La profezia della terra e gli spiriti della natura
Tratto da: Adista Documenti n° 24 del 01/07/2017
Tra le sfide che l'umanità si trova di fronte, quella ecologica rappresenta certamente la più grave espressione della malattia che colpisce il nostro Pianeta vivente. Secondo papa Francesco, la radice dell'intero problema è nella questione culturale (e spirituale), cioè nel modo in cui l'essere umano si relaziona con la Terra, la nostra casa comune. Finora, le culture indigene e afrodiscendenti, più legate alla sacralità della natura, sembrano aver conservato una saggezza che oggi risulta preziosa per tutti. Cerchiamo di comprendere meglio questo modo di vedere la terra e di relazionarci con essa.
1. La terra ha una profezia
Per la fede giudaico-cristiana, il termine “profeta” o “profetessa” indica colui o colei che parla in nome di Dio. In tal senso, solo un umano potrebbe essere profeta. Tuttavia, i salmi invitano la terra e il cielo a gioire e a esultare nel Signore (Sal 96 e 97) e proclamano che la terra è piena della gloria di Dio (Sal 33, 5; 72, 19; 119, 64). La terra, allora, ha un messaggio da trasmettere, una profezia. Nelle tradizioni dei popoli originari, indigeni e neri, la relazione con la terra è così viva e profonda da permeare tutta la spiritualità, la quale si basa proprio sul dialogo e sull'intimità con essa, madre divina che ci genera, ci accoglie, ci protegge e ci guida.
2. Il cerchio della Vita
In passato, preti e pastori condannarono e perseguitarono le religioni indigene e nere. Oggi, nel valorizzare tali tradizioni, le comunità cristiane pagano un debito sociale e compiono un dovere di giustizia. Di più: scoprono che Dio si rivela a noi cristiani non solo attraverso la Bibbia e la tradizione, ma anche attraverso la saggezza ancestrale trasmessa dalle tradizioni indigene e nere. È per loro tramite che lo Spirito Divino opera oggi nel mondo e «rinnova la faccia della Terra» (Sal 104). In questo cammino, il primo elemento è dato dalla scoperta della sacralità della Terra e della natura. Tutto ha uno “spirito”. Tutto è vivo e ha un cuore che palpita di amore e vitalità. Nelle culture andine, questo principio divino, presente nella Terra e nella natura, si chiama Pachamama. Un teologo aymara, Victor Bascopé, afferma: «Per noi andini, la Pachamama non è semplicemente la terra. È la Madre che si rivela per mezzo dell'energia vitale della terra. È lo Spirito Madre immanente alla terra che incontriamo in tutti gli esseri che la terra produce e ci dona». Secondo Eleazar López Hernández, teologo zapoteca messicano, «Siamo tutti Pachamama, figli della Madre-Terra, figli del Cosmo. Non esiste dicotomia o separazione tra essere umano e natura». Allo stesso modo, i popoli indigeni del Nordamerica vivono lo sciamanesimo come mezzo per sintonizzare questa energia occulta che unisce cielo e terra, umanità e cosmo. Per secoli, gli indigeni cherokee hanno mantenuto segreti i propri rituali e le proprie credenze, finché, di recente, non hanno deciso di pubblicare le proprie esperienze spirituali per contribuire alla pace e all'unità del cosmo. In un libro-rivelazione, lo sciamano afferma: «Dopo la tenebrosa notte (della conquista), i vecchi che riuscirono a sopravvivere ci passarono il fuoco della saggezza, ristabilendo la giusta relazione con la Terra-Madre e con tutta la natura e trasmettendoci queste chiavi affinché il circolo della vita possa rinnovarsi» (Dhyani Ywahoo). Anche in Brasile, i guarani e gli indios delle 150 etnie del Paese hanno mostrato come il loro legame con la terra sia una relazione di venerazione e di amore. Un film-documentario del