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Non bastano 50 anni a superare le divisioni. Sul golpe contro Allende è ancora scontro in Cile

Non bastano 50 anni a superare le divisioni. Sul golpe contro Allende è ancora scontro in Cile

Tratto da: Adista Documenti n° 29 del 09/09/2023

DOC-3265. SANTIAGO DEL CILE-ADISTA. Cinquant’anni dopo, il Paese è ancora diviso. Su tutto: anche sulla lettura del golpe dell’11 settembre de 1973 con tutto ciò che ne è seguito.

In mezzo agli scontri con l’opposizione, il governo di Gabriel Boric, irriconoscibile rispetto al giovane presidente che, al momento del suo insediamento, aveva suscitato grande entusiasmo tra la popolazione (con tanto di improbabili quanto azzardati paragoni con Salvador Allende), si è rivelato finora incapace di predisporre una campagna di comunicazione e un programma commemorativo all’altezza di una così importante ricorrenza. Tanto più che all’inizio di luglio il coordinatore delle attività celebrative Patricio Fernández si era dovuto dimettere in seguito alle accese proteste delle organizzazioni dei diritti umani, le quali non gli avevano perdonato alcune dichiarazioni tese in qualche misura a relativizzare la gravità del golpe. Gli storici, aveva dichiarato, potranno «continuare a discutere del perché avvenne e di quali ne furono le ragioni», ma «ciò su cui potremmo trovare un accordo è il fatto che gli eventi successivi al colpo di stato siano inaccettabili». Come, cioè, se il golpe potesse essere distinto dall’orrore che ha provocato. E ciò in linea con la posizione – contestata dallo stesso Boric – di diversi esponenti della destra, a cominciare dall’ex presidente Sebastián Piñera, il quale, pur condannando le «reiterate, gravi e inaccettabili violazioni dei diritti umani» da parte del regime militare, ha definito il colpo di Stato «non evitabile», in quanto il governo di Unidad Popular avrebbe violato la Costituzione al fine di stabilire in Cile «una dittatura marxista».

Non meraviglia allora che nel vuoto delle iniziative governative, le forze conservatrici guadagnino spazio, imponendo la propria narrativa. Al punto che il 22 agosto i rappresentanti dei partiti di destra hanno ottenuto, tra le indignate proteste della maggioranza, che venisse letta alla Camera dei deputati la risoluzione del 22 de agosto del 1973 in cui la Camera bassa denunciava una «grave rottura dell’ordine costituzionale e legale della Repubblica» da parte del governo Allende: un esplicito via libera alle forze armate a realizzare il golpe che si sarebbe consumato di lì a poco.

Con ciò, ha commentato il deputato socialista Daniel Manouchehri, i rappresentanti della destra «ci stanno dicendo che oggi ripeterebbero gli stessi crimini. Dovrebbero vergognarsi di quest’ode a criminali, assassini e stupratori. La destra sta retrocedendo al pinochetismo e questo è un male per il Cile».

Non si contano del resto le dichiarazioni revisioniste, come quella pronunciata dalla deputata di destra Gloria Naveillán, secondo cui le violenze sessuali sofferte dalle donne durante la dittatura sarebbero una “leggenda metropolitana”.

Ma se in Cile il clima in cui cade il cinquantesimo anniversario del golpe non è quello che ci si sarebbe potuti aspettare, la ricorrenza non passerà di certo inosservata in Italia, dove saranno in tanti a ricordare l’evento. E lo fa anche Adista, pubblicando qui di seguito, in una nostra traduzione dallo spagnolo, ampi stralci del lungo articolo del professore ed ex prigioniero politico Haroldo Quinteros Bugueño (Edición Cero, 28 agosto), il discorso pronunciato da Allende a La Moneda il 24 agosto 1973 in risposta alla risoluzione filo-golpista della Camera dei deputati e una ricostruzione da parte di Rodrigo-Germán Araya de Castilla delle diverse versioni sulla morte di Salvador Allende che confutano la tesi del suicidio (Rebelión, 28 agosto). 

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