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Giustizia climatica: un passo avanti. Taglio delle emissioni: due indietro

Giustizia climatica: un passo avanti. Taglio delle emissioni: due indietro

Tratto da: Adista Documenti n° 41 del 03/12/2022

Qui l'introduzione a questo testo.

Dopo febbrili negoziazioni continuate fino alla tarda notte di sabato, all’alba di domenica 20 novembre, con le ormai consuete 36 ore di ritardo rispetto alla tabella di marcia, la Cop27 ha licenziato l’attesa Cover decision, lo “Sharm el-Sheikh Implementation Plan”.

Ad accoglierla, la delusione di Timmermans, vicepresidente della Commissione europea, che ha definito l’accordo raggiunto «non sufficiente», aggiungendo che «troppi Paesi non sono pronti a fare progressi nella lotta contro la crisi climatica». Dello stesso segno le parole del segretario generale delle Nazioni Unite Guterres, che ha commentato: «Il nostro pianeta è ancora nella sala emergenze del pronto soccorso. Dobbiamo ridurre drasticamente le emissioni ora, e questo è un tema che questa Cop non ha affrontato. Il mondo ha ancora bisogno di un gigantesco salto di qualità per quanto riguarda le ambizioni climatiche».

Parole chiare che, dopo aver riconosciuto i passi avanti fatti dalla Cop27 su alcuni temi, come sul meccanismo Loss&Damage, rimettono al centro un dato che non si può trascurare: l’inadeguatezza di quanto deciso rispetto al primo imperativo cui rispondere, che è il repentino e radicale taglio delle emissioni di gas a effetto serra.

I passi avanti

L’accordo sulla creazione di un fondo per il Loss&Damage, ovvero per risarcire perdite e danni prodotti dai cambiamenti climatici nei Paesi in via di sviluppo è la principale novità che esce dalla Cop27. Si prevede che il fondo possa diventare operativo tra uno o due anni; serviranno infatti altre tornate negoziali per definire il meccanismo di finanziamento e di distribuzione delle risorse. Ma nonostante il cammino sia appena all’inizio, la decisione è storica e gli Stati più vulnerabili, che si battono per ottenere questo risultato da trent’anni, l’hanno giustamente salutata come tale.

(…). Da un punto di vista simbolico – e soprattutto politico – l’accordo consacra infatti il riconoscimento di uno dei principi che fondano il concetto di giustizia climatica: chi meno ha contribuito a produrre l’emergenza ed è costretto a pagare un prezzo altissimo a causa dell’asimmetria degli impatti climatici, ha diritto ad essere compensato e risarcito da chi ha responsabilità storiche maggiori, oltre che più mezzi finanziari e tecnologici.

La trattativa è sembrata essere più volte sul punto di saltare. (…). Soltanto nelle ultime 48 ore c’è stata una inversione di rotta, a patto che a contribuire al fondo fossero tutte le grandi economie, comprese quelle (…) qualificate come Paesi in via di sviluppo; una su tutti le Cina.

Questa posizione ha rischiato nuovamente di far saltare tutto: il compromesso raggiunto nell’ultimissima fase delle negoziazioni stabilisce che il fondo sarà aperto ai contributi volontari dei Paesi inclusi nella lista Pvs della Convenzione quadro, e che i fondi disponibili saranno distribuiti prioritariamente alle popolazioni maggiormente vulnerabili.

Il paradosso è che la decisione raggiunta su Loss&Damage è ancor più fondamentale di fronte all’incapacità, confermata da questa Cop, di prevedere misure concrete di mitigazione. Se i gas a effetto serra continueranno a crescere con i trend attuali, infatti, impatti climatici e disastri saranno sempre più frequenti e drammatici.

I passi sul posto

A un certo punto delle negoziazioni si è temuto che per approvare il documento finale venisse sacrificato (ovvero tolto dal testo) il riferimento all’obiettivo dei 1,5°C. Nella versione definitiva invece, come in realtà nelle ultime bozze circolate, il riferimento è tornato. E per fortuna: tornare indietro sull’obiettivo di contenimento avrebbe significato compiere un allarmante, ulteriore passo indietro sul fronte della mitigazione.

L’obiettivo primario previsto nell’Accordo di Parigi di mantenere l’innalzamento delle temperature a fine secolo “ben al di sotto dei due gradi” si è infatti poi tradotto nell’indicazione secondo cui è fondamentale non superare la soglia di sicurezza dei +1,5°C. Ciò sulla base del Report Global warming of 1,5°C, pubblicato del 2018 dell’IPCC, che ha calcolato l’enorme differenza di impatto che mezzo grado in più di aumento avrebbe su tutti gli indicatori climatici e di conseguenza sui diritti umani. (…).