regista francese Vincent Carelli intitolato "Martirio" racconta la storia e la situazione attuale degli indios guaranikaiowá del Mato Grosso do Sul, i quali, espulsi dalle loro terre ancestrali a partire dai primi del '900, vi fanno ritorno anche a rischio della vita, finendo in molti casi per venire uccisi. Molti di loro dicono: «Sono tornato nella terra dei miei antenati per morire ed essere sepolto qui». Per i bianchi, la proprietà della terra è un problema politico ed economico. Per gli indios, è un'esperienza religiosa, mistica. Kaká Werá, indigeno tapuia che lavora in tutto il Brasile sulla spiritualità sciamanica, ha pubblicato una raccolta di canti spirituali dei tupi-guarani, dal titolo O Trovão e o Vento (“Il tuono e il vento”). E, nel 2015, è apparso in Brasile il libro A queda do céu (“La caduta del cielo”) di Davi Kopenawa e Bruce Albert, in cui lo sciamano yanomami Davi Kopenawa ci rivela che “il cielo può cadere sulle nostre teste”, in conseguenza dei cambiamenti climatici e degli abusi della società nei confronti della natura. E, sottolineando l'urgente necessità di rinunciare a un modello di civiltà che distrugge la foresta e la natura, afferma che «più importante di tutto è udire nuovamente gli Xapiris, gli spiriti delle foreste, e chiedere loro di aiutare a ripristinare l'equilibrio perduto per scongiurare “la caduta del cielo”». Davi Kopenawa dice alla società bianca: «Penso che dovreste sognare la Terra, in quanto essa ha un cuore e respira. Sognatela e amatela, perché è bella e vi dà vita».
3. L'incontro con la cultura occidentale
Gli scienziati che si occupano di fisica quantistica affermano che «l'universo e la Terra si manifestano come una realtà relazionale. Il mondo non è solo realtà concreta. È anche e soprattutto potenzialità. C'è un'interazione tra esseri animati e inanimati. E la realizzazione delle potenzialità avviene in ogni momento come creazione» (Hans-Peter Durr, Anche la Scienza parla soltanto per metafore, Verona, Gabrielli Editori, 2015, pp. 74 ss.). Aumenta sempre di più il numero di studiosi che scoprono come il pianeta stesso si comporti come una specie di grande organismo vivente. Già diversi decenni fa James Lovelock formulò la Teoria di Gaia, mostrando come la Terra abbia una respirazione e persino una pulsazione equivalente a quella di un essere vivente. Dai popoli indigeni la Madre Terra è trattata come lo spazio degli spiriti. Nella maggior parte delle culture indigene, il femminile è il veicolo privilegiato dell'incontro con il Mistero Divino. La Pachamama sintetizza una spiritualità che corrisponde alla proposta da parte della Teologia Femminista di una nuova relazione con la Terra e la vita. In alcune tradizioni indigene, l'universo è visto come il corpo di una donna incinta. E merita la cura che una gravidanza ha il diritto di ricevere. Per secoli, la modalità indigena e nera di relazionarsi con l'universo è rimasta limitata alle comunità originarie. Negli ultimi decenni, a partire dal risorgere degli indios nel sud del Messico e dall'articolazione dei movimenti indigeni in tutto il continente, le religioni ancestrali si sono viste riconoscere una nuova importanza ed è cresciuto il dialogo tra le diverse tradizioni, con la conseguente nascita, da parte di settori indigeni, di una lettura laica e politica di questa spiritualità. Questo segreto d'amore è stato condiviso con gli alleati delle comunità indigene e con i movimenti sociali. A partire dagli anni '90, tale cosmovisione basata sulla Pachamama andina e su concetti equivalenti in altre culture si è concretizzata in ciò che gli andini chiamano Buen vivir.
