L’opzione radicale per la pace nella Nota pastorale dei vescovi italiani
Tratto da: Adista Notizie n° 45 del 27/12/2025
42464 ROMA-ADISTA. Per quanto riguarda i cