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Cambiare il linguaggio sulla Divinità. La sfida della teologia femminista

Cambiare il linguaggio sulla Divinità. La sfida della teologia femminista

Tratto da: Adista Documenti n° 14 del 16/04/2016

DOC-2775. ROMA-ADISTA. È sicuramente uno dei versanti più vitali e fecondi della ricerca teologica, ma, ancora oggi, il paradigma di genere fa molta fatica ad affermarsi: se, infatti, la categoria di genere appare sempre più come uno strumento di riferimento obbligato per tutta la teologia, implicando una trasformazione trasversale in direzione di un completo e radicale superamento del patriarcalismo, è un fatto che le concezioni maschili e patriarcali della Divinità dominano ancora praticamente incontrastate, spesso e volentieri anche all'interno della Teologia della Liberazione. È quanto per esempio evidenzia la teologa e femminista colombiana Carmiña Navia, nel suo intervento sulla rappresentazione femminile nella TdL, apparso sull'ultimo numero di Voices (1/2016), la storica rivista di teologia dell’Associazione Ecumenica dei Teologi e delle Teologhe del Terzo Mondo (Eatwot o Asett), per iniziativa della Commissione Donne dell'America Latina dell'Eatwot. 

Dedicato alle “Ricerche della teologia femminista”, il numero riconosce come, a partire dagli anni '60, bibliste e teologhe femministe abbiano rivendicato - afferma nella presentazione la coordinatrice della Commissione Olga Consuelo Vélez Caro - «una presenza delle donne negli spazi ecclesiali, teologici e liturgici e non una presenza qualunque», magari limitata all'ambito tradizionalmente assegnato alle donne dalla società e dalla Chiesa (quello legato all'intuizione, alla sensibilità, alla tenerezza, alla cura), bensì una presenza «che restituisca loro quella dignità negata per tanti secoli dal maschilismo e dall'androcentrismo imperanti e che consenta loro una partecipazione effettiva e affettiva in tutti gli spazi pubblici». Un cammino, prosegue la teologa, che «ha dato i suoi frutti», ma che è ben lungi dal concludersi, sia per il fatto che, «sebbene siano stati aperti degli spazi, questi non risultano accessibili a tutte le donne di tutti i luoghi», sia perché «la mentalità androcentrica non cambia tanto facilmente ed è questa che continua a configurare ricerche e realizzazioni tanto di uomini quanto di donne». Ma se è impossibile «parlare di un cammino omogeneo nelle ricerche teologiche femministe, né di uno sviluppo lineare», si può di certo almeno «constatare la creatività, l'insistenza, l'audacia e molti altri atteggiamenti che accompagnano tali ricerche». E che si ritrovano pienamente negli articoli di questo numero, sia che partano dall'esperienza quotidiana, come fa la teologa coreana Meehyun Chung nel suo articolo su “Militarismo e genere”, sia che evidenzino l'importanza e la forza del linguaggio nel compito di aprire nuove strade, come nel caso della riflessione su “Spiritualità e resistenza” della teologa brasiliana Ivone Gebara, sia che mirino a riscattare il protagonismo delle figure femminili nelle prime comunità cristiane, poi spazzato via dal patriarcalismo istituzionale: dal ruolo di Marta nel Vangelo di Giovanni (come colei che riceve e proclama la rivelazione centrale di Gesù; cfr. Gv 11,17-32), su cui pone l'accento la brasiliana Mercedes Lopes, al «ministero apostolico» di Maria Maddalena, su cui si sofferma la colombiana Socorro Vivas, sottolineando come la donna abbia accompagnato Gesù fin dall'inizio e sia stata la prima ad annunciarne la resurrezione, assumendo in tal modo a pieno titolo il ruolo di apostola più che di semplice discepola. Un ruolo, questo, che - prosegue Vivas - sarebbe stato disconosciuto proprio in virtù della cultura patriarcale e della misoginia imperante, a causa delle quali nella storia della Chiesa sarebbe piuttosto prevalsa la visione di Maria Maddalena come prostituta pentita, malgrado i vangeli non autorizzino tale lettura da nessuna parte. E ciò proprio perché, come sottolinea la teologa colombiana, di certo «parlare della Maddalena come di una donna pentita e convertita alla sequela di Gesù non è la stessa cosa che “annunciarla” e “nominarla” come colei che è stata presente nei momenti significativi della vita di Gesù e che ha esercitato un ruolo importante in tutto il processo di costruzione della Chiesa primitiva». E poco importa che il vero impatto di Maria Maddalena e di altre donne nella storia del cristianesimo non possa più essere chiarito oggi nelle sue reali dimensioni: la ricerca teologica è chiamata comunque ad avanzare su questa strada, «perché la distorsione e il silenzio rispetto all'esercizio ministeriale è un debito che donne e uomini credenti hanno contratto con la loro stessa storia di vita e con il passato». 

Un Dio al maschile

E in questo debito, evidenzia Carmiña Navia, un ruolo determinante lo gioca proprio «il problema del linguaggio sulla Divinità, delle sue immagini e dei suoi simboli». Non ci sono dubbi, infatti, che l'esclusione della donna dal pensiero teologico abbia «contribuito al fatto che la rappresentazione di Dio si sia sempre data in termini maschili. La teologia cristiana ha preso corpo in una matrice patriarcale» e «Dio, al di là delle dichiarazioni ufficiali secondo cui non ha sesso, è stato sempre concepito come un maschio». Con conseguenze di non poco conto: come afferma Carol P. Christ, «le religioni centrate sull'adorazione di un Dio maschile creano “disposizioni d'animo” e “motivazioni” che mantengono le donne in uno stato di dipendenza psicologica dagli uomini e dall'autorità maschile e che al tempo stesso legittimano l'autorità politica e sociale di padri e figli nelle istituzioni. I sistemi simbolici religiosi centrati esclusivamente su immagini maschili della Divinità creano l'impressione che il potere delle donne non potrà mai essere totalmente legittimo o benefico». È per questo, conclude, che la Teologia femminista ha assunto il linguaggio come uno dei suoi campi di battaglia: «Perché non si tratta di rimescolare alcune cose in maniera che tutto resti uguale, ma di trasmettere alle donne credenti strumenti per la costruzione della loro identità nel senso di una radicale autoaffermazione».

Vi proponiamo, in una nostra traduzione dallo spagnolo, l'intervento di Carmiña Navia, rimandando per la lettura integrale del numero al sito di Voices

* L'immagine è un particolare della copertina del numero di Voices

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