4. Il Buen vivir: una teologia laica della creazione
Il termine Buen vivir viene dagli indios quechua e aymara che vivono nella Cordigliera delle Ande. I quechua parlano di Buen vivir (sumak kawsay), gli aymara di Bien vivir (suma qamaña), i guarani di “Vita buona e giusta” (teko-porã). Ogni cultura accentua un determinato aspetto o valore. Tale cosmovisione spirituale, non legata a una religione specifica, integra la terra, la natura, i popoli originari e l'umanità. Nelle culture indigene, il Buen vivir è un concetto antico e tradizionale, presente nei miti e nelle cosmovisioni di vari popoli indigeni, esprimendo una cultura comunitaria le cui implicazioni concrete sono: 1) l'uso sostenibile e il controllo pubblico delle risorse naturali, specialmente di quelle rinnovabili. È la sostenibilità, non lo sviluppo, la priorità del cammino della società; 2) la priorità del valore d'uso sul valore di scambio e sul commercio. Il Buen vivir incentiva la condivisione come fondamento di una nuova economia solidale; 3) la realizzazione nella comunità di una democrazia generalizzata e reale. Se la democrazia formale si basa sulle elezioni e sulla vittoria della maggioranza, nelle comunità che si ispirano al paradigma del Buen vivir si persegue instancabilmente il dialogo, anche qualora sia difficile, finché non si raggiunga una qualche forma di consenso; 4) l'esercizio della multi-culturalità, ossia il riconoscimento degli altri e la convivenza inclusiva. Il Buen vivir si traduce in una rete di solidarietà diretta a superare le disuguaglianze sociali, a restituire la dignità a tutte le persone e a elevare l'autostima di quelli/e che si trovano in uno stato di prostrazione. Il Buen vivir alimenta in noi la fiducia nella possibilità della grande Utopia della fraternità universale tra tutti i popoli e nella lotta pacifica affinché questo sogno possa realizzarsi. A partire dal concetto di Pachamama e di Buen vivir, la nuova Costituzione dell'Ecuador formula e incorpora nel testo costituzionale i diritti della Terra e della natura e riconosce il Paese come Stato plurietnico e interculturale.
5. Il Buen vivir nell'universo come corpo di Dio
Quando parliamo di Dio, usiamo un linguaggio analogico, che molte volte ha espresso una sorta di certezza dogmatica e quasi arrogante che siamo chiamati a evitare. Il linguaggio della cultura del Buen vivir rispetta il mistero, parlando degli spiriti dell'universo e del cuore della terra come energie, e intuendo, dietro a tutto, un Mistero ultimo, di cui si parla poco. Scopriamo la presenza dello Spirito nella Terra e nella natura, ma in un modo che non possiamo dominare. La fede ci fa “vedere” lo Spirito presente in ogni particella, in ogni atomo di questo immenso universo in evoluzione. Per chi crede, attentare all'esistenza di un essere vivente o distruggere un ecosistema non significa solo insidiare il progetto divino, ma anche aggredire lo Spirito Madre che ha nell'universo il suo corpo. Attaccando la terra, il sistema capitalista impedisce alla natura gravida di manifestare la presenza del Verbo.
Nella Laudato si', papa Francesco afferma: «Per la tradizione giudeo-cristiana, dire “creazione” è più che dire natura, perché ha a che vedere con un progetto dell’amore di Dio, dove ogni creatura ha un valore e un significato. (…) La creazione può essere compresa solo come un dono che scaturisce dalla mano aperta del Padre di tutti, come una realtà illuminata dall’amore che ci convoca a una comunione universale». E secondo il teologo francese Adolphe Gesché, «la categoria teologica della creazione offre a chi crede l'opportunità di rispettare e di ascoltare il cosmo in sé, la terra in sé, lungi da qualunque forma di dominio e di sfruttamento». Se il cosmo è il Corpo di Dio, qualunque parola o profezia dovrà essere cercata nella realtà stessa. Non esiste e non esisterà una parola che sia al di fuori o al di là del nucleo di questa realtà. È nella stessa terra crocifissa e nella crisi ecologica della terra, dell'acqua e dell'umanità che dobbiamo scoprire la profezia del Cosmo. Ed è necessario valorizzare come profezia i segni e i simboli di resistenza e di organizzazione anche precaria del popolo.
