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Il Messico accoglie la famiglia del presidente peruviano destituito

Il Messico accoglie la famiglia del presidente peruviano destituito

Il Messico concede asilo alla famiglia di Pedro Castillo, accusato di tentato golpe e in carcere dal 7 dicembre scorso, quando è stato destituito dalla carica di presidente da un Congresso che egli qualche ora prima aveva invano decretato di sospendere.

La moglie di Castillo, Lilia Paredes Navarro, e i loro due figli sono rifugiati nell'ambasciata messicana a Lima in attesa di poter viaggiare nel Paese nordamericano. Il governo peruviano ha concesso il salvacondotto, ma ha al contempo dichiarato persona non grata l'ambasciatore messicano, Pablo Monroy Conesa, concedendogli 72 ore per lasciare il Paese. «Questa decisione - ha affermato in una nota il ministero degli Esteri peruviano, Ana Cecilia Gervasi - si basa sulla Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche, che stabilisce il potere dello Stato ospitante di dichiarare persona non grata un capo missione straniero».

Il presidente messicano, Andrés Manuel López Obrador, ha ritenuto «illegale» la detenzione dell'ex presidente e si è dichiarato disponibile ad accoglierlo insieme alla sua famiglia e a «tutti coloro che si sentono perseguitati in Perù».

Il Messico, insieme a Argentina, Bolivia e Colombia, ha pubblicamente dato il suo sostegno al presidente Castillo, al potere dal luglio 2021 avendo vinto le elezioni, in quanto ritengono che «fin dal giorno della sua elezione, sia stato vittima di un movimento ostile e antidemocratico, in violazione della Convenzione americana sui diritti umani».

Continuano intanto le proteste che da due settimane stanno segnando la vita del Paese, chiedendo la dissoluzione dell'attuale Parlamento e la liberazione dell'expresidente: in base a cifre ufficiali, è arrivato a 26 il numero delle persone decedute durante gli scontri con la polizia e sono 646 i feriti, fra i quali 290 poliziotti.

Il card. Pedro Barreto, arcivescovo di Huancayo, il 20 dicembre (RPP Noticias) ha criticato il Congresso «per non aver approvato (venerdì 16/12, ndr) il progetto di riforma costituzionale per anticipare le elezioini generali, cosa che suppone il taglio del mandato presidenziale e congressuale». Ha dunque chiesto al Potere Legislativo «di ascoltare il grido e il clamore del popolo nel suo insieme», manifestando tutta la sua indignazione «come peruviano e come cittadino» per quanto successo «venerdì»: «Non possiamo accettare che il Congresso non faccia la sua parte per anticipare le elezioni, questa è una protesta generale. Alcuni non vogliono lasciare il Congresso – ha apertamente denunciato – e non pensano al Paese e questo genera altra violenza». Proprio lo stesso giorno tuttavia, il Congresso ha votato la proposta della presidente che ha sostituito Castillo, Dina Boluarte, di anticipare le elezioni  di due anni, e dunque nel 2024.

La posizione di Barreto, occorre sottolineare, è mutata in pochi giorni. In un’intervista a Exitosa l’8 dicembre, aveva dichiarato di essere «in qualche modo, un po' più sollevato per quello che è successo ieri (la “salvezza” delle istituzioni, da parte del Congresso, con la destituzione del “golpista” Castillo, ndr), che ha dato una grande lezione al Paese. Il Paese non poteva più resistere a questa situazione di ingovernabilità e di evidenti segni di corruzione».

*Pedro Castillo in una foto della Presidenza della Repubblica del Perù, tratta da Wikimedia Commons, immagine originale e licenza

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