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Due ipotesi sul papa che verrà

Due ipotesi sul papa che verrà

Tratto da: Adista Notizie n° 18 del 10/05/2025

Ad ogni morte di papa il mondo occidentale si sveglia teologo. E mentre chi teologo lo è davvero tende a tacere, perché sa – come ha scritto in questi giorni don Paolo Scquizzato – che «il Silenzio è l’ultimo nome che ci rimane per Dio», altri intellettuali (la cui formazione in queste tematiche si è fermata al catechismo della Prima Comunione) moltiplicano dotti pareri e irrichiesti consigli. Talora misti a cavolate imbarazzanti come la tesi che il rimpianto Benedetto XVI sia stato l’ultimo papa legittimo (tesi che, se veritiera, farebbe dell’intero collegio cardinalizio un gregge di incompetenti in diritto canonico e dell’eruditissimo Joseph Ratzinger un povero rimbambito incapace persino di dimettersi come si deve).

In questo bailamme non mi sembra corretto sottrarmi alla richiesta di qualche amica che – avendo letto un mio intervento sul difficile bilancio del pontificato appena conclusosi (v. Adista online, 21 aprile 2025) – mi sollecita alcune parole sul pontificato che ci attende.

Da filosofo, e in quanto tale curioso anche delle cose di religione, mi pare di poter osservare che le attese (talora speranzose, talaltra timorose) del popolo cattolico si assestino su due ipotesi di massima.

La prospettiva del cristianesimo consolatorio

In una prima prospettiva, che approssimativamente ma non del tutto propriamente viene definita “conservatrice”, ci si attende un papa che allo smarrimento di senso dell’umanità contemporanea risponda con l’annunzio, chiaro e forte, delle certezze dottrinarie elaborate in quasi venti secoli di storia (più esattamente dal Concilio di Nicea del IV secolo al Concilio Vaticano II del XX secolo): Dio c’è e ne conosciamo gli attributi principali; si è incarnato pienamente ed esclusivamente nell’uomo Gesù di Nazareth; il quale ha fondato una Chiesa, destinata a perdurare sino alla fine della storia, che, illuminata in maniera infallibile dallo Spirito Santo (cioè da Dio stesso nella sua terza manifestazione, dopo il Padre e il Figlio), ha insegnato tutte le verità assolute necessarie alla nostra serenità terrena (con la morte ognuno di noi sopravviverà, almeno in forma di anima immateriale, nella sua individualità e sarà giudicato meritevole di paradiso, purgatorio o inferno; a questo giudizio individuale farà poi seguito, alla fine del mondo, il giudizio universale che ristabilirà definitivamente la giustizia ricompensando in maniera sovrabbondante chi sulla Terra ha subìto senza proprie colpe sfruttamento, violenze, soprusi, guerre, inganni, frodi etc.).

Chi può negare che questo plesso dottrinario eserciti un fortissimo fascino per la sua coerenza logica interna e ancor più per il conforto che offre davanti allo spettacolo della storia che, come già notava Shakespeare, sembra il racconto senza capo né coda di un ubriaco? Chi può negare, come ripetono in questi giorni di pre-Conclave dei cardinali scontenti dell’era bergogliana, che un papa simile a Pio XII, a Giovanni Paolo II e a Benedetto XVI potrebbe attrarre persone scoraggiate e desiderose di un manto protettore?

La prospettiva del cristianesimo inquietante

Perché allora, fra alti prelati, presbiteri, suore istruite, laiche e laici cattoliche/ici con titoli accademici teologici, molte persone si riconoscono in una seconda prospettiva che, altrettanto sommariamente e giornalisticamente, viene definita “progressista”? Perché non è scontato che il successore di Francesco sia un restauratore? La risposta telegrafica (che esigerebbe una biblioteca per essere argomentata) sarebbe: perché la costellazione dei dogmi cattolici, indubbiamente consolante, ha il difetto di non essere “vera”. Essa infatti ha trovato consenso per secoli o per le minacce di sanzioni terrene e ultraterrene o per le promesse rassicuranti. Tramontata l’era dell’Inquisizione e dei roghi, dall’Illuminismo in poi, a chi cercava una luce nel buio dell’orizzonte si presentava come sovra-razionale, ma non come ir-razionale. Certo anche in passato per molta gente non è stato rilevante che un annunzio fosse “realistico”, cioè compatibile con ciò che sappiamo sulla realtà con sufficiente chiarezza: le bastava che fosse confortante. Ma per altre persone la proposta cattolica non era soltanto affascinante, era anche convincente: anzi, era affascinante perché convincente. La Chiesa, da parte sua, non ha ceduto su questo punto decisivo: essa ha inteso esercitare un Magistero rassicurante perché “vero”, in quanto garantito dalla Verità stessa. Gli esponenti più autorevoli da Agostino d’Ippona e Tommaso d’Aquino a Jacques Maritain e Paolo VI hanno ribadito che il cristianesimo merita di essere adottato solo se, pur andando oltre, non va contro le regole della logica, i dati delle scienze naturali, le scoperte delle scienze storico-antropologiche, le acquisizioni della filologia e così via. Da un secolo a oggi, però, è proprio questo statuto epistemico veritativo che si è incrinato: molte intelligenze cattoliche – studiando con impegno e sincera disposizione alla ricerca – sono pervenute alla conclusione che la corona dei dogmi cattolici risulta insostenibile al vaglio delle analisi filosofiche e scientifiche, anzi quasi sempre addirittura in contraddizione con la stessa Bibbia. Da qui un bivio: alcune persone, proprio per onestà intellettuale, con sofferenza ma con convinzione, passano dall’ovile dei “persuasi” all’ampia prateria dei dubbiosi. L’esodo dei perseguitati per Modernismo continua anche dopo il tramonto dell’etichetta teologica della prima metà del Novecento.

