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Documento vaticano riafferma: anche in Cina la Chiesa cattolica dipende dalla Santa Sede

Documento vaticano riafferma: anche in Cina la Chiesa cattolica dipende dalla Santa Sede

CITTÀ DEL VATICANO-ADISTA. Adesso, in Cina, i preti, i relgiosi, i vescovi che vogliano, come loro compete, svolgere attività ecclesiale devono presentare obbligatoriamente domanda di registrazione civile. Questa comporta la firma di una dichiarazione di «indipendenza» con il corollario di una serie di condizioni davvero limitanti. Quali queste possano essere lo si deduce mutatis mutandis (pare non esista un’unica prassi applicativa dei regomaenti) dalla “Lettera di impegno per i responsabili dei luoghi di culto e per le persone consacrate” che gli ecclesiastici sono “invitati” a firmare nella regione del Fujan. Le condizioni, fra le altre ivi contenute, sono: proibire l’ingresso nella Chiesa ai minorenni; non organizzare corsi di formazioni per i minorenni; non favorire  gli interventi degli stranieri; non contattare potenze straniere, non accogliere gli stranieri, non accettare interviste, formazioni o invito di convegni all’estero, ecc. Di questo testo Adista ha riferito nel n. 25/19 attingendo all’agenzia AsiaNews.

Una situazione, quella delle condizioni dell’attività religiosa in Cina, di cui è meglio chiarire il concetto cardine: «indipendenza» ma da chi, da cosa? A questo scopo, sono stati diffusi il 28 giugno gli “Orientamenti pastorali della Santa Sede circa la registrazione civile del Clero in Cina”. «Da tempo – motiva in apertura il documento – giungono alla Santa Sede, da parte di Vescovi della Cina Continentale, richieste di una concreta indicazione circa l’atteggiamento da assumere di fronte all’obbligo di presentare domanda di registrazione civile. Al riguardo, com’è noto, molti Pastori rimangono profondamente perplessi perché la modalità di tale registrazione – obbligatoria secondo i nuovi regolamenti sulle attività religiose, pena l’impossibilità di agire pastoralmente – comporta, quasi sempre, la firma di un documento in cui, nonostante l’impegno assunto dalle Autorità cinesi di rispettare anche la dottrina cattolica, si deve dichiarare di accettare, fra l’altro, il principio di indipendenza, autonomia e auto-amministrazione della Chiesa in Cina».

C’è il rischio del ritorno a un passato (la clandestinità, in caso di mancata registrazione) non certo felice. La Santa Sede, leggiamo, «da una parte, non intende forzare la coscienza di alcuno. Dall’altra, considera che l’esperienza della clandestinità non rientra nella normalità della vita della Chiesa, e che la storia ha mostrato che Pastori e fedeli vi fanno ricorso soltanto nel sofferto desiderio di mantenere integra la propria fede». Perciò, la richiesta è «che la registrazione civile del Clero avvenga con la garanzia di rispettare la coscienza e le profonde convinzioni cattoliche delle persone coinvolte. Solo così, infatti, si possono favorire sia l’unità della Chiesa sia il contributo dei cattolici al bene della società cinese».

 

Sull’«indipendenza» non si torna indietro

Ed ecco le osservazioni che inducono la Santa Sede a mettere i puntini sulle “i”: «Per quanto concerne la valutazione dell’eventuale dichiarazione che si deve firmare all’atto della registrazione, in primo luogo è doveroso tenere presente che la Costituzione della Repubblica Popolare Cinese dichiara formalmente di tutelare la libertà religiosa (art. 36)». «In secondo luogo», ma di importanza fondamentale bisogna sottolineare, «l’Accordo Provvisorio del 22 settembre 2018 (v. Adista Notizie n. 34/18 , ndr), riconoscendo il ruolo peculiare del Successore di Pietro, porta logicamente la Santa Sede a intendere e interpretare l’“indipendenza” della Chiesa cattolica in Cina non in senso assoluto, cioè come separazione dal Papa e dalla Chiesa universale, ma relativo alla sfera politica, secondo quanto avviene in ogni parte del mondo nelle relazioni tra il Papa e una Chiesa particolare o tra Chiese particolari».

Dunque, meglio rimettere mano alle condizioni per lo svolgimento dell’attività religiosa. «Di fronte a questi fatti – chiede in forma tutta diplomatica il documento – è legittimo aspettarsi un atteggiamento nuovo da parte di tutti, anche nell’affrontare le questioni pratiche riguardanti la vita della Chiesa». E non intende affatto, il Vaticano, rimanere fuori dalla determinazione di modifiche o novità, tanto che gli “Orientamenti” dicono: «Da parte sua, la Santa Sede continua a dialogare con le Autorità cinesi sulla registrazione civile dei Vescovi e dei sacerdoti per trovare una formula che, nell’atto della registrazione, rispetti non solo le leggi cinesi ma anche la dottrina cattolica».

Ma «nel frattempo» non è bene che le cose rimangano nell’attuale vaghezza. Perciò un ultimo suggerimento: «alla luce di quanto sopra, se un Vescovo o un sacerdote decide di registrarsi civilmente ma il testo della dichiarazione per la registrazione non appare rispettoso della fede cattolica, egli preciserà per iscritto all’atto della firma che lo fa senza venir meno alla dovuta fedeltà ai principi della dottrina cattolica. Se non è possibile mettere questa precisazione per iscritto, il richiedente la farà anche solo verbalmente e se possibile alla presenza di un testimone. In ogni caso, è opportuno che il richiedente certifichi poi al proprio Ordinario l’intenzione con la quale ha fatto la registrazione. Questa, infatti, è sempre da intendersi all’unico fine di favorire il bene della comunità diocesana e la sua crescita nello spirito di unità, come anche un’evangelizzazione adeguata alle nuove esigenze della società cinese e la gestione responsabile dei beni della Chiesa. In pari tempo, la Santa Sede comprende e rispetta la scelta di chi, in coscienza, decide di non potersi registrare alle presenti condizioni».

*Cattedrale di Jinan, Cina. Foto di AlexHe34, tratta da Wikipedia, immagine originale e licenza

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