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Dopo Assisi e Cagliari, approda in Campidoglio la mozione contro le bombe italiane ai sauditi

Dopo Assisi e Cagliari, approda in Campidoglio la mozione contro le bombe italiane ai sauditi

Tratto da: Adista Notizie n° 4 del 02/02/2019

39673 ROMA-ADISTA. Una mozione per fermare l’export di bombe made in Italy all’Arabia Saudita, che poi le usa per colpire la popolazione civile nello Yemen. L’hanno già approvata il Comune di Assisi e il Comune di Cagliari, quest’ultimo particolarmente sensibile al tema perché la fabbrica che produce le armi, la Rwm, si trova a Domusnovas, non distante dal capoluogo sardo (v. Adista notizie nn. 40 e 43/15; 6, 7, 9, 31 e 36/16; 19, 30 e 34/17; 19, 29 e 41/18). Le associazioni per la pace (fra le altre Un Ponte per…, Arci, Pro Civitate Christiana Assisi, Libera, Gruppo Abele, Archivio Disarmo, Movimento Nonviolento, Rete della Pace, Pax Christi, Amnesty International, Federazione Chiese evangeliche in Italia, Rete disarmo) e Adista lo chiedono anche al Comune di Roma, in un’assemblea pubblica in Campidoglio, il 28 gennaio alle 17.30. Adista ha intervistato Carlo Cefaloni, del Movimento dei Focolori, il principale promotore dell’iniziativa.

Come è la situazione in Yemen? A chi e a cosa servono le "nostre" bombe?

Dal 2015 è in corso un conflitto che, tra l’altro, ha portato la morte a quasi 85.000 bambini sotto i 5 anni e lasciato oltre l’80% della popolazione civile dipendente dagli aiuti umanitari. Noi esportiamo ordigni con destinazione Arabia Saudita, Paese a capo di una vasta coalizione che combatte i ribelli Houthi, sostenuti dall’Iran. La solita storia di conflitti per la supremazia geopolitica che si accanisce sulla popolazione civile con azioni di bombardamento che non risparmia scuole e ospedali. Secondo i dati dell’Istituto di ricerche internazionali Archivio Disarmo, nei primi nove mesi del 2018, sono state esportate all’Arabia Saudita armi e munizioni per 45.205.904 euro, di cui 44.941.621 euro dalla provincia di Cagliari, dove ha sede lo stabilimento produttivo delle bombe MK80, la Rwm Italia. Tale azienda è controllata dal gruppo tedesco Rheinmetall Defence.

Per quale motivo sollecitare i Comuni ad approvare una mozione contro le armi made in Italy in Yemen?

L’iniziativa è partita dal comune di Assisi (seguita finora da Cagliari, Bologna e Verona) nel segno dell’intuizione di Giorgio La Pira sul senso e destino delle città che resistono alla guerra. Un ponte di fraternità alternativo a quello imposto dalla realpolitik dei nostri governi. Quelli a guida Pd hanno rigettato le mozioni che chiedevano uno stop all’invio di armi verso un Paese in guerra come previsto dalla legge 185/90 e richiesta da numerose risoluzioni del Parlamento europeo. Ora il Movimento 5Stelle al governo non sembra intenzionato a fermare tale commercio. Ci sono dichiarazioni di intenti della ministra Elisabetta Trenta, subito rintuzzate dal sottosegretario agli esteri, il leghista Guglielmo Picchi. Il centro studi Machiavelli a lui molto vicino ha presentato una ricerca per confermare la necessità di sostenere il nostro rapporto di forniture militari a questo Paese decisivo per gli equilibri dell’area. “Se non le forniamo noi le armi, la guerra non si ferma e altri lo faranno al nostro posto”. Questo il pensiero molto chiaro del generale Morabito, già del Nato defence college, durante la presentazione della ricerca. Pesa il rapporto con gli Usa ovviamente, ma è questa la vocazione del nostro Paese. Dalle città e dai paesi può emergere in un vero dibattito pubblico, un diverso senso comune.

Cambiano i governi, ma nessuno sembra voler sostenere le politiche di disarmo, anzi... anche ora, con il “governo del cambiamento”, le bombe continuano a partire dalla Sardegna, confermiamo l'acquisto degli F35... Non c'è colore politico che tenga: come mai?

Manca una cultura politica realmente alternativa. C’è da dire che esiste un lento cambiamento di mentalità e presa di coscienza. Ad esempio i vescovi sardi hanno preso una posizione molto chiara a fine 2018, mentre la questione non era al centro della settimana sociale dei cattolici sul lavoro nel 2017. È la mancanza di convinzione nella società che incide su latitanza e collusione dei partiti.

A che punto è la campagna sulla Rwm? La riconversione è possibile? “Se si chiudono le fabbriche di armi, si perdono posti di lavoro”, si dice.

La Rwm si muove in un territorio martirizzato dalla crisi. Non pensare ad alternative reali di riconversione dell’economia espone la popolazione al ricatto occupazionale e al deserto produttivo nel caso di una possibile delocalizzazione, visto che l’Arabia Saudita coltiva idee di crescita di cultura industriale in questo campo. Nel frattempo la società controllata dai tedeschi ha chiesto di espandersi nonostante problemi ambientali e autorizzativi (pende un costoso ricorso al Tar [v. Adista Notizie n. 2/19] che è il solito scoglio dei comitati locali chiamati a resistere con poche risorse davanti al potere dei capitali). E la scelta di Finmeccanica, ora Leonardo, di abbandonare settori strategici in campo civile ha comportato una perdita di innovazione tecnologica e livelli occupazionali. Fa parte del nostro declino permettere ai tedeschi di fare ciò che fanno da noi. Mostra la nostra pochezza di politiche industriali sostenere conflitti impropri tra lavoro e coscienza.

Vendiamo armi che, come ripete papa Francesco, alimentano guerre e poi respingiamo i profughi che magari fuggono dalle guerre che si combattono con le nostre armi (non possiamo saperlo perché li respingiamo in mare, ignorando chi sono, quindi anche il mantra di Salvini "accogliamo chi fugge dalla guerra" è privo di valore). Una contraddizione? O una strategia?

È una ipocrisia che Francesco ci aiuta a vedere per cambiare direzione. I forum civici proposti in campo cattolico sono intrappolati nel generico o sono aperti a porre tale questioni come motore di un vero cambiamento? Non per moralismo, ma con l’urgenza apocalittica che ha mosso La Pira. Per questo ha senso partire dalle città, dai luoghi della condivisione e della possibile fraternità. 

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