Altre persone preferiscono, sino a quando non vengono censurate o espulse, restare all’interno della Chiesa cattolica ma rifondandone il senso e la missione. Secondo loro, se il messaggio cristiano fosse, originariamente ed essenzialmente, una proposta dottrinaria, chi ne vedesse l’impossibilità di giustificarla con argomenti plausibili dovrebbe, per coerenza, abbandonarla all’archeologia mitologica. Ma proprio l’analisi “scientifica” dei testi biblici – in particolare del Secondo Testamento – attesta che la fede secondo Gesù e i suoi primi discepoli non è accettazione cerebrale di tesi metafisiche, quanto un modo di giocarsi l’esistenza terrena per far fiorire la vita in se stessi e nelle altre creature. Non è un catalogo (che va affidato al lavoro dei filosofi e degli scienziati) di risposte agli enigmi dei mali sia naturali sia causati dagli umani, ma un invito operativo a lenire tali mali, almeno nella misura in cui ciò rientra nelle nostre possibilità.

Due modelli di papa

Chi ha capito i limiti del “teismo” cattolico e la preziosità dell’agape evangelica spera dunque che il successore di Francesco – pur condividendone alcuni difetti e mostrando pregi che Bergoglio non ha mostrato – resti almeno fedele alla sua intuizione di fondo: che solo la follia di una prassi nonviolentemente liberatrice degli impoveriti della Terra, e della Terra stessa ormai stremata da uno sfruttamento secolare senza freni, possa salvare l’umanità (prima di tutto) e la Chiesa (secondariamente). Un papa, insomma, che come i cristiani dei primi secoli, non abbia paura di remare controcorrente, non tema l’impopolarità e il calo dei sedicenti fedeli, ma annunzi una proposta di vita che non spenga l’inquietudine teoretica ed esiga un più intenso impegno etico.

Molto più “normale”, conforme al buon senso, è indubbiamente il modello di papa auspicato da quanti si dicono ancora cattolici perché una vecchia teologia (ma non così antica come si presenta: va indietro solo sino al IV secolo!) gli promette beatitudini future: essi accusano Francesco di aver tentato di trasformare la Chiesa in un’organizzazione di volontariato sociale, aspettano un papa che torni alle “verità definite” e ai “valori non negoziabili” e che, in virtù di tali promesse accattivanti, attiri nuovi adepti, soprattutto fra i giovani incerti e smarriti. Un papa che “voli alto”, molto in alto, al di sopra delle miserie di questa “valle di lacrime”: che proclami “misteri” trascendenti, riservati a chi è disposto a credere senza più pensare, e princìpi etici talmente generali da essere sottoscritti unanimemente; che eviti di compromettere l’autorità di portavoce dell’Eterno con analisi socio-economiche, valutazioni storico-politiche, denunzie di crimini circoscritti e individuabili. Con affermazioni, insomma, empiricamente verificabili e, per ciò stesso, anche falsificabili.

Quale dei due modelli di papa sceglieranno gli eminentissimi in Conclave? Non sono in grado di sbilanciarmi in previsioni, ma non mi stupirei che puntassero su qualche nome di mediazione (salvo poi a scoprire che l’eletto è meno “equilibrato” di come lo si attendeva perché o non ha saputo o non ha voluto farsi conoscere anticipatamente sino in fondo). So solo che le statistiche attestano che il declino delle adesioni alla Chiesa cattolica abbia avuto origine già durante i pontificati di papi “duri e puri” come Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Ma anche se ciò non fosse vero; anche se non fossimo in una fase storica irreversibilmente “postreligionale” in cui la concezione stessa di un “papato” come monarchia assoluta risulta anacronistica, che servirebbe “salvare” la Chiesa cattolica dall’autodissoluzione tornando a parlare di “misteri” ignoti e a ignorare le esigenze evidenti dell’ecologia “integrale” (dunque della revisione radicale dei nostri rapporti con gli altri esseri viventi)? Se il futuro di una Chiesa ha senso è in funzione di un futuro dell’umanità. Non certo il contrario.

Augusto Cavadi è del Centro di ricerca esperienziale di teologia laica – Palermo

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