I passi indietro

La maggiore delusione che arriva dall’Egitto riguarda il fronte del contrasto all’emergenza climatica. In altre parole, mancano misure per ridurne la causa principale: la combustione di fonti energetiche fossili.

La verità dei fatti, ribadita dalle evidenze contenute nei report presentati poco prima o durante la Cop (…) è che gli impegni attualmente in campo sono nettamente insufficienti a contenere le temperature entro i livelli previsti dall’Accordo di Parigi e che le concentrazioni di Co2 in atmosfera, come pure le emissioni globali, continuano a crescere anno dopo anno.

Per questo, rivedere le ambizioni al rialzo non è rimandabile. Elemento che il documento finale della Cop27 ha eluso del tutto.

Nella decisione finale, la sezione sulla mitigazione, che reitera un generico, rituale invito a ridurre i gas serra, ribadisce l’obiettivo (minimo) di tagliare del 43% le emissioni globali entro il 2030 sui livelli del 2019. Tuttavia cita soltanto en passant, tra gli sforzi da accelerare, la riduzione graduale del carbone e l’eliminazione sempre graduale degli “inefficienti” sussidi ai combustibili fossili. L’aggiunta dell’aggettivo inefficienti è una malcelata operazione di equilibrismo. Cosa si intende per inefficienti? Di certo il riferimento all’efficienza non è parametrato sull’utilità dei sussidi al contrasto del riscaldamento globale.

Allo stesso tempo, i tre scarni punti dedicati all’energia fanno riferimento per ben due volte al potenziamento delle energie rinnovabili e “a basse emissioni”. Anche quest’ultima espressione, lungi dall’essere una buona notizia è da leggere, secondo gli analisti, come una moratoria di fatto sullo sfruttamento del gas. Sulle rinnovabili inoltre mancano ancora una volta riferimenti temporali e obiettivi quantitativi. (…). Tra le previsioni su cui si è raggiunto consenso manca ogni riferimento al raggiungimento del picco emissivo entro il 2025, come la necessità di ridurre gradualmente l’utilizzo di fonti fossili (…).

L’Egitto ha giocato un ruolo non irrilevante in tal senso, essendo Paese ospitante che, come di prassi, ha presieduto e dettato l’agenda delle giornate di lavoro. (…).

L’unico avanzamento riguarda un’iniziativa multilaterale che già a Glasgow era stata degna di attenzione, l’accordo per la riduzione delle emissioni prodotte dal metano, ovvero il Global Methane Pledge passato da 105 a 150 Paesi aderenti nell’ambito della Cop27. Non è molto, e non è neppure abbastanza, ma in una fase di crisi energetica in cui la corsa al metano è la nuova corsa all’oro, è comunque un risultato da citare.

Dopo la Cop27, cosa?

Al termine di un summit aperto con l’avvertimento «Precipitiamo dalla crisi al disastro climatico», pronunciato dalla direttrice esecutiva dell’UNEP Inger Andersen, e all’indomani di un testo finale che tradisce le attese di rafforzamento dell’azione globale, è chiaro che i vertici internazionali non possono essere l’unico luogo a cui guardare in attesa di risposte. Ancor più considerando che la prossima Cop si celebrerà negli Emirati Arabi, tra i principali produttori mondiali di petrolio e gas.

Uno dei fronti di battaglia più importanti restano i contesti nazionali. Sono i singoli Paesi infatti, pur nell’ambito di una strategia coordinata a livello globale, a dover rendere più ambiziose le proprie politiche climatiche.

Da questo punto di vista l’Italia non fa eccezione, anzi. Il nuovo governo ha dimostrato tutto il suo disinteresse per la sfida climatica con la totale assenza dai tavoli politici di trattativa del summit di Sharm el-Sheikh, al netto dell’esordio a tutta retorica delle dichiarazioni della presidente Meloni.

A ciò si aggiunge la dichiarata volontà di promuovere politiche energetiche a trazione fossile, con l’eliminazione degli ostacoli a nuove trivellazioni formalizzata a 48 ore dall’apertura del vertice Onu. (…).

Da tenere d’occhio e valorizzare c’è poi, ovunque, il ruolo dei movimenti sociali, che stanno sperimentando forme nuove di organizzazione e pressione, dalle cause legali alla disobbedienza civile, dalle azioni eclatanti di Last Generation/Ultima generazione e Just Stop Oil sulle opere d’arte ai blocchi stradali e alle infrastrutture energetiche, fino alle mobilitazioni oceaniche che hanno come protagonisti i più giovani. (…). 

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