Brasile: Lula e l'opposizione a un anno dal fallito golpe
8 gennaio 2023-8 gennaio 2024: un anno è passato da quando in Brasile il governo federale da poco insediato sotto le presidenza di Luiz Inácio Lula da Silva veniva frontalmente attaccato da azioni golpiste coordinate che devastarono le sedi istituzionali dei tre poteri nel distretto federale. A distanza di 12 mesi da quei fatti l’esecutivo federale e in prima persona il presidente hanno promosso un atto pubblico forte negli spazi del Parlamento, convocando i rappresentati istituzionali principali, cioè il presidente del Supremo Tribunale Federale, il presidente del Tribunale Superiore Elettorale, il procuratore generale della Repubblica, i presidenti dei due rami del Parlamento, i governatori degli Stati e del Distretto federale (cioè Brasilia). In parallelo in molte città si sono tenute manifestazioni per la difesa dello Stato democratico di diritto.
Non tutti hanno risposto positivamente e ci sono state assenze significative: in primo luogo il presidente della Camera, in secondo luogo il governatore del Distretto federale (al quale compete la responsabilità della sicurezza del territorio dove hanno sede fisica i palazzi del potere federale) e poi diversi governatori (San Paolo, Minas Gerais, Rio de Janeiro, Parana, Santa Catarina e altri) oltre a 30 degli 81 senatori.
Presenze e assenze disegnano bene la non facile situazione politica del Paese: il fatto cioè che, nonostante la vittoria di Lula, il peso e la capacità organizzativa e di mobilitazione istituzionale della destra (che nel centrão, grande centro, riunisce estrema destra, destra e centro e che ha maggioranza in Parlamento) sono molto grandi e articolati su tutto il territorio nazionale e, soprattutto, la destra continua a ritenere di avere il “diritto divino” (e secolare) di controllare le leve del potere a prescindere dalla educazione e dal rispetto istituzionale che qualunque politico dovrebbe in primo luogo avere.
Tutti gli interventi della cerimonia hanno in modo concorde ripetuto che le indagini della magistratura non hanno un termine di scadenza, tutti i responsabili di “Lesa patria” (è questo il nome dell’operazione), dai singoli partecipanti ad atti illeciti ai finanziatori, fino agli ispiratori intellettuali verranno identificati e sottoposti a giusto processo e conseguenti pene.
Il 7 gennaio la potente Rete Globo ha messo in onda un documentario di un’ora in cui ricostruisce a grandi linee gli accadimenti dell’8 gennaio 2023, aggiungendo alcune puntualizzazioni.
In trasmissione, Lula ha espressamente affermato di non essere stato ben informato sui disordini (aggressioni e un camion-bomba rinvenuto all’aeroporto di Brasilia) avvenuti il 12 dicembre 2022, quando l'elezione del presidente era stata omologata dal Senato, inducendo Lula ad allontanarsi da Brasilia per portare l’appoggio del governo alla città di Araraquara, colpita da un disastro climatico.
L’8 gennaio avviene l’attacco alle sedi dei tre poteri. Di fronte ad esso, il ministro della giustizia Falvio Dino informa il presidente Lula su quali strumenti egli può ricorrere per controllare l'eversione: il commissariamento degli organi responsabili della sicurezza dei palazzi istituzionali; l’attivazione della GLO (Garanzia della Legalità e dell'Ordine) che prevede il passaggio temporaneo del potere dal presidente all'esercito con il compito di ristabilire l'ordine (con il potere decisionale in mano all’esercito, sarebbe stato facile avviare una strada per richiamare dagli Usa Bolsonaro); dichiarare lo stato di sicurezza e lo stato d'assedio.
Fra i consiglieri di Lula i pareri non sono concordi: il ministro della Difesa propende per la GLO (di cui, dice, ha pronta una minuta), Lula infine opta per il commissariamento: sospende il governatore del Distretto federale per non avere mantenuto l'ordine, e mettere un commissario indicato dal governo al posto del segretario di Pubblica Sicurezza del Distretto federale. Viene nominato Ricardo Cappelli che prende in mano la situazione con grande competenza e rapidità. Vengono rimossi tutti i dirigenti della sicurezza del distretto e Cappelli direttamente impartisce gli ordini per fare intervenire militari e polizie. Vengono recuperati i palazzi, peraltro molto danneggiati. Una ricostruzione, questa, cui hanno contribuito in trasmissione, oltre a Lula, sia Dino che Cappelli.
A questo esposizione realistica e documentata se ne contrappone un’altra costruita dalle non poche forze della destra e della destra estrema anti-istituzionale che riflette la visione di buona parte del ceto medio, delle dirigenze dei gruppi neopentecostali, della cosiddetta “famiglia militare”, oltre agli agrari, a diversi imprenditori, blocco che ha una presenza maggioritaria in Parlamento e che nega che si sia trattato di un colpo di Stato. Golpe, dicono alcuni, anche parlamentari, è quando i carri armati escono nelle strade… Si è trattato solo di cittadini che hanno espresso la loro opinione senza intenzioni di appropriazione indebita del potere.
I social diffondono ricostruzione di fantasia, ma essa è presente anche in mass media più strutturati, nel tentativo di alimentare l’ipotesi dell’amnistia, del colpo di spugna. La sensazione, osservando la situazione di questo primo anno, è che le forze avverse al rispetto delle normali procedure rappresentative non abbiano affatto desistito dai loro propositi e questo è confermato anche dal modo ancora una volta poco istituzionale in cui opera in Parlamento l’opposizione. Ad esempio sul “limite temporale” del riconoscimento delle terre indigene. Il Supremo Tribunale Federale (STF), in data 21 settembre 2023, dichiarava anticostituzionale l’ipotesi di riconoscere quali terre ancestrali solo gli spazi effettivamente occupati prima del 5 ottobre 1988, data della promulgazione della Costituzione. Il 27 settembre 2023, il Senato votava con opportunistica procedura di urgenza (la materia si trascina da anni) invece una norma che accoglieva la equivoca teoria del “limite temporale” che straccia i diritti delle popolazioni ancestrali. Come evidente si trattava di una scelta politica di disprezzo verso il STF che, pur con oscillazioni, difende i principi costituzionali specialmente quelli fondamentali, che cioè non possono essere modificati.
Si è quindi aperto un contenzioso complesso fra presidenza della Repubblica, che ha bloccato buona parte del provvedimento, Parlamento e Supremo Tribunale dove approderanno ricorsi. Questo è solo uno dei casi in cui il Parlamento vota non conforme alle disposizioni vigenti o respinge progetti di legge dell’esecutivo anche dopo lunghe trattative accettate da entrambe le parti. Inoltre, in ambito parlamentare, l’opposizione sta avviando iniziative per modificare la permanenza dei membri del Supremo Tribunale Federale e per indebolire i poteri della Presidenza a favore di un rafforzamento di quelli parlamentari.
* Palacio do Plananlto, sede ufficiale della Presidenza della Repubblica del Brasile. Foto ritagliata di Michel Temer tratta da Flickr, immagine originale e licenza
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