La vocazione per l’umanità
Tratto da: Adista Documenti n° 13 del 14/04/2018
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Sono contento ed emozionato di aprire i lavori di celebrazione di questo cinquantesimo anniversario di Adista. Contento per il percorso sin qui fatto, che è sorprendente di per sé – un giornale che vive per 50 anni pressoché solo grazie alle sue forze è già un evento da celebrare – ma che sorprende ancora di più se si considera la posizione del tutto originale, nel panorama editoriale, all’interno della comunità cristiana, nell’agone politico che Adista ha assunto e che ha coerentemente difeso in tutto questo tempo.
Ma sono anche emozionato perché la storia di Adista corrisponde in larga parte alla mia storia personale. Ho conosciuto Adista negli anni ’70, quando lessi una cronaca che riferiva dell’attività della Comunità di Base che era attiva all’interno della mia parrocchia, a corso Calatafimi, a Palermo. Ero un parroco che si era già fortemente esposto con la Curia palermitana e con l’arcivescovo, il card. Pappalardo, ai tempi del referendum abrogativo della legge sul divorzio, allorché io e altri preti palermitani ci schierammo apertamente a sostegno delle ragioni del “no”. In quegli anni ero poi voluto entrare dentro l’ospedale psichiatrico che si trovava accanto alla mia parrocchia. Quei malati erano miei parrocchiani ed io avvertii l’esigenza di incontrarli e di capire cosa la parrocchia e la comunità cristiana potesse fare per loro. Trovai all’interno dell’ospedale condizioni terribili. Iniziai subito con la mia comunità una lunga battaglia per denunciare l’esistenza di un luogo dove ancora era possibile che esseri umani fossero incatenati e trattati come animali, in un contesto di abusi continui. E ciò era possibile per ignoranza, degrado, malaffare, unito al silenzio connivente del potere politico e di quello religioso su quella struttura, sui soldi pubblici e il potere che vi ruotava attorno e sugli esseri umani che ci vivevano. La nostra iniziativa si saldava allora con la battaglia per la riforma del regime manicomiale condotta da Franco Basaglia, che portò alla legge 180/78, che proponeva un altro modo di affrontare il disagio mentale, che andasse al di là della costrizione fisica e della violenza istituzionalizzata. L’impegno civile e la denuncia delle connivenze tra il potere ecclesiastico, la Dc, il malaffare, la mafia mi costrinse ad andare via da Palermo. Giunsi a Roma e mi ricordai dell’agenzia che aveva parlato della Comunità di Base di corso Calatafimi. Comincia così una collaborazione dapprima saltuaria, poi sempre più intensa. Era il 1978 e da allora non me ne andai più. Del resto, alla vocazione astratta per un Dio che esigeva novene e liturgie e sacramenti, si stava dentro di me progressivamente sostituendo la vocazione per il Dio incarnato dei sofferenti e degli emarginati, una vocazione più radicata nelle tante realtà che avevo incontrato nel corso del mio ministero: la vocazione per l’essere umano. Nel 1979 nacque la cooperativa, che per me rappresentava la possibilità di ampliare l’orizzonte politico ed ecclesiale della nostra informazione oltre la Sinistra Indipendente e il Pci.
In questi anni Adista ha combattuto tante battaglie ed è stata assieme a tanti testimoni del Vangelo e della giustizia nelle vaste trincee che ci hanno visti schierati a fianco di tanti uomini e donne, partiti, associazioni, realtà religiose e laicali nel tentativo di realizzare un’altra Chiesa dentro una società diversa.
Tra coloro che hanno combattuto con noi per la difesa del Vaticano II e la sua promozione e realizzazione e affinché le voci del Concilio non venissero soffocate dalla normalizzazione degli anni wojtyliani, ruiniani, ratzingeriani, ma anche andreottiani e infine berlusconiani, non posso non ricordare e non rendere grazie a Carlo Maria Martini che prima e durante il suo episcopato con spirito laico ci sosteneva, ci incoraggiava e ci consigliava. Negli anni ’80 in uno dei tanti colloqui affettuosi e cordiali che mi concedeva – perché ci conoscevamo sin dall'epoca in cui lui non era vescovo e io non ero ancora prete – mi consigliò di superare l’immagine di Adista come agenzia del “dissenso”, a favore della dimensione del “fermento”; poi aggiungeva anche il termine “frammento”. E con questo termine indicava le tantissime realtà, i movimenti, le associazioni i gruppi sparsi e spesso emarginati dall’istituzione ecclesiastica. Frammenti come quelli che nella celebrazione della messa restano dopo che il pane eucaristico è stato spezzato e che vanno raccolti meticolosamente affinché non si disperdano. Nella teologia cattolica, infatti, in ciascun frammento in cui si divide l'ostia è contenuta la stessa realtà dell'ostia intera. Ecco, Adista in questi anni si è sforzata di mantenere viva ed unita la comunità ecclesiale, in tutte le sue articolazioni, senza “dentro o fuori”, “buoni o cattivi”, “privilegiati e reietti”, anzi con una particolare attenzione e sollecitudine nei confronti di chi era stato emarginato, allontanato, ridotto al silenzio.
Una felice intuizione di Adista, di cui mi sento orgoglioso promotore, è stata quella delle “Omelie Fuoritempio”, una pagina settimanale nella quale coloro che per condizione o per scelta dell’autorità ecclesiastica non potevano predicare dentro il tempio potessero offrire ai lettori una lettura diversa e originale della Parola di Dio, incarnata nella storia, che avesse l’odore delle strade polverose piuttosto che dell’incenso delle liturgie solenni. Ebbene, nel corso di questi anni tante volte parroci e preti ci hanno chiamato per lamentare che Adista arrivava in ritardo nelle loro canoniche e non facevano in tempo a preparare la loro predica domenicale, che cercava di essere diversa dalla solita predica, sulla scia delle nostre “Omelie Fuoritempio”.
Tra le tante personalità verso cui Adista ha un debito di riconoscenza – dopo l’esempio di Martini sul fronte ecclesiale – non posso non ricordare, su un versante politico, la figura di Enrico Berlinguer. Il segretario del Pci quando l’ho conosciuto non sapeva dell'esistenza di Adista. Fu Tonino Tatò, il suo addetto stampa che veniva dalla Sinistra Cristiana, a volere che ci incontrassimo e a parlargli dell'esistenza di Adista. Berlinguer rimase particolarmente incuriosito della nostra attività e mi chiese se noi appartenessimo veramente alla Chiesa cattolica, o piuttosto – viste le nostre posizioni – se fossimo dei protestanti o di qualche altra confessione religiosa. Gli risposi che eravamo cristiani e cattolici, anche se non molto interessati alla Chiesa istituzionale e al Vaticano ma appassionati piuttosto di tutto quello che rappresentava il corpo vivo della comunità ecclesiale, soprattutto nella sua dimensione sociale e politica. Berlinguer riconosceva da parte sua che l’apporto dei cattolici alla crescita civile e politica del Paese era stato notevole. Ci sono stati durante i nostri colloqui momenti di confronto serrato e anche di polemica. Perché in fondo Berlinguer rappresentava e guidava un'altra “Chiesa” mentre noi di Adista andavamo contro tutte le Chiese, cioè contro quelle istituzioni che pretendono di gestire in maniera autoreferenziale e verticistica il potere. In questo senso Belinguer faceva fatica a concepire i rapporti con la Chiesa al di là e al di sopra delle relazioni diplomatiche di stampo “rodaniano”. Più volte mi invitò però alla scuola di formazione politica delle Frattocchie a parlare ai giovani quadri del partito, per fornire loro una lettura più ampia di quello che avveniva dentro il mondo cattolico e la Chiesa.
Forse il senso più immediato dell’importanza di ciò che l’informazione di Adista ha rappresentato e rappresenta ancora oggi nella Chiesa e nella società italiana viene da una piccola inserzione pubblicitaria, che troverete scorrendo le pagine del bel volume sui 50 anni della rivista. Tra le tante manchette in cui anno per anno promuoviamo le nostre campagne abbonamenti, ce n'è una che dice: «Questa pubblicità non promuove un prodotto, promuove un diritto. Il diritto all’informazione». Ecco: in un panorama editoriale, in un mondo dell’informazione così difficile e complesso, Adista a 50 anni di distanza dalla sua nascita rivendica ancora la sua ambizione di esistere per essere uno strumento al servizio di tutte le diversità, la voce di tutti coloro che non hanno voce presso l’informazione mainstream, degli emarginati e degli esclusi dentro e fuori la Chiesa. E rivendica il dovere di fare un’informazione non accomodante, anzi scomoda, che tuteli il diritto costituzionale di tutti ad essere informati nel modo più ampio, articolato e completo possibile. Con la stessa passione che ci ha fatto affrontare tutte le intemperie di questi primi 50 anni.
* Giovanni Avena (foto di Giampaolo Petrucci)
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