Lavorare e pregare per superare le divisioni. La 61ma sessione di formazione ecumenica del Sae
CAMALDOLI (AR)-ADISTA. Per padre Vladimir Laiba, protopresbitero della Sacra Arcidiocesi ortodossa d’Italia, coordinatore del gruppo teologico del Sae, intervenuto alla sessione di formazione ecumenica a Camaldoli, «dire Gesù oggi non significa elaborare una strategia, ma rispondere a una domanda fondamentale sul nostro stesso essere: siamo disposti ad abbandonare la sicurezza del nostro io individuale per entrare, al seguito di Cristo, nella “Roma” della pluralità culturale, non per conquistarla, ma per essere, se necessario, “crocifissi di nuovo” per amore dell’altro? La questione non è “cosa fare?”, ma “come esistere?”.
Il relatore individua come problema della nostra epoca una crisi ontologica: l’essere umano ha perso il contatto con il vero Essere, con la Vita come comunione. Per assumerlo di nuovo occorre guardare a Cristo con lo sguardo degli apostoli, degli innamorati che vedevano in lui la Verità. Il loro martirio «non fu il prezzo per un'idea, ma l'espressione ultima di una vita totalmente de-centrata da sé e ri-centrata su Cristo e sulla comunità da lui generata». Perciò, in questa visione, essere cristiani e cristiane non significa aderire a una dottrina, ma essere innestati e innestate, attraverso lo sguardo amante della Chiesa, in questo nuovo modo di esistere che è il Corpo di Cristo. Al contrario, l’individualismo risulta come l’unica eresia dal punto di vista ontologico. “L'individuo è una realtà tragica, perché la sua natura è mortale e il suo destino è la solitudine. Nel suo percorso storico, il cristianesimo ha costantemente affrontato una tentazione, specialmente nelle sue forme “spiritualistiche” e “pietistiche”: quella di concepire la salvezza proprio in questi termini, come la salvezza dell'individuo». E di vedere Cristo come un individuo divino che offre una salvezza privata, mentre lui è «la Persona del Figlio, il cui essere consiste interamente nella sua relazione con il Padre e lo Spirito. La Persona, a differenza dell'individuo, non è una parte di un tutto, ma un'identità unica e irripetibile costituita dalla comunione. La Persona è libertà dalla necessità della propria natura. Se Cristo è Persona, allora non può essere conosciuto né incontrato al di fuori della comunione».
La teologia ortodossa vede come luogo eminente della comunione l’Eucaristia, che realizza l’unione tra persone; l’incontro con l’altro, l’altra diventa “luogo teologico” dell’incontro con Cristo.
«Ogni “altro” – il fratello, lo straniero, il nemico – è un'icona di Cristo, perché Cristo è Colui che si è identificato totalmente con l'altro. Amare l'altro, fare spazio nella nostra esistenza per l'altro, è l'unico modo per fare spazio a Cristo. Una fede che non si traduce in un'apertura incondizionata all'altro non è fede cristiana, ma un'illusione individualistica».
Secondo Vladimir Laiba, per “dire Gesù” nella pluralità culturale occorre manifestare un modo di essere diverso, la cui “grammatica” sta nella Rivelazione. La Trinità come comunione di Persone e l’identità di Cristo come Dio e come uomo che sono state affermate nel Concilio di Nicea, e confermate nei successivi, sono riconosciute come salvezza dell’essere umano dalla morte in vista della vita eterna. «Questa vittoria sulla morte ha poi generato cultura. L'arte, la musica, l'architettura cristiane non sono semplici decorazioni, ma l'espressione della gioia per una materia – la pietra, i colori, il suono, il corpo – che è stata liberata dalla sua condanna alla corruzione e resa capace di manifestare la gloria di Dio».
Resta uno scandalo ontologico da sanare: «Come possiamo “dire Gesù” al mondo se il suo stesso Corpo è visibilmente lacerato? Se l'identità della Chiesa si realizza nell'unica Eucaristia, allora l'impossibilità di condividere lo stesso Calice è una ferita mortale alla nostra stessa identità e una radicale contraddizione della nostra testimonianza».
Per Laiba il fine dell'ecumenismo è «il ripristino delle condizioni necessarie per una comunione eucaristica piena e condivisa. Questo richiede un ritorno unanime alla fede apostolica, perché non può esserci comunione nel Calice senza comunione nella Verità. Detto in altre parole, avere quello stesso sguardo degli apostoli su Cristo». Occorre «lavorare e pregare per superare le divisioni, non per creare una “super-chiesa” istituzionale, ma per poterci finalmente riunire attorno all'unica mensa e manifestare al mondo che Cristo è uno, e che la vita che Lui offre è una vita di comunione».
Il relatore vede come tragedia del cristianesimo odierno l’assenza di testimoni, che «ci porta a comprendere che la salvezza esige la nostra risposta: Cristo non può salvarci senza di noi. È necessaria la nostra conversione, la nostra apertura fiduciosa, il nostro movimento esistenziale verso di Lui, un assenso che riassume tutta la nostra libertà e tutto il nostro desiderio: un nostro «sì, voglio Cristo».
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