6. Il soffio dello Spirito che feconda la Terra e l'umanità
Le tradizioni originarie insistono sulla necessità di vivere in comunione con “lo spirito della terra e dell'universo”. Per noi cristiani, questo spirito è lo stesso Spirito Divino presente nell'atto della creazione continua. Della creazione, cioè, che non è avvenuta solo all'inizio dei tempi ma che è attuale e continua, opera permanente dello Spirito. Un cammino in cui possiamo cogliere un segnale dell'illuminazione dello Spirito Madre, che assume le espressioni di ogni popolo. Non a caso, nella sua Storia della Chiesa in America Latina, Enrique Dussel indica la Pachamama dei popoli dell'Altipiano come immagine dello Spirito Santo. E anche Leonardo Boff insegna che già nella Bibbia lo Spirito è visto come energia, come ambiente vitale. A partire da questa fede, possiamo vivere le nostre lotte sociali e politiche per un nuovo mondo possibile e per la cura della Madre Terra come espressione del Buen vivir, trasformando la nostra modalità di convivenza, come suggeriva Pedro Casaldáliga nell'introduzione dell'Agenda Latinoamericana del 2012.
7. Incarnazioni del Verbo nella terra crocifissa
In tutta la tradizione cristiana, si è sempre valorizzato quello che, a partire da alcune lettere paoline, abbiamo chiamato “Cristo cosmico” (cfr Ef, 1, 23 e Col 1, 15- 20). Nel XX secolo, Theilard de Chardin riprese tale visione, che è stata accettata e citata da papa Francesco nella Laudato si' (83). Alguni teologi e teologhe hanno proposto di guardare alla creazione come a una permanente e reale incarnazione divina. Catherine Keller e Sallie Mc Fague affermano: «Si può parlare del mondo come divino. Il divino è fisico e spirituale. Come lo siamo tutti noi. Non c'è divisione tra materia e spirito, corpo e anima, natura e umanità, mondo e Dio. Questa verità è l'essenza del pensiero sull'incarnazione e sulla compassione in relazione al mondo». La Chiesa ha sempre parlato di kenosis o di svuotamento del Cristo in relazione alla sua missione redentrice (Fl 2, 5- 10). Era il modo in cui si diceva che Cristo si è incarnato nel mondo in maniera povera e umile. Questo progetto di vivere l'inserimento o l'incarnazione in una realtà povera e conflittuale non è solo di Gesù. Nella realtà della terra e nella resistenza risuscitata dei popoli originari, è lo stesso Spirito che sta in croce come in una nuova kenosis. Leonardo Boff ha affermato: «Il mondo è gravido dello Spirito, anche quando lo spirito di iniquità persevera nella sua opera, ostile alla vita e a tutto ciò che è sacro e divino. Lo Spirito è invincibile». È possibile che, per riuscire ad ascoltare e ad accogliere questa profezia dello Spirito, si debba accettare di calarci anche noi in questa modalità, con umiltà e pazienza, divenendo così capaci di cogliere la presenza divina nell'umano e nella natura e di scoprirne l'energia liberatrice anche in mezzo a tante forze di morte. Il Buen vivir invita tutte le persone di buona volontà a unirsi a questa esperienza di Davi Kopenawa, sciamano dell'Amazzonia: «Gli spiriti ci fanno rinascere come bambini. Se tu li accogli, puoi tornare a rinascere come se fossi ancora rosso del sangue del parto. Gli spiriti femminili della foresta ci cullano tra le loro braccia. Ci allattano e si prendono cura di noi. E ci insegnano i misteriosi canti degli Xapiris. Se ti senti un solo corpo con la Terra, vivrai quello che sto raccontando».
* Marcelo Barros è monaco benedettino; biblista e teologo della liberazione brasiliano, autore di oltre 40 libri, fa parte della Commissione Teologica Latinoamericana dell'Associazione Ecumenica di Teologi e Teologhe del Terzo Mondo (Asett).
* Immagine per gentile concessione dell'autore
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