In Palestina, sulle orme di Paolo VI e Atenagora
Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 20 del 31/05/2014
Carissimo papa Francesco, vescovo di Roma e primate dell’unità delle Chiese, e Bartolomeo, patriarca ecumenico di Costantinopoli, sono un monaco benedettino che cerca di vivere la sua fede e la sua esperienza monastica come pellegrino insieme agli impoveriti della Terra. Dom Hélder Câmara, vescovo che mi ha ordinato e maestro di vita, fin dal primo giorno mi ha indicato la strada dell’unità come via maestra per ritornare al primo amore. Le ultime parole che ho ricevuto da lui, dieci giorni prima della sua morte, e che ho accolto come una consegna, sono state: «Non lasciare cadere la profezia!».
In questo spirito, mi permetto di scrivervi questa lettera aperta in vista del vostro pellegrinaggio alla terra di Gesù.
Vi ringrazio molto per questo gesto profetico. Riprendendo l’incontro fraterno tra papa Paolo VI e il patriarca Atenagora a Gerusalemme, state dando un nuovo segno d’unità tra le Chiese d’Oriente e la Chiesa Latina. Il vostro incontro a Gerusalemme ci ricorda il primo incontro dei discepoli di Gesù che ha segnato la più profonda apertura della Chiesa ai gentili (At 15). In questa chiave, ringraziamo profondamente il dialogo semplice, umano e amorevole che papa Giovanni XXIII e il patriarca Atenagora avevano saputo sviluppare con umanità e che voi avete ripreso e attualizzato.
50 anni fa, papa Paolo VI e il patriarca Atenagora hanno revocato le reciproche scomuniche. In tal modo, hanno liberato le loro Chiese da un peso del passato che aveva reso le Chiese ostili e incapaci di riconoscere reciprocamente i segni del Risorto. Ora, se loro hanno avuto il coraggio di liberare il passato, noi vi chiediamo il coraggio di liberare il futuro. Questo significa non solo la possibilità di rimuovere gli ostacoli al dialogo, ma di fare del dialogo la forma permanente del nostro essere Chiesa. Se a partire da questo viaggio, voi scriverete e firmerete insieme qualche messaggio al mondo, tutti vi ringrazieremo per questo segno di unità nel ministero di Cristo.
Voi andate a pregare a Betlemme presso il luogo della Natività, a Gerusalemme al Cenacolo e al Santo Sepolcro.
Se Betlemme ci ricorda l’atto della nascita, ci ricorda altresì la possibilità di rinascere. Questo gesto ecumenico del vostro pellegrinaggio ha il sapore di una possibile rinascita, di riaprire cioè l’orizzonte indicato da papa Giovanni tornando alle sorgenti della fede. Tutte le Chiese cristiane aspettano molto dal Concilio Panortodosso che l’Ortodossia sta preparando. Così come dallo stile maggiormente sinodale che papa Francesco propone alla Chiesa Latina. Tutti speriamo che ciò possa aiutarci a riprendere la prassi ecclesiale dei primi secoli del Cristianesimo.
A Gerusalemme, il Cenacolo ci ricorda le parole del patriarca Atenagora: «L’unica vera teologia che può guidare le Chiese è la teologia eucaristica». «Il luogo dove non vi è più separazione, ma soltanto il grande amore, la grande gioia è il Calice, il santo Graal, nel cuore della Chiesa». Sarebbe bello vedere il vescovo di Roma e il patriarca di Costantinopoli, pubblicamente, lavarsi reciprocamente i piedi, testimoniando così la reciproca fonte del loro servizio. Questo gesto indicherebbe un passo nuovo nel cammino ecumenico di tutte le Chiese. Perché questo avvenga, sarebbe importante che la Chiesa cattolica decidesse di entrare a pieno titolo nel Consiglio Ecumenico delle Chiese.
Tutti noi cristiani vogliamo essere con voi nella preghiera presso il Santo Sepolcro. In realtà, non si può negare che nei secoli la pietra del Santo Sepolcro sia stata trasformata in una pietra di scandalo.
Il luogo della comunione e della donazione della vita offerta per amore è diventato luogo di violenze e guerre. Per questo, è urgente una profezia nuova di solidarietà alle vittime delle violenze di oggi. Pensiamo concretamente al popolo palestinese, sotto occupazione militare e sotto sempre nuove forme di colonizzazione. In comunione con quella parte delle comunità ebraiche a cui sta a cuore la pace e la nonviolenza, aiutate il mondo a svelare l’oppressione che soffre il popolo palestinese!
Noi crediamo che accanto alle orme dei vostri piedi ci saranno sempre in questo pellegrinaggio anche le orme dei vostri predecessori Paolo VI e Atenagora. C’è infatti una profonda relazione tra il visibile e l’invisibile, tra il già e il non ancora. Se, un giorno, le nostre Chiese, al di là della prassi attuale di canonizzazione, potessero riconoscere reciprocamente i propri santi, come anche quelli delle altre Chiese cristiane e delle diverse religioni in quanto giusti dell’umanità e testimoni dell’amore universale, si potrebbero venerare in una comune liturgia uomini come Atenagora e Giovanni XXIII.
Vi pensiamo come pellegrini di Emmaus che tornano verso Gerusalemme. Il vostro cuore arde nel cuore del mondo, le vostre domande al pellegrino risorto interpellano tutti noi e il vostro scrutare insieme le Scritture danno una nuova luce ai nostri occhi. Nella speranza di spezzare insieme a tutte le Chiese il pane della comunione, preghiamo con voi l’invocazione evangelica: «Rimani con noi, Signore, perché si fa sera».
Nella gioia della nostra comunione, vi domando la vostra preghiera e la vostra benedizione.
Il vostro servitore minore,
il fratello Marcelo Barros.
* Monaco benedettino e teologo della Liberazione brasiliano
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