
Quanti Mose'
Newsletter n. 34 del 30 settembre 2025
Cari Amici,
nel rito officiato alla Casa Bianca, nel quale Donald Trump ha annunciato la Buona Novella della pace perpetua non solo a Gaza ma in tutto il Medio Oriente, si è potuto vedere in modo impressionante come realtà e apparenza, verità e menzogna, fatti e simboli siano strettamente legati nell’attuale politica americana, sicché il discernimento di ciò che veramente è e di ciò che veramente accade diventa il primo compito da assolvere per potersi assumere la responsabilità dell’agire.
La prima realtà che salta agli occhi, gravida di molte implicazioni, è che sta in America il vero governo dello Stato di Israele. Si pensava finora che si trattasse solo dell’influenza autorevole ma non determinante di un potente alleato: per esempio le raccomandazioni di Biden furono disattese da Netanyahu dopo gli eventi del 7 ottobre. Ora invece si tratta di una vera e propria sostituzione. Lo si era visto quando gli Stati Uniti mettendosi al posto di Israele bombardarono con i B-2 Spirit i siti nucleari iraniani, e lo si vede ora quando Trump decide di subentrare nel “lavoro” che Netanyahu non riesce a finire a Gaza, pretendendo l’immediata resa di Hamas (72 ore) senza nemmeno il disturbo di chiederglielo, per assumersi poi direttamente il governo di Gaza o in alternativa per portare rapidamente a termine il genocidio e pervenire alla soluzione finale della questione palestinese nel senso voluto da Israele.
A questo subentro presiede una identificazione ancora più mistificante con l’attuale potere dello Stato sionista, quando Trump. dichiarandosi autore di una pace eterna per «sistemare cose che durano da migliaia di anni in Medio Oriente», si mette nei panni di Mosè come già fece Netanyahu il 27 settembre dell’anno scorso all’Assemblea dell’ONU, quando si attribuì lo stesso compito di Mosè al suo affacciarsi alla Terra promessa, quello di lasciare alle generazioni future la benedizione o la maledizione: cosa che il Primo ministro israeliano fece presentando alla sbigottita assemblea delle Nazioni Unite due mappe, una con i Paesi benedetti e l’altra con i popoli maledetti, musulmani od arabi, dall’Iran alla Siria all’Iraq, addossando così a Dio stesso un improbabile mandato di sterminio. Ed ora è il presidente americano che si rifà ai biblici eventi del Sinai, presentandosi come il messianico artefice di «uno dei più grandi giorni di sempre nella civiltà», benedizione per gli uni, maledizione per gli altri, cioè per il popolo palestinese nemmeno nominato tra i soggetti destinati a vivere nella «pace perpetua» del Medio Oriente, che si tratti di Gaza o di Gerusalemme e della Cisgiordania già fatta a pezzi dal “muro di ferro” dei coloni.
In tutto ciò la vera sostituzione che ne risulta è quella nella gestione e nel compimento del genocidio. La lunga tragedia di Gaza ha mostrato una caratteristica poco considerata finora del genocidio: mentre una esecuzione capitale, un omicidio, una strage, sono cose istantanee, che si consumano in un solo momento, un genocidio è un evento che si protrae nel tempo, è un processo di lunga durata. Bisogna essere dotati per perseverare, bisogna avere forze e mezzi adeguati, non essere distolti dal lavoro, per portare a termine un genocidio, prima che si rovesci a proprio danno. Quello della popolazione di Gaza dura ormai da due anni e, se non fosse per Trump, ancora non se ne vedrebbe la fine; quello del popolo palestinese come tale, come popolo negato, come ingombro da rimuovere, come indesiderati da isolare, separare, nascondere alla vista dei dominatori, come avviene in Israele e in Cisgiordania, dura da settant’anni. Troppi, per Israele, ha alla fine deciso Netanyahu, il primo capo del governo israeliano che ha la sincerità di dire che non ci sarà mai uno Stato palestinese, cioè uno Stato riconosciuto da altri 159 Stati di tutto il mondo. Troppi, due anni di genocidio a Gaza, dice Trump, che non può fare la parte del Salvatore, del futuro Nobel per la pace, se ogni sera si vedono in Televisione i bambini scheletriti a Gaza e nello stesso tempo folle immense che protestano, e Chiese e flotte del mondo civile che si oppongono alla legittimazione del genocidio, alla sua ricezione che lo omologhi come pratica di routine, come nuova risorsa tecnologica dell’attuale sistema di dominio e di guerra.
Ed ecco perché ora è l’America di Trump che si erge come arbitra nello scontro epocale tra il Bene e il Male, sono gli Stati Uniti dei fondamentalismi blasfemi e delle lobbies “evangeliche” e sioniste, sono le masse trumpiane dell’America grande “di nuovo”, che sono pervase da una mentalità apocalittica come è stato osservato dai migliori analisti dopo l’assassinio e l’esaltazione funebre di Charlie Kirk, sono tutti questi che rilasciano a Israele la licenza di genocidio o, in difetto, decidono di compierlo in proprio. E lo chiamano pace.
Nel sito pubblichiamo l’omelia dell’arcivescovo di Napoli sullo spargimento di sangue, un’intervista al giurista Pasquale Annicchino sulla “Mentalità apocalittica” che si sta diffondendo negli Stati Uniti e la traccia di un intervento sulla Fine dell’Occidente di Raniero La Valle al Convegno del “Coraggio della pace” di Sesto Fiorentino.
Con i più cordiali saluti,
da “Prima Loro”
*Immagine di pubblico dominio
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