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Quando il caos è preferibile allo status quo. Contro la falsa pace della supremazia bianca

Tratto da: Adista Documenti n° 12 del 28/03/2015

DOC-2700. ST. LOUIS-ADISTA. Come ogni essere umano sperimenta a più riprese nell’arco della propria vita, di ogni storia esiste ben più di una versione. Voce narrante e taglio temporale fanno per esempio emergere con più forza un aspetto piuttosto che un altro. La scelta stessa del frammento da raccontare la dice lunga sul posizionamento del narratore. Tutto ciò, come sappiamo, ha precise conseguenze sulla percezione degli eventi da parte dell’ascoltatore. E, se parliamo di informazione, da parte dell’opinione pubblica: per questo, chi racconta o scrive una storia ha l’“obbligo” di fornire una versione che sia quanto più possibile aderente ai fatti e che tenga conto di tutto l’insieme dei fattori in gioco. Partendo dall’inizio della storia e chiamando le cose con il loro nome. 

E se il mondo dell’informazione ci ha dato spesso motivo, purtroppo, di diffidare delle storie che racconta, ci si aspetterebbe qualcosa di più da parte di chi – come la Chiesa cattolica – per definizione dovrebbe schierarsi dalla parte dei più deboli e dei senza voce. E invece, come sappiamo, non sono state poche le occasioni, lungo l’arco della storia, in cui la Chiesa ha scelto di sposare la narrazione dominante, ponendosi dal lato del più forte, di chi insomma ha il potere di scrivere e tramandare la propria versione dei fatti.

Proprio quello che è successo, secondo la teologa statunitense Katie Grimes, con gli eventi che negli ultimi mesi hanno interessato la cittadina di Ferguson, negli Stati Uniti, a seguito dell’omicidio, il 9 agosto dello scorso anno, di un giovane ragazzo nero, Michael Brown, da parte di un poliziotto bianco, Darren Wilson. Anche l’arcivescovo di St. Louis, mons. Robert Carlson (sotto la cui giurisdizione ricade Ferguson), ha risposto agli eventi seguiti all’omicidio raccontando una storia. Ma di fronte alle manifestazioni, anche violente, di rabbia e insofferenza dei cittadini neri – soprattutto dopo che, in novembre, il grand jury ha deciso di non incriminare Wilson – anziché ribaltare i miti su cui si basa la supremazia bianca, l’arcivescovo li ha fatti propri. 

In tre documenti focalizzati sulla questione e diffusi a distanza di pochi mesi l’uno dall’altro, mons. Carlson condanna la violenza con fervente risolutezza e, «dando l’impressione di sposare un pacifismo che non ammette eccezioni, esorta i fedeli a “rigettare ogni falsa e vuota speranza che la violenza possa risolvere i problemi”». Ma «mentre rifiuta l’uso della violenza da parte dei manifestanti, non rifiuta quello da parte dello Stato», scrive Grimes, sottolineando di non essere riuscita a trovare una sola dichiarazione in cui l’arcivescovo «esorti i membri cattolici dell’esercito a “rigettare ogni falsa e vuota speranza che la violenza possa risolvere i problemi”. L’arcivescovo Carlson – prosegue Grimes – insiste sul pacifismo per gli uomini e le donne neri che protestano contro la violenza della supremazia bianca, ma permette la violenza di molti altri». «Pace, per lui – scrive ancora la teologa – non sembra essere l’opposto della violenza ma ciò che disturba lo status quo»: «Più che la giustizia – continua – l’arcivescovo vuole il ripristino del tranquillo, o meglio basato sulla supremazia bianca, ordine sociale». «Come molti bianchi, mons. Carlson considera il “razzismo” un problema da risolvere anziché un mondo da disfare. Per questa ragione, crede che si possa lottare contro il razzismo senza scivolare nel caos». E invece, «anziché mediare tra due parti, la Chiesa dovrebbe stare dalla parte di quanti lottano con più coraggio contro la supremazia bianca. Ma non potrà farlo – conclude la teologa – fino a quando non imparerà a preferire il caos razziale che sembra violenza alla violenza della supremazia bianca che passa per pace».

Vi proponiamo, in una nostra traduzione dall’inglese, il testo dell’intervento di Katie Grimes pubblicato il 13 febbraio scorso sul blog “Women in theology”, di cui è una delle animatrici.

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