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Resistenza, non terrorismo!

Tratto da: Adista Notizie n° 43 del 01/12/2012

“Tu prendi la mia acqua, bruci i miei ulivi, distruggi la mia casa, rubi la mia terra, imprigioni mio padre, assassini mia madre, bombardi il mio paese, affami e umilii tutti noi, ma... il colpevole sono io: ti ho lanciato un razzo!”. Mi pare un’ottima sintesi del nuovo “pretesto” per attaccare Gaza. Dal 1948 i palestinesi sono in una condizione di espropriazione ed esilio. La diaspora palestinese conta nove milioni di persone. Dal 1967 i palestinesi “vivono” sotto occupazione militare: checkpoint, muro di segregazione, enormi difficoltà di accesso a terreni, ospedali, scuole. L’umiliazione è la loro vita quotidiana. Da decenni l'esercito israeliano conduce una sporca guerra fatta di esecuzioni extragiudiziali, omicidi di donne e bambini, distruzione delle infrastrutture economiche e sociali dei palestinesi, furto di terreni, sradicamento di ulivi. Da anni semina terrore e disperazione, ma non ha raggiunto l’obiettivo fondamentale: il popolo palestinese non ha rinunciato ai propri sogni di sovranità e indipendenza. Né ha dato sicurezza a Israele, malgrado la sua violenza distruttiva. In questi giorni si sono sentite voci di politici e di intellettuali, che un’ipocrita convenienza e copertura definisce “pacifisti”, favorevoli a una possibile deportazione e all'omicidio di massa dei palestinesi. La violenza razzista non vede persone, ma solo terroristi. Anche gli israeliani sono vittime in questa guerra. I carri armati non hanno potuto fermare la disperazione che esplode nei caffè o sugli autobus. E stanno uccidendo la scelta della “resistenza pacifica” attuata almeno dal 2006. Il cancro degli insediamenti ha fatto diventare l’esercito, Forza di Difesa di Israele, il braccio armato dei coloni. E mentre la Cisgiordania, passo dopo passo, diventa proprietà assoluta di Israele, lo sforzo mai confessato ma metodico è quello di rendere impossibile la vita a Gaza, sperando nella deportazione di un milione e mezzo di persone nella penisola del Sinai, dove “potrebbero vivere felici”! Israele ha cominciato la sua storia con la forza delle armi e non con quella del diritto... Ai vicini, dentro e fuori i suoi confini, ha sempre e solo mostrato un pugno pronto a colpire, mai una vera offerta di pace. Il “mantra” ripetuto dai media e dai politici di tutto il mondo è che Israele ha avuto attorno solo nemici pronti a colpirlo: ma con l'Egitto e la Giordania ha un trattato di pace; e rimpiange i vecchi regimi. Con la Siria aveva un modus vivendi favorevole, tanto che spera che sopravviva il regime di Assad. Con Gaza poteva non avere alcun problema se avesse dato vita a un dialogo vero, mentre così sta dando corpo e fiato agli estremisti. L'Iran è sufficientemente lontano e alle prese con problemi interni gravi per il regime; l'Iraq non conta più; tutti gli altri fanno affari con Israele... Dov'è quest’orda di nemici? Io credo invece che a Israele non convenga la pace! Perché dovrebbe accettare di non essere, come ora, padrone dell'acqua; perché dovrebbe dare ai palestinesi uno scampolo di terra che vuole invece per sé; perché dovrebbe riconoscere che ci sono cinque milioni di profughi che, se non possono rientrare, hanno almeno diritto a una compensazione economica; non gli conviene perché gli Usa non avrebbero più la necessità di tenere aperto il rubinetto di miliardi di dollari né continuare a fare di Israele la portaerei più armata del mondo; non gli conviene perché non potrebbe più pretendere la proprietà esclusiva di Gerusalemme... E allora, di fronte all’ennesimo massacro di civili, uomini, donne, bambini che “stupidamente” non vogliono andarsene dalla loro terra e dalla loro casa, non voglio essere equidistante! Quello Palestinese non si chiama “terrorismo”, ma Resistenza!

* parroco a San Giorgio in Castelceriolo (Alessandria)

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