Nessun articolo nel carrello

Acqua avvelenata: dalla contemplazione all’impegno civile

Acqua avvelenata: dalla contemplazione all’impegno civile

Tratto da: Adista Documenti n° 44 del 23/12/2023

La battaglia contro l’acqua avvelenata non l’- hanno ancora vinta. Ma di sicuro hanno vinto quella contro la cortina di colpevole silenzio che per decenni ha tenuto volutamente sottotraccia una delle più grandi emergenze ambientali mai scoppiate in Italia: un’emergenza chiamata “Pfas”. E se oggi è noto a tutti che un’area di oltre 150 chilometri quadrati nel cuore del Nord-Est, tra le province di Padova, Vicenza e Verona, ribattezzata “Zona Rossa”, e abitata da 350 mila residenti è coinvolta da un serio rischio ambientale per contaminazione delle acque da sostanze fluoroalchiliche, i Pfas, appunto, è soprattutto per merito loro: un movimento spontaneo di mamme venete che hanno deciso di alzare la voce per denunciare l’avvelenamento dei propri figli, fino alla messa al bando di questi inquinanti. Un caso quasi unico in Italia e in Europa.

Prima in pochissime, disorientate, impaurite, poi decine, e poi centinaia, e ora ancor di più. Voce di genitori preoccupati, che chiedono una corretta informazione e soluzioni concrete al problema, cercando di stanare il negazionismo strisciante da parte di molte istituzioni, che avrebbero dovuto, fin da subito, mettere in guardia i cittadini coinvolti dal pericolo.

Prima della loro mobilitazione la notizia era rimasta confinata nelle sole cronache locali, anche se di pervasività dei Pfas, cioè di questo grande gruppo di composti chimici derivati dal fluoro utilizzati per realizzare prodotti antiaderenti, impermeabili o antimacchia se ne parlava già da tempo: associazioni ambientaliste, autorità mediche, studi del CNR ne avevano segnalato la subdola pericolosità. C’è voluto, però, il coraggio e la tenacia di queste donne che hanno iniziato a rivendicare il sacrosanto diritto alla salute dei loro figli per sollevare il caso, fare avviare indagini e attivare la magistratura che oggi ha portato alla sbarra i presunti inquinatori.

Ma cosa sono i Pfas? Con questo termine si indica un vastissimo gruppo di sostante fluoroalchiliche prodotte dall’uomo dalla metà del secolo scorso. Il legame carbonio-fluoro li rende indistruttibili. Si usano, ad esempio, per produrre rivestimenti antiaderenti di pentole, contenitori per alimenti, cartoni per pizza, impermeabilizzanti per tessuti, pelle, carta oleata, materassi; e poi ancora per detersivi e creme cosmetiche. Ma se i Pfas sono così performanti nella produzione di svariati oggetti di largo consumo, tanto sono temibili per la salute umana. Il motivo è la loro straordinaria resistenza al degrado. Infatti non si distruggono, ma permangono nell’ambiente e si accumulano nel sangue, nei tessuti e negli organi. Oltreché essere “inquinanti eterni”, sono pure dei killer perfetti perché inodori, insapori e incolori.

Sulla loro pericolosità esiste già ampia letteratura scientifica. «Sono sostanze che interferiscono sul funzionamento delle ghiandole endocrine», afferma l’onco-ematologo Vincenzo Cordiano, tra i primi a mettere in guardia sui rischi per le persone esposte a Pfas: «Si rileva un aumento di mortalità per infarto al miocardio, cancro del rene, malattie della tiroide, aumento del diabete in gravidanza». Gli studi della Regione Veneto, poi, hanno confermato i risultati dell’ematologo. Negli Stati Uniti se ne conosceva la pericolosità per una vicenda di contaminazione simile provocata dal colosso agroindustriale DuPont e denunciata dall’avvocato ambientalista Robert Billot, esperto d’inquinamento da Pfas. È uscito di recente uno studio sulla correlazione tra Pfas e iper-coleresterolemia a firma dall’endocrinologo Carlo Foresta. E proprio nelle settimane scorse un gruppo di lavoro composto da 30 scienziati di 11 Paesi ha presentato a Lione, nella sede dello Iarc, l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, un rapporto (uscito poi sulla rivista The Lancet Oncology) dichiarando ufficialmente il Pfoa, l’acido perfluoroottanoico, uno dei Pfas, cancerogeno e includendolo nel “gruppo 1” delle sostanze che possono causare tumori.

