Il Simbolo interrogato dalla teologia della disabilità. La 61ma sessione di formazione ecumenica del Sae
CAMALDOLI (AR)-ADISTA. Per la prima volta alla sessione del Sae la Santa Cena, celebrazione delle Chiese evangeliche, è stata preparata secondo la tradizione avventista, con la condivisione, insieme al pane, del succo d’uva, perché la Chiesa avventista pratica l’astinenza dall’alcol. In questa tradizione la Cena del Signore è sempre preceduta dalla Lavanda dei piedi, un rito che ricorda il gesto di Gesù e riprende il servizio fraterno. A Camaldoli questo rito è stato sostituito per motivi logistici dalla lavanda delle mani che ogni persona celebrante ha scambiato simbolicamente con la persona vicina, suggellandolo con un abbraccio.
L’ordine del culto è stato guidato dal pastore Saverio Scuccimarri, accompagnato da pastore e pastori delle altre denominazioni riformate presenti alla sessione: battisti, metodisti, pentecostali e valdesi. Nel suo sermone, Scuccimarri ha parlato dei movimenti di esclusione e di inclusione presenti nella Bibbia. «Quello di esclusione è per esempio il monoteismo: esiste un unico Dio, mentre tutti gli altri dèi non sono che vanità e idoli. Nel secondo Testamento un’unica via conduce alla salvezza, si è salvati per un unico nome, quello di Gesù, e tutte le persone del mondo sono invitate a lasciare le altre vie e gli altri nomi».
Ma nella Bibbia troviamo anche il movimento d’inclusione. «In Abramo sono benedette tutte le famiglie della terra, non solo la sua discendenza. Esiste il patto con Abramo, ma prima ancora c’è quello con Noè, che è un patto con tutte le nazioni. Secondo i profeti il tempio non doveva essere il luogo del culto esclusivo di Israele, ma la casa di preghiera per tutti i popoli». Nel Secondo Testamento Dio trova i suoi figli e figlie tra i peccatori, i pagani, gli ultimi e i più piccoli e, in Cristo Gesù, nel tronco di Israele e dell’alleanza vengono innestate anche le altre nazioni. Il giudizio, nel Vangelo di Matteo, non è in base a canoni religiosi, ma in base all’aiuto al prossimo in difficoltà.
I due movimenti, ha proseguito il pastore, riguardano anche il Credo cristiano derivato da un processo di selezione della verità su Dio e delle parole per definirla. «Questo è stato utile per fissare il centro della fede cristiana, adesso, però, saldamente ancorata a questo centro, la chiesa è chiamata ad allargare i propri cerchi non solo di azione e di missione, ma anche di ermeneutica, cioè il modo di comprendere e interpretare le Scritture, fino a inglobare l’intera creazione, a partire proprio da coloro che la storia e le culture hanno escluso».
Tra gli esclusi ci sono le persone con disabilità. Scuccimarri è convinto che, «se il credo niceno-costantinopolitano vuole ancora significare qualcosa nel XXI secolo, deve sicuramente mettersi in dialogo con la teologia della disabilità, in modo reciproco: da un lato deve interrogarsi su come la dottrina trinitaria possa fecondare e dare significato al mondo della disabilità, e dall’altro deve anche chiedersi in che modo la disabilità potrà fecondare e dare un significato nuovo alla dottrina trinitaria».
Lavorando su tre enunciati del Simbolo, il pastore ha mostrato «come la teologia niceno-costantinopolitana possa arricchirsi con un proficuo dialogo con gli esclusi della storia e del mondo. Credo sia questo il modo migliore di preservare il tesoro del credo».
Foto Laura Caffagnini
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