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Le Chiese cristiane e la lotta alla povertà

Le Chiese cristiane e la lotta alla povertà

Tratto da: Adista Documenti n° 44 del 23/12/2023

 È una buona notizia che l’Onu proponga un nuovo progetto di lotta alla povertà. Nel 2015, l’Assemblea generale aveva constatato il fallimento del progetto che aveva proposto nel 2000: fare in modo che entro il 2015, appunto, la povertà nel mondo fosse dimezzata (gli otto obiettivi del millennio). E così, nel settembre del 2015, l’Assemblea aveva lanciato un nuovo progetto: “Trasformare il nostro mondo: l'Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile”. Un «programma d’azione per le persone, per il pianeta e per la prosperità», suddiviso in 17 obiettivi di sviluppo sostenibile e 169 target, finalizzati ad assicurare un equilibrio fra le tre dimensioni dello sviluppo sostenibile: economica, sociale e ambientale.

1 – Il contrasto tra la proposta e il cammino adottato

Senza dubbio, è dovere di ogni essere umano e di tutte le comunità legate ai più diversi cammini spirituali collaborare affinché tale agenda si concretizzi. Tuttavia, da quando è stata annunciata, il numero dei poveri è aumentato e le sfide sono diventate ancora più drammatiche.

Dobbiamo allora chiederci: come centrare tali obiettivi se l’Onu considera intoccabile il sistema economico che ha prodotto e produce la povertà nel mondo ed è responsabile del disastro ecologico? Può essere realmente sostenibile uno sviluppo inteso nel quadro di questo sistema dominante? Nell’Evangelii Gaudium, papa Francesco afferma chiaramente che «l’inequità è la radice dei mali sociali» e insiste che «finché non si risolveranno radicalmente i problemi dei poveri, rinunciando all’autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria e aggredendo le cause strutturali della inequità, non si risolveranno i problemi del mondo» (EG 202).

2 – La funzione delle Chiese e delle religioni

Fino a poco tempo fa le religioni svolgevano un ruolo centrale nelle società, dando un senso alla loro organizzazione. Ed è stata proprio tale organizzazione a far sì che i poveri diventassero sempre più poveri e i ricchi accumulassero ricchezze sempre più grandi. In India, una certa visione fondamentalista dell’induismo ha legittimato il sistema delle caste. Nella storia occidentale, il cristianesimo cattolico, protestante e pentecostale ha legittimato imperi coloniali e dittature, come in America Latina.

Le religioni e, nel nostro caso, le Chiese cristiane hanno una forte responsabilità nella lotta alla povertà, alla fame e alle loro radici strutturali. Dal 1891, con la Rerum Novarum, la Chiesa cattolica ha assunto una posizione favorevole ai diritti della classe lavoratrice. Da qui la nascita dell’insegnamento sociale della Chiesa, nel cui quadro il magistero ecclesiale afferma che la giustizia sociale non è solo una conseguenza dell’etica cristiana, ma corrisponde all’essenza dell’alleanza di Dio nella Bibbia e nel Vangelo.

Dagli anni ’60 alla fine dell’apartheid in Sudafrica, il Consiglio Ecumenico delle Chiese prese parte alla lotta a favore del popolo nero, investendo i suoi sforzi in programmi contro il razzismo. Nella seconda Conferenza dell’Episcopato Latinoamericano a Medellín, nel 1968, i vescovi chiesero che si presentasse «sempre più nitido, in America Latina, il volto di una Chiesa autenticamente povera, missionaria e pasquale, slegata da ogni potere temporale e impegnata nella liberazione di ogni essere umano e di tutta l’umanità».

Probabilmente, anche tra i firmatari di questo documento, molti vescovi non compresero bene l’impegno che stavano assumendo. In ogni modo, tale programma dette luogo a una nuova definizione della missione della Chiesa. A partire da lì sarebbero sorte in tutto il continente le Comunità Ecclesiali di Base e le pastorali sociali. La missione con i popoli indigeni abbandonò l’idea di convertire i popoli al cristianesimo, passando ad appoggiarne la lotta per il diritto ai loro territori e per l’autonomia delle loro culture e delle loro espressioni religiose. E sorsero anche nuove pastorali di accompagnamento dei contadini, degli operai e dei giovani come servizio al popolo. Nel rispetto per l’autonomia dei movimenti popolari, nella regione arida del Nordest brasiliano, la Caritas e altri organismi della Chiesa cattolica e di altre Chiese collaborarono al progetto di costruzione di migliaia di cisterne per la raccolta di acqua piovana, aiutando il popolo a convivere con il clima semi-arido. In Messico, il movimento zapatista insorto l’1 gennaio 1994 per rendere possibile la partecipazione dei popoli indigeni alla vita politica nazionale è ancora oggi appoggiato da settori della pastorale.

Le successive Conferenze dell’Episcopato Latinoamericano non ebbero la stessa forza profetica di Medellín. E, a partire dagli anni ‘80, gran parte di questa Chiesa venne smantellata dalla curia romana e dai vescovi nominati dal Vaticano.

