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L'irrefrenabile radicalismo evangelico di Don Tonino Bello

L'irrefrenabile radicalismo evangelico di Don Tonino Bello

Tratto da: Adista Notizie n° 14 del 15/04/2023

41436 ROMA-ADISTA. Trent’anni fa, il 20 aprile 1993, moriva don Tonino Bello, vescovo di Molfetta (Ba), presidente di Pax Christi (v. Adista Notizie nn. 31-32/93). La pace, l’antimilitarismo, il disarmo, la giustizia sociale e la scelta di schierarsi accanto agli oppressi sono state le “stelle polari” del ministero e dell’azione pastorale e sociale di don Tonino. Battaglie condotte con una radicalità che più volte lo hanno fatto scontrare duramente con alcuni settori del mondo politico – sulle questioni della guerra, degli armamenti, dell’obiezione di coscienza al servizio militare, degli immigrati che all’inizio degli anni ‘90 iniziavano ad arrivare sulle coste italiane e pugliesi in particolare – e delle gerarchie ecclesiastiche, che non condividevano le posizioni “estreme”, in realtà solo profondamente fedeli al Vangelo e al Concilio Vaticano II, del vescovo di Molfetta.

Salentino di Alessano (Le), dove nasce nel 1935, Tonino Bello viene ordinato prete nel 1957. Negli anni ‘60 accompagna spesso a Roma il suo vescovo, impegnato nei lavori del Concilio Vaticano II, partecipando con entusiasmo alle istanze di rinnovamento e di aggiornamento radicale della vita della Chiesa. Diventa parroco, prima ad Ugento, poi a Tricase, dove il suo impegno comincia a delinearsi: fonda la Caritas, promuove l’Osservatorio sulle povertà, organizza incontri sul Concilio e sui temi della giustizia e della pace. Nel 1982 viene ordinato vescovo della diocesi di Molfetta, Ruvo, Giovinazzo e Terlizzi. La sua è la «Chiesa del grembiule», una delle immagini più efficaci coniate da don Tonino Bello, insieme a quella della «convivialità delle differenze». «L’accostamento della stola con il grembiule a qualcuno potrà apparire un sacrilegio», scriveva. «Eppure è l’unico paramento sacerdotale registrato nel Vangelo che, per la “messa solenne” celebrata da Gesù nella notte del giovedì santo, non parla né di casule né di amitti, né di stole né di piviali. Parla solo di questo panno rozzo che il maestro si cinse ai fianchi» per lavare i piedi ai discepoli. È la traduzione plastica della «Chiesa povera e dei poveri» sognata dal Concilio e da Giovanni XXIII e subito archiviata dai suoi successori.

Bello “da paura”

Il vescovo di Molfetta sceglie la pace e il disarmo, diventa presto uno dei punti di riferimento del movimento pacifista italiano, sia della componente cattolica – nel 1985 viene nominato presidente di Pax Christi, al posto di mons. Luigi Bettazzi, che ha concluso il mandato – che laica: interviene contro la militarizzazione della Puglia – dal mega poligono di tiro che avrebbe sottratto migliaia di ettari di terra ai contadini e agli allevatori della Murgia barese, all’installazione degli F16 a Gioia del Colle, convincendo anche gli altri vescovi pugliesi a scrivere un documento contro i cacciabombardieri – e marcia a Comiso contro gli euromissili; attacca le politiche di riarmo del governo Craxi (incassando anche un severo richiamo da parte del presidente della Cei, il card. Ugo Poletti) e sostiene la campagna “Contro i mercanti di morte” che porterà all’approvazione nel 1990 della legge 185 che regola il commercio di armi; nella sua diocesi accompagna le lotte dei cassintegrati, dei disoccupati e degli sfrattati, che spesso accoglie nel palazzo vescovile. Quando interviene alle assemblee della Cei, gli altri vescovi lo ascoltano con sorrisetti di compiacenza e mormorii di dissenso. Ma arrivano anche i richiami formali. «Mi dicono che sei stato rimproverato», gli scrive in una lettera p. David Turoldo, «a maggior ragione intervieni, intervieni sempre di più, e insieme di’ che sei stato richiamato, dillo pubblicamente, perché di questo hanno paura».

Nel 1991 scoppia la prima guerra del Golfo: l’Iraq di Saddam Hussein invade il Kuwait e gli Usa, insieme agli alleati occidentali, bombardano Baghdad, in diretta televisiva. Tonino Bello scrive ai parlamentari perché non approvino l’intervento armato e paventa la possibilità di «dover esortare direttamente i soldati, nel caso deprecabile di guerra, a riconsiderare secondo la propria coscienza l’enorme gravità morale dell’uso delle armi». Ripeterà l’appello davanti alle telecamere di Samarcanda, la trasmissione televisiva di Michele Santoro, che lo invita a moderare i toni e a non incitare alla diserzione. Nei giorni successivi arrivano puntuali i rimproveri – ma anche gli attestati di solidarietà – da parte della gerarchia ecclesiastica militarista e dei politici patriottici. Ma tira dritto e anzi l’anno dopo polemizza con il presidente della Repubblica Francesco Cossiga che, il giorno prima di sciogliere il Parlamento, rinvia alle Camere la nuova legge sull’obiezione di coscienza (un nuovo testo verrà approvato solo nel 1998). Intanto in Puglia approdano le prime navi con migliaia di albanesi, che il governo rinchiude nello stadio di Bari, e don Tonino è in prima linea, sui moli, ad organizzare l’accoglienza.

Don Tonino si ammala di tumore allo stomaco. Riesce però ad andare a Sarajevo, dove piovono le bombe, nella prima guerra europea degli anni ‘90. Nel dicembre 1992, insieme ad altri cinquecento pacifisti riesce a raggiungere la capitale della Bosnia, dove la sera dell’11 dicembre si svolge una marcia della pace attraverso la città promossa dai Beati i costruttori di pace. La strada per la pace è la «nonviolenza attiva, gli eserciti di domani saranno questi: uomini disarmati», disse allora in un cinema di Sarajevo illuminato da fiaccole e candele perché mancava l’elettricità. Saranno fra le sue ultime parole: pochi mesi dopo, il 20 aprile del 1993, il tumore lo ucciderà. 

*Foto presa da Wikimedia Commons, immagine orginale e licenza 

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