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Dalla crisi al disastro. Dopo il fallimento della Cop27, l’unica arma è in mano ai popoli

Dalla crisi al disastro. Dopo il fallimento della Cop27, l’unica arma è in mano ai popoli

Tratto da: Adista Documenti n° 41 del 03/12/2022

DOC-3220 ROMA-ADISTA. Inutile come le 26 che l’hanno preceduta: così è stata la 27.ma Conferenza delle parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico, o, più semplicemente, Cop 27. Se si escludono i passi avanti verso un fondo per “le perdite e i danni” (Loss-Damage)provocati dall’impatto della crisi climatica sui Paesi poveri, tutto è rimasto più o meno fermo. Né molto altro ci si poteva aspettare considerando che, come ha segnalato il Corporate Europe Observatory, 18 dei 20 grandi sponsor della Cop di Sharm el-Sheikh erano legati in maniera diretta o indiretta all'industria dei combustibili fossili, compreso il più grande inquinatore al mondo di plastica, la Coca Cola. E che, secondo il Corporate Accountability and Public Participation Africa, erano presenti «più lobbisti delle imprese fossili che le delegazioni combinate di 15 Paesi africani messi insieme».

È rimasto alla fine il riferimento – che a un certo punto era stato tolto dal testo – all’obiettivo di limitare a 1,5°C l’aumento della temperatura media globale. Ma rimarrà lì sulla carta, dal momento che nessuna misura è stata adottata per accelerare l'eliminazione dei combustibili fossili – non per niente i sussidi pubblici ai combustibili fossili su scala globale sono raddoppiati nel 2021 – e che nel frattempo la temperatura media globale tra il 2012 e il 2021 è già cresciuta dall’1,11 all’1,14°C rispetto al livello pre-industriale. Per centrare quell’obiettivo, sarebbe necessario porre fine allo sfruttamento dei combustibili fossili, alla produzione di plastica (al ritmo attuale, nel 2050 ci sarà più plastica che pesci negli oceani) e all’uso di pesticidi e fertilizzanti, azzerare la deforestazione, rigenerare le foreste con specie native e piantare alberi ovunque, ridimensionare il commercio globale diminuendo la distanza tra produzione e consumo di prodotti agricoli, ridurre drasticamente il consumo di carne (la filiera mondiale di cibo, dal campo alla tavola, è responsabile dell’80% della deforestazione globale, del 70% del consumo di acqua dolce e del 29% di emissioni climalteranti). Il tutto in una ventina d’anni. Ma è evidente come il mondo stia andando in tutt’altra direzione.

Intanto, il 33% dei suoli del mondo è degradato, cioè ha perso la fertilità, due terzi delle foreste pluviali sono state distrutte, metà delle barriere coralline è andata persa e così l'87% di tutte le zone umide. E mentre noi umani abbiamo impiegato appena 12 anni a passare da 7 a 8 miliardi (ce ne vorranno circa 15 per raggiungere i 9 miliardi nel 2037), circa 1 milione di specie è a rischio estinzione e i tassi di scomparsa sono tra le 100 e le 1.000 volte più rapidi di quelli naturali. È quello che è stato chiamato Antropocene o, forse più correttamente, Capitalocene.

Di seguito il bilancio finale della Cop 27 tracciato da Marica Di Pierri di A Sud - EconomiaCircolare.com, una riflessione di Mariana Campos a partire dalle periferie (Greenpeace, 20/11) e un commento di Frei Betto scritto immediatamente prima della Cop (Ihu online, 14/11), entrambi in una traduzione dal portoghese, e infine il testo dell’intervento tenuto dal leader del Movimento dei Senza Terra del Brasile João Pedro Stedile durante la Conferenza internazionale per la pace promossa a Roma dalla Comunità di Sant’Egidio dal 23 al 25 ottobre scorso. 

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