Quello che era ed è in gioco è il modello di Chiesa in cui si opera. Per secoli, la cristianità coltivava progetti sociali a favore di popoli, ma sempre a partire dal potere e in maniera assistenziale. In un mondo laico, la Chiesa è obbligata a rinunciare al modello della cristianità, benché alcuni ecclesiastici tentino ancora di risuscitarlo. Oggi papa Francesco propone una “Chiesa in uscita”. Un modello in cui le Chiese locali devono inserirsi all’interno delle categorie impoverite intese come soggetto del processo di liberazione e non come oggetto di sviluppo sotto il coordinamento dei governi. Le Comunità Cristiane di Base e le pastorali sociali resistono come “minoranze abramitiche”, dando testimonianza della buona novella del regno di Dio a partire dal basso.

Dagli anni ‘60 a oggi, in tutta l’America Latina, migliaia di fratelli e sorelle hanno dato la vita nella testimonianza del vangelo. Sono i martiri “da caminhada”. Se nei primi secoli a perseguitare i cristiani erano imperatori ostili alla Chiesa, a partire dal XX secolo, in America Latina, i potenti che hanno provocato il martirio di tanti fratelli e sorelle si dichiaravano cristiani. Quando, nel 1979, Oscar Romero andò a Roma, Giovanni Paolo II gli raccomandò di aiutare i poveri ma senza entrare in conflitto con il governo. Ma era proprio il governo con cui il papa voleva che avesse buone relazioni ad uccidere i contadini e perseguitare i poveri. Romero cercò d spiegarlo: «Il conflitto non è tra Chiesa e governo. È tra governo e popolo. La nostra Chiesa (locale) sta con il popolo e il popolo con la Chiesa. Grazie a Dio!».

3 – Papa Francesco: Chiesa in uscita, a partire dalle periferie

La proposta di una Chiesa dei poveri, con i poveri e prioritariamente per i poveri venne lanciata da Giovanni XXIII alla vigilia del Vaticano II, nel suo messaggio dell’11 settembre del 1962: «la Chiesa si presenta quale è, e vuol essere, come la Chiesa di tutti, e particolarmente la Chiesa dei poveri». «Si tratta di un testo breve – scrive Gustavo Gutiérrez –, ma in cui ogni parola è importante. La sua sobrietà e semplicità non ci devono far dimenticare il suo carattere di fonte».

Il 16 novembre 1965, alla fine della quarta sessione del Concilio, dom Hélder Câmara, il card. Giacamo Lercaro e altri 42 vescovi firmarono il Patto delle Catacombe, impegnandosi a rinunciare ai simboli della ricchezza, ad assumere uno stile di vita semplice e sobrio, a essere solidali con i poveri e ad aiutare la Chiesa a diventare povera con i poveri.

A quel tempo, la spiritualità dei preti operai e dei religiosi e religiose inseriti in ambito popolare ebbe grande importanza, ma nel quadro di una concezione della povertà un po’ ascetica e quasi romantica. C’è voluto tempo per scoprire che i poveri non sono solo persone isolate ma si presentano come una classe sociale. A poco a poco, in America Latina, l’impegno contro la povertà ha assunto così una dimensione politica di solidarietà con le lotte popolari. Insieme ai poveri e contro la povertà ingiusta, come ha insegnato la Teologia della Liberazione.

Una delle prime iniziative di papa Francesco nel suo ministero è stata quella di organizzare degli incontri con i rappresentanti dei movimenti popolari di tutto il mondo. Non tanto per parlare quanto per ascoltare loro ed esprimere la comunione della Chiesa con il cammino di liberazione. È a partire da qui che vengono analizzate le radici strutturali della povertà. Varie volte il papa ha ripetuto: «Questo sistema uccide!». Nell’Evangelii Gaudium, Francesco afferma che «in ogni luogo e circostanza i cristiani, incoraggiati dai loro Pastori, sono chiamati ad ascoltare il grido dei poveri» (EG 191) e «ad essere strumenti di Dio per la liberazione e la promozione dei poveri» (EG 187). E Francesco esplicita chi sono questi poveri: «tutte le periferie» (EG 20, 30, 59), sociali ed esistenziali. Parlando delle «nuove forme di povertà e di fragilità», fa riferimento ai senza tetto, i tossicodipendenti, i rifugiati, i popoli indigeni, gli anziani, i migranti, le donne, i nascituri e l’insieme della creazione (EG 210-215). Tutti loro sono esclusi, economicamente, socialmente, politicamente e culturalmente. Sono quelli che soffrono, «i più fragili della Terra». Sono loro che devono stare al centro delle preoccupazioni e delle priorità pastorali della Chiesa.

L’amicizia sociale proposta dal papa in Fratelli Tutti e la stessa sinodalità vissuta nel processo sinodale, perché abbiano efficacia e rivitalizzino la Chiesa, devono essere esercitate dal basso, cioè dalle periferie della fede. Solo così potranno essere una proposta di organizzazione sociale per il mondo. E allora, chissà, si potrà dire di nuovo ciò che nel mondo antico affermava uno dei pastori orientali: la Chiesa deve organizzarsi come un saggio di ciò che il mondo deve essere.

Marcelo Barros è ecoteologo, biblista e saggista brasiliano, tra i più stimati a livello globale, è stato collaboratore di dom Hélder Câmara. Animatore delle Comunità ecclesiali di Base e membro dell’Associazione Ecumenica dei Teologi del Terzo Mondo (Asett).

*Foto presa da Unsplash, immagine originale e licenza

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