Ma in Veneto, sei anni fa, poco si sapeva di tutto ciò. E chi lo sapeva, da una parte aveva buoni motivi per tacere e, dall’altra, chi voleva denunciare, non riusciva a farsi ascoltare e veniva bollato come allarmista. «Tutto è iniziato nel 2017, quando le risposte delle analisi sulla ricerca dei Pfas nel sangue dei nostri ragazzi, effettuate per un’indagine di sorveglianza sanitaria voluta dalla Regione ed effettuata dalle Usl competenti territorialmente. Ebbene la concentrazione di questi perfluorati erano superiori di 40 volte quella delle persone non esposte», spiega Giovanna Dal Lago, di Lonigo, nel Vicentino, una delle fondatrici di “Mamme No Pfas”. Ad avvelenare i ragazzi era l’acqua che usciva dagli stessi rubinetti di casa.

Cos’era accaduto? Dalla falda acquifera contaminata per decenni da Pfas attingono gli acquedotti per l’approvvigionamento idrico gli abitanti di 80 Comuni delle tre province venete coinvolte. I Pfas inquinanti erano quelli prodotti dall’azienda chimica vicentina Miteni di Trissino, che iniziò a produrre perfluorati dal 1964, quando si chiamava Rimar, e che sorge proprio sopra la zona di ricarica della falda. Due anni fa, davanti alla Corte d’Assise di Vicenza, è iniziato il maxi-processo, uno dei più grandi in Italia per reati ambientali: al banco degli imputati 15 dirigenti della Miteni, accusati di avvelenamento delle acque, disastro ambientale innominato, gestione non autorizzata dei rifiuti, inquinamento ambientale.

Nel 2017, appunto, entrano in gioco le “mamme No Pfas”. «Eravamo poche e confuse. Ma ci siamo trovate unite dall’amore per i nostri figli e la volontà di batterci per l’acqua pulita e la messa al bando di queste sostanze», spiega Laura Ghiotto, una delle rappresentanti del gruppo. In pochi mesi, sfruttando i social, sono diventate le “Mamme No Pfas”, un movimento di oltre un migliaio di madri che, messosi in rete con altre organizzazioni in Italia e all’estero, ha iniziato a denunciare la contaminazione. Il gruppo facebook conta ad oggi 7.300 iscritti. E ora sono in moltissimi a dar loro ascolto.

Non poche tra loro provengono dal volontariato parrocchiale e da movimenti cattolici. Hanno letto e studiato la Laudato si’, sono consapevoli che la custodia del creato sia uno degli impegni a cui è chiamato il cristiano, ancor più in questo tempo segnato dalla crisi climatica.

