
Come resistere all'"economia di guerra"? Ne discutono domani a Piombino comitati di base
Economia di guerra?
Domani 9 aprile, alle ore 17:00 a Piombino, presso il Centro Giovani (viale della Resistenza, 4), per l’“Itinerario tre”, si parlerà di: «Economia di guerra? Resistenze alla militarizzazione e disarmo come alternative”. Il tema sarà analizzato da “Unione Scienziati per il Disarmo” (con l’intervento di Mario D’Acunto), “Movimento No Base - Né a Coltano né altrove” e “NO comando NATO - Né a Firenze né altrove”.
Ricco di argomenti esplicativi e di domande cui rispondere il comunicato che chiama alla discussione:
«La guerra è vicina – vi si legge –. Di nuovo, in Europa, dopo 25 anni (e non 80; ci siamo scordati della Iugoslavia negli anni ’90?). Per ora limitata ai suoi confini orientali nella sua forma più sanguinosa e distruttiva. Eppure, invece di contenere il mostro che minaccia ancora una volta di inghiottire le giovani generazioni del continente, le classi dirigenti dei maggiori Stati UE sembrano decise ad apparecchiargli la tavola. Nel mentre promuovendo il Grande Riarmo. 800 miliardi di debito pubblico europeo da investire in armamenti. Un nuovo PNRR, varato in pochi giorni, dopo 10 anni di politiche di austerità e di tagli alla sanità, all’istruzione e alle pensioni che hanno strangolato paesi come la Grecia.
Le aziende produttrici di armamenti si fregano già le mani. I loro utili sono alle stelle. Il banchetto è per loro. Già si parla apertamente di riconvertire l’industria automobilistica europea, messa ko dalla speculazione energetica, al settore militare. Dagli pneumatici ai cingolati. Economia di guerra, come una volta. Alla guerra bisogna prepararsi, ci viene detto. Ma per evitarla, ci viene detto ancora. La pace si ottiene attraverso la forza, si ribadisce. Dunque, si conclude, la guerra deve continuare. E le merci prodotte, prima o poi bisogna consumarle per produrne di nuove, per stimolare la domanda. L’economia capitalistica funziona così. Questo però, non lo si dice.
C’è molta confusione in giro, tutte le bussole sembrano impazzite. Gli USA che cercano di mettersi d’accordo con la Russia abbandonando l’Ucraina al suo destino e delegando alle colonie europee le “garanzie” di sicurezza e i costi di ricostruzione. L’Unione Europea che prova goffamente a indossare l’elmetto e a fare una faccia da guerra vagheggiando un ad oggi improbabile esercito comune. Il popolo della pace che non sa più a quale pace aggrapparsi. Giornalisti, cantautori e scrittori attempati che si improvvisano nuovi D’Annunzio nelle piazze interventiste. Potremmo continuare a lungo, troppo a lungo, nello squadernare i contorni di una farsa che non fa ridere, semmai raggela. Ma qui ci sembra più importante altro: restituire alla tendenza alla guerra la dimensione materiale che le è propria.
A quanto ammontano le spese belliche in Italia al momento? Come sono cresciute negli ultimi anni, e quanto cresceranno ancora?
Quale sarà il ruolo della scuola e del mondo dell’università e della ricerca, in questo nuovo contesto?
Che cosa comporta, per l’ambiente e per l’economia dei territori che ne sono investiti, l’ampliamento delle infrastrutture e delle attività militari?
Quali rischi per la sicurezza dei cittadini possono derivare dalla movimentazione crescente di materiale bellico su strade, ferrovie, porti e aeroporti? E quali rischi potenziali invece per i quartieri delle città limitrofi ai centri di comando militari?
Come andrà a impattare la militarizzazione del discorso pubblico e delle società sugli spazi di dissenso e sul diritto di manifestare?
Quali sono infine le alternative economiche e politiche che potremmo perseguire per immaginare un diverso futuro?
Convinti che queste domande siano prioritarie per domandarci seriamente “Che fare?”, nella realtà delle nostre vite, rispetto all’orizzonte di guerra che ci viene imposto, cercheremo di sviluppare un dibattito a partire da esse grazie al contributo di tre diverse esperienze e prospettive:
Mario D’Acunto (Unione Scienziati per il Disarmo)
Movimento No Base - Né a Coltano né altrove
NO comando NATO né a Firenze né altrove».
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