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Il fondatore di NoCap. Per arginare lo sfruttamento un modo c’è

Il fondatore di NoCap. Per arginare lo sfruttamento un modo c’è

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 44 del 24/12/2022

Yvan Sagnet è il presidente di “NoCap”, un’associazione che si occupa di lotta al caporalato, antica piaga dell’agricoltura italiana. Ma non solo dell’agricoltura. Yvan giunge in Italia dal Camerun nel 2007, inseguendo un sogno nato nel 1990 con i Mondiali di calcio italiani di quell’anno, a cui aveva partecipato la nazionale camerunense. Arriva a Torino con una borsa di studio per la Facoltà di Ingegneria del Politecnico. Nei primi anni Yvan riesce ad andare bene, ma nel 2011, a causa di un esame mancato, perde la borsa di studio ed è costretto, per procurarsi i soldi per continuare gli studi, a trasferirsi in Puglia a Nardò dove trova lavoro come bracciante nelle campagne. Qui incontra, o meglio sbatte, nel caporalato, che governa la gran parte della produzione agricola. Gli bastano pochi giorni per comprendere la terribile realtà di sfruttamento cui sono sottoposti i lavoratori, in gran parte africani.

Non disposto ad accettare passivamente la situazione si ribella, trascinando con sé l’intero campo dei lavoratori di Nardò. Ne nasce uno sciopero che, grazie al risalto nazionale che ottiene, porta a emanare la prima legge contro il caporalato che permette di far emergere questa realtà sommersa che tutti conoscevano facendo finta di non vedere. Yvan torna quindi a Torino, ma una volta terminati gli studi preferisce dedicarsi alla lotta contro una piaga vissuta in prima persona per difendere i diritti di migliaia di esseri umani contro un sistema malato. Per meglio agire si iscrive alla CGIL, pensando di operare all’interno del sindacato. A un certo punto, tuttavia, decide di uscirne per creare una propria associazione. Dalla decisione di lasciare il sindacato parte la nostra intervista.

Yvan, perché ha deciso di lasciare la CGIL e di fondare un’associazione che combattesse il caporalato?

Il motivo fondamentale è stato quello di ampliare gli orizzonti dell’azione contro il caporalato. Il sindacato si occupa essenzialmente di tutela dei diritti dei lavoratori, cosa che costituisce il suo obiettivo primario. Ma la tutela dei lavoratori sfruttati è l’ultimo anello di un sistema in cui la questione principale sono le leggi di mercato dettate dalle grandi multinazionali, che impongono in maniera perversa di massimizzare i profitti e minimizzare i costi.

Per mantenere bassi i prezzi dei prodotti agricoli, e garantire in tal modo grandi profitti, è necessario che alla base ci sia la riduzione in condizioni di nuove forme di schiavitù di chi lavora nei campi. Quindi per risolvere il problema è necessario intervenire all’apice della catena produttiva, dove inizia il processo che funge da potente arma di ricatto verso i produttori e di conseguenza di sfruttamento verso i lavoratori.

Vorrebbe raccontarci brevemente la storia di NoCap, delle sue origini e del suo sviluppo?

NoCap nasce nel 2017 quando viene regolarmente iscritta alla Camera di Commercio. Sapevano delle condizioni in cui erano costretti a operare molti produttori schiacciati, come accennato, dalla grande distribuzione.

Un esempio di vessazione è quanto accaduto in Sardegna. In questa regione nel corso del 2019 i produttori di latte hanno deciso di buttare migliaia di litri di latte negli scarichi e nei campi per l’insostenibilità economica della produzione. Infatti per avere un buon prodotto sono necessari dei costi, e dinanzi alla grande distribuzione che si basa sulla quantità e non sulla qualità molti produttori non reggono il mercato. Abbiamo deciso quindi di ideare una filiera etica che garantisse un prodotto di alta qualità con i relativi costi di produzione e di manodopera, dal produttore al consumatore passando per la distribuzione. Una filiera che rispettasse i diritti e la dignità di chi lavora nell’agricoltura.

Abbiamo innanzitutto cercato e individuato una catena di distribuzione, la “Dok”, presente nel Sud Italia con circa 500 negozi che ha accettato di vendere prodotti a un prezzo maggiore, ma provenienti da una corretta filiera etica. Abbiamo quindi parlato e convinto alcuni produttori della possibilità di coltivare senza sfruttamento umano. Questi produttori si sono mostrati disposti a produrre in maniera equa e giusta sapendo che c’era chi era d’accordo a vendere quanto loro coltivavano. A questi prodotti abbiamo applicato un bollino, il bollino NoCap, a garanzia dell’eticità dell’operazione. Una garanzia anche delconsumatore che vedendo il bollino di qualità ha acconsentito a pagare un prezzo più alto. In tal modo si è venuto a creare un circolo virtuoso, partito con poche forze perché all’inizio vi erano solo una decina di lavoratori, mentre adesso ve ne sono qualche migliaio.

Naturalmente il problema è molto complesso, in quanto oltre a garantire un giusto salario dobbiamo garantire a chi lavora una vita in generale dignitosa che comprenda una sistemazione abitativa decorosa. Sotto questo profilo abbiamo trovato un appoggio in altre associazioni e alla Caritas. Alcuni vescovi ci sono venuti incontro mettendo a disposizione strutture dismesse. Ma il problema deve investire anche le istituzioni pubbliche e lo Stato nel suo complesso.

Che ostacoli trovate nel vostro percorso?

Da un lato naturalmente gli aspetti climatici, siccità piogge troppo abbondanti e violente, grandine. Ma più di recente, a causa della guerra in corso, unostacolo importante è stato l’aumento dei costi dell’energia e quindi a cascata dei costi di ogni anello del settore.

Poi ovviamente vi è la fondamentale questione da fronteggiare costituita dalla grande distribuzione che non ci vede di buon occhio. Ciò che non si vuole riconoscere, ma di cui è necessario prendere coscienza, è che il cibo, al pari del gas di cui invece si parla molto, è vittima di una fortissima speculazione che è alla base dei grandi profitti. Sarebbe necessario imporre un “Prize cap” anche per il cibo, una soglia sotto la quale non andare per garantire la correttezza della filiera e la tutela dei diritti di chi vi lavora. Ma perché si prenda atto del problema sarebbe necessaria anche un’informazione veritiera, a partire dai giornali e dai mass-media.

Vi è quindi una importante questione educativa che porti a formare consumatori consapevoli...

Certamente vi è anche un problema educativo, di formazione. Infatti noi cerchiamo di agire attraverso tutti i canali formativi, non solo quelli tradizionali quali la scuola, ma anche quelli moderni come i social network. Purtroppo è un processo culturale lento, ma noi non desideriamo correre coscienti delle difficoltà e di una certa impermeabilità del sistema. Quindi da questo punto di vista non possiamo agire da soli e abbiamo bisogno di trovare quanta più collaborazione possibile. Ripeto anche a livello istituzionale.

Un’ultima domanda. La catena di supermercati che per prima ha accettato di vendere prodotti con bollino NoCap si trova al Sud, ma al Nord avete trovato chi fosse disposto a commercializzarli?

Sì, abbiamo trovato la collaborazione in alcune regioni del Nord in diversi esercizi commerciali della Coop e della Despar.

Già, perché il problema non è solo del Sud Italia. Grazie a Yvan per la sua disponibilità e la sua azione.

Giusi D'Urso è dell’Osservatorio Interreligioso sulle Violenze contro le Donne - OIVD, gruppo Ecofemminismo. Si occupa di temi ambientali e di salvaguardia del clima.

*Foto presa da Flickr, immagine originale e licenza 

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