Alcune di loro le abbiamo incontrate nella sacrestia della vecchia chiesa parrocchiale di Lonigo, alla fine dell’adorazione del Santissimo. Si trovano spesso, anche di notte, unendo assieme preghiera e azione, contemplazione e impegno civile. «Perché siamo piccole e fragili; ma sappiamo di combattere una giusta battaglia», spiega Cinzia, una di loro. C’è chi è impegnata in comunità col servizio liturgico, chi con gli scout. Chi fa la catechista, come Ivana, madre di Edoardo e Asia, alla quale lo screening medico aveva rilevato 51,7 di Pfoa e 272 di colesterolo. Anche Cinzia stava in manifestazione, l’8 ottobre 2017, quando, a Lonigo, le “Mamme No Pfas” sono riuscite a portare in piazza quasi diecimila persone, tra cui un centinaio di sindaci della “Zona Rossa”. Nessuna bandiera di partito, né comizi politici. Solo una preghiera recitata dall’allora vescovo di Vicenza Beniamino Pizziol, assieme ai rappresentanti delle comunità religiose musulmana e sikh attivi nel territorio. Alla manifestazione hanno parlato di Pfas, tra una lettura del Cantico delle Creature di San Francesco e la recita della “Preghiera per il dono dell’acqua pulita”, composta da “nonna no Pfas”, Annamaria Gatti, psicologa ultrasessantenne. Questa preghiera si è recitata in tante parrocchie della diocesi alla fine delle messe e dice: «Dio, nostro Padre, noi ti lodiamo! Tu ci hai donato e affidato ogni bene che è sulla terra per custodirlo e averne cura. Ti invochiamo con fiducia, dio della Vita, e affidiamo a Te, per intercessione di Maria, la salute della nostra gente. Guida tutti nel cammino verso la bonifica di quest’acqua e di queste terre sofferenti. Illumina chi è causa di questo inquinamento e tutti coloro che sono preposti alla soluzione di questo disastro, affinché l’acqua della nostra falda torni ad essere limpida e pura scorra nelle nostre case. Aiuta e sostieni le nostre famiglie, preoccupate della salute presente e futura. Fa’ che nei giovani cresca un sincero desiderio di difesa e rispetto per il creato, guidati dall’esempio dei loro genitori ed educatori». «Ancor oggi la recitiamo durante le veglie di preghiera o coi bambini al catechismo quando presentiamo la figura di San Francesco o celebriamo la Giornata Mondiale di Preghiera per la Cura del Creato», dice Giovanna Dal Lago, che poi ricorda l’attuale impegno sul tema della diocesi vicentina e del nuovo vescovo monsignor Giuliano Brugnotto, «che, come il predecessore, si è speso più volte, pubblicamente, per la causa dell’acqua pulita nella nostra terra». Le mamme sono state coinvolte, di recente, anche nell’organizzazione della prossima visita di papa Francesco in terra veneta, a Verona, il prossimo maggio. «Pensiamo che proprio come cristiani sia il tempo di vivere questo impegno civile per la tutela della salute e della nostra acqua. Tutti insieme credenti e non credenti», conclude Dal Lago. «Questo è un grande esempio di cittadinanza attiva portato avanti in modo pacifico e dialogante con tutti», commenta Annamaria.

Il movimento collabora con enti e università per promuovere studi scientifici sulle correlazioni tra Pfas e salute umana. S’è costituito parte civile al processo. Fa la spola con il Parlamento Europeo e la Commissione Ambiente a Bruxelles, e la Camera dei Deputati a Roma. Ha avuto anche l’appoggio dell’Ufficio per la Pastorale della Salute della Cei. «Chiediamo l’avvio dell’indagine epidemiologica della Regione, mai partita e la bonifica integrale del sito Miteni, analisi del sangue Pfas per tutti, e la revisione del Reach (il registro delle sostanze tossiche), includendo i nuovi Pfas», dice Dal Lago. Non sarà facile fermarle. Né, tantomeno, dargliela più a bere.

Alberto Laggia è un giornalista veneziano, inviato di "Famiglia Cristiana". Ha pubblicato, tra l’altro, "Notizia" (Ed. Messaggero Padova, 2021) sul mondo dell'informazione.

*Foto presa da Unsplash, immagine originale e licenza 

Adista rende disponibile per tutti i suoi lettori l'articolo del sito che hai appena letto.

Adista è una piccola coop. di giornalisti che dal 1967 vive solo del sostegno di chi la legge e ne apprezza la libertà da ogni potere - ecclesiastico, politico o economico-finanziario - e l'autonomia informativa.
Un contributo, anche solo di un euro, può aiutare a mantenere viva questa originale e pressoché unica finestra di informazione, dialogo, democrazia, partecipazione.
Puoi pagare con paypal o carta di credito, in modo rapido e facilissimo. Basta cliccare qui!

Condividi questo articolo:
  • Chi Siamo

    Adista è un settimanale di informazione indipendente su mondo cattolico e realtà religioso. Ogni settimana pubblica due fascicoli: uno di notizie ed un secondo di documentazione che si alterna ad uno di approfondimento e di riflessione. All'offerta cartacea è affiancato un servizio di informazione quotidiana con il sito Adista.it.

    leggi tutto...

  • Contattaci

  • Seguici

  • Sito conforme a WCAG 2.0 livello A

    Level A conformance,
			     W3C WAI Web Content Accessibility Guidelines 2.0

Sostieni la libertà di stampa, sostieni Adista!

In questo mondo segnato da crisi, guerre e ingiustizie, c’è sempre più bisogno di un’informazione libera, affidabile e indipendente. Soprattutto nel panorama mediatico italiano, per lo più compiacente con i poteri civili ed ecclesiastici, tanto che il nostro Paese è scivolato quest’anno al 46° posto (ultimo in Europa Occidentale) della classifica di Reporter Senza Frontiere sulla libertà di stampa.