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Il patriarca Béchara Raï chiede aiuto alla Francia per il Libano, “vaso di coccio” fra Israele e Iran

Il patriarca Béchara Raï chiede aiuto alla Francia per il Libano, “vaso di coccio” fra Israele e Iran

BKERKÉ-ADISTA. «Ancora una volta, contiamo sul sostegno della Francia perché agisca con noi al fine di evitare che il Libano divenga un centro di crisi e di confronto fra Israele e l’Iran». Il patriarca dei maroniti, Béchara Raï, ha manifestato tutta la sua preoccupazione per la situazione del suo Paese e dell’area mediorientale parlando, dopo la messa “all’intenzione della Francia”, come è tradizione nel Paese ogni lunedì di Pasqua, davanti all’ambasciatore del Paese europeo, Bruno Foucher. E l’aiuto francese deve essere esteso all’«economia e al sistema politico libanese» perché non il Paese dei Cedri non crolli «sotto i numerosi fardelli accumulati dagli anni ’90 e amplificati a causa dalle molteplici crisi regionali dall’inondazione di 1.700.000 sfollati. Tutto questo fa in modo che il Paese si trovi ad un incrocio di strade che ci porterà o verso la salvezza se avremo il sostengo internazionale (…), o verso una crisi ancora più acuta in mancanza di responsabilità da parte dei dirigenti e dei politici».

«La violenza delle guerre, il coinvolgimento armato delle potenze regionali e internazionali, gli odii confessionali e gli sfollamenti forzati di milioni di persone verso i Paesi confinanti e verso l’Europa», ha insistito, «ci ricordano con paura il periodo del crollo dell’Impero ottomano, fra la metà del XIX secolo fino al Trattato di Losanna nel 1923; questo lungo ciclo che il famoso diplomatico ed esploratore norvegese Nansen aveva definito, nel suo discorso all’apertura della Conferenza di Losanna sulla “separazione dei popoli”, non ha smesso di riprodursi nel Levante: in Palestina nel 1947, a Cipro nel 1974, in Libano a partire dal 1975 e fino al 1990, oggi in Iraq e soprattutto in Siria». E allora, «ricordo con fierezza e a dispetto di tutte le difficoltà incontrate dopo», ha concluso sollecitando l’orgoglio francese, «che la Francia e il patriarcato maronita hanno preso la direzione contraria nel 1920, quello della coesistenza ugualitaria e libera delle comunità creando il Grande Libano».

«Malgrado le crisi che vive il Libano», ha risposto l’ambasciatore francese, «la dinamica politica  nella quale il Paese è impegnato offre numerose ragioni di speranza», anche in attesa delle elezioni legislative del prossimo 6 maggio. Come sempre, «nelle istanze internazionali», ha assicurato Foucher, «continueremo a stare a fianco del Libano», ricordando anche che, alla Conferenza di Roma, il15 marzo, la Francia si è impegnata ad aprire una linea di credito di 400 milioni di euro alle forze armate libanesi».

Rafforzare le forze armate libanesi nella crisi mediorientale ha un senso: è innegabile che il problema del Libano sia di avere al suo interno Hezbollah, il “partito di Dio”, supportato dall’Iran in tale misura che l’ala paramilitare di Hezbollah è considerata più forte dell’esercito libanese e controlla parte del territorio.  Ed è una minaccia estrema per Israele.

«Hezbollah – spiegava il 20 febbraio scorso Eugenio Dacrema in un’ampia analisi sulla rivista online e cartacea EastWest (disponibile in italiano e inglese in 3 continenti, 22 paesi e 250 città del mondo) – rappresenta oggi l’esperimento più riuscito di Teheran nella costituzione di un influente e stabile partito-milizia nell’area mediorientale». Ma oltre a «essere forza dominante all’interno della politica libanese, Hezbollah è diventato anche un attore determinante al servizio di Teheran all’interno del conflitto siriano, contribuendo direttamente alla formazione e all’addestramento di numerose milizie locali, diventate da subito più dipendenti e da Iran e Hezbollah che dal regime di Damasco. Voci insistenti indicano, inoltre, come Hezbollah abbia ampliato notevolmente la propria area di azione, arrivando addirittura ad assistere le operazioni delle milizie Houthi in Yemen». Infine, aggiungeva Dacrema, «Hezbollah è emerso nelle ultime due decadi come il non-state actor più temibile per Israele, specialmente dopo la breve guerra del 2006 che lo ha visto respingere, nonostante ingenti perdite, una massiccia offensiva israeliana in territorio libanese. L’ulteriore rafforzamento di Hezbollah avvenuto negli ultimi anni e l’allargamento della sua area di operazioni e influenza all’interno del territorio siriano agli occhi del governo israeliano rappresentano un crescente elemento di pericolo il cui ridimensionamento potrebbe richiedere un nuovo sforzo militare».

Israele dunque «non tollera più la crescita del proxy iraniano Hezbollah alla frontiera, il cui indebolimento è cruciale anche per il “piano di pace” israelo-palestinese disegnato da Usa e Arabia Saudita. E il conflitto può essere l’ultima chance di Netanyahu», coinvolto in casi di corruzione per i quali è indagato, «per restare al potere».

*Foto di Mohamed Ibrahim tratta da Wikimedia Commons immagine originale e licenza

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