la giustizia, l’opzione per i poveri, ecc. Oggi, a 30 anni di distanza, non parliamo più di questioni distinte. Stiamo affrontando i bisogni del presente, che sono massicci e sempre più complessi. E che non sono argomenti da discutere separatamente, ma aspetti di un approccio integrato alla nostra missione di amore e servizio. Dobbiamo agire in maniera integrata. Dobbiamo farlo, di fronte alle esigenze del XXI secolo, con cuore asiatico, in solidarietà con i poveri e gli emarginati, insieme a tutti i nostri fratelli e sorelle cristiani e unendo le forze con tutti gli uomini e le donne d'Asia di molte e diverse fedi. L'inculturazione, il dialogo, la giustizia e l'opzione per i poveri sono aspetti costitutivi di tutto quello che facciamo» (FABC VII, parte III).
È stata utilizzata l’espressione “evangelizzazione integrale attiva” per descrivere la direzione che la Chiesa è chiamata a prendere, a partire da un rinnovamento del concetto cristiano asiatico di missione ed evangelizzazione. In particolare, la FABC ha inteso la missione della Chiesa in primo luogo come un «essere con il popolo, rispondendo alle sue esigenze, rivolgendo l’attenzione alla presenza di Dio nelle culture e nelle altre tradizioni religiose e testimoniando i valori del Regno di Dio attraverso la presenza, la solidarietà, la condivisione e la parola» (FABC V, art. 3.1.2). Come sostiene Felix Wilfred, «nella ricerca di una risposta alle sfide del contesto asiatico, il Regno di Dio diventa, nel pensiero dei vescovi, un punto centrale, offrendo il quadro più adeguato per dare un senso alle loro due esperienze più importanti, che sono anche le loro preoccupazioni principali: il pluralismo religioso e culturale dei popoli asiatici e l’incidenza di una povertà di massa». Ne consegue quindi che «Gesù è rilevante per l'Asia non perché la maggioranza della popolazione asiatica è di fede non cristiana, ma perché è povera».
E questo ci porta alla questione di come i vescovi asiatici guardino alle altre religioni. Fin dall'inizio la loro posizione è stata inequivocabile. La prima Assemblea plenaria della Fabc fu esplicita nel considerare le altre religioni come «elementi davvero significativi e positivi per l'economia del disegno divino di salvezza» (FABC I, art. 14). I vescovi sono sempre stati consapevoli del fatto che le religioni dell'Asia sono state la fonte e l’ispirazione per generazioni di persone, contribuendo per millenni allo sviluppo spirituale e alla crescita del Continente. E di conseguenza si sono chiesti: «Come sarebbe possibile, allora, non tributare loro onore? Come non riconoscere che Dio ha attratto a sé i nostri popoli attraverso di loro?» (FABC I, art. 15). La pluralità delle religioni, hanno proseguito, è non solo tollerata ma accettata come parte del disegno divino di salvezza per gli esseri umani: «Le grandi religioni dell’Asia, con le loro credenze, i loro culti e i rispettivi codici ci rivelano diversi modi di rispondere a Dio, il cui Spirito è all’opera in tutti i popoli e in tutte le culture». «La diversità - sostengono - non è qualcosa da deplorare e da abolire, ma da lodare e da promuovere, come ricchezza e come forza. L'armonia non è semplicemente l'assenza di conflitto, una sorta di “vivi e lascia vivere”. La vera armonia è nell’accettazione della diversità come ricchezza».
Se c'è un concetto alla base di tutta la riflessione teologica della FABC, questo è l’armonia. Nel confronto con le realtà dell'Asia, in particolare con la povertà, con l'ingiustizia e con il pluralismo culturale e religioso, il principio guida che ha plasmato il pensiero della FABC è il modo in cui le cose possono raggiungere una maggiore armonia. «Al centro della nostra visione della vita vi è il senso asiatico di riverenza nei confronti del mistero e del sacro, una spiritualità che coglie la sacralità della vita e la presenza del Trascendente e dei suoi doni anche nelle questioni banali, nella tragedia e nella vittoria, nella sconfitta e nell’integrità. Questa profonda interiorità conduce le persone a sperimentare l'armonia e la pace e infonde un senso etico in tutta la creazione» (FABC VI, art. 10).
VISIONE NON SIGNIFICA NECESSARIAMENTE RICEZIONE
Quanto ho appena esposto è la visione dei vescovi riguardo a ciò che la Chiesa dell'Asia dovrebbe essere e al modo in cui dovrebbe svilupparsi. Il che, purtroppo, non coincide necessariamente, o almeno non ancora, con quello che la Chiesa asiatica effettivamente è. Proprio come esiste un dibattito sull’ermeneutica della continuità rispetto a quella della discontinuità in relazione al Concilio Vaticano II, così la stessa discussione si ritrova in Asia per quanto riguarda gli insegnamenti, il ruolo e la statura della FABC. Se, su un piano teorico, la FABC ha elaborato una serie di insegnamenti dirompenti rispetto agli insegnamenti classici e tradizionali sulla missione ed evangelizzazione della Chiesa, alcuni vescovi asiatici, quelli più legati ad approcci colonialisti, preferiscono interpretazioni più in continuità con la storia della missione asiatica. Basti dire che la ricezione degli insegnamenti della FABC è stata, nella migliore delle ipotesi, ambigua. Esiste, inoltre, anche il problema dello statuto e dell’autorità delle Conferenze episcopali regionali, come la FABC (o il CELAM o la Conferenza episcopale australiana). Infatti, in base agli statuti della FABC, si tratterebbe di una «associazione volontaria» il cui scopo è quello di «promuovere la solidarietà tra i suoi membri e la corresponsabilità per il bene della Chiesa e della società in Asia». La FABC, dunque, è superfluo dirlo, manca di autorità e così i suoi insegnamenti e le sue raccomandazioni rimangono «senza effetto giuridico».
Ma, proprio come noi ci rallegriamo dei sedici documenti del Vaticano II e dello spirito di rinnovamento che hanno ispirato, possiamo anche gioire della visione e del progetto di rinnovamento di cui dispone la Chiesa asiatica. Se la realtà, sul territorio, non sembra coerente con questa visione, è in parte perché le richieste poste dalla fede cristiana sono enormi. Una Chiesa inculturata e aperta al dialogo è necessariamente accompagnata da un atteggiamento estraneo ad ogni esibizione trionfalistica della fede. Si tratta, purtroppo, di un lavoro difficile per la Chiesa in Asia. E ciò spiega in parte il fatto che oggi tale visione si trovi principalmente nei documenti della Federazione delle Conferenze Episcopali dell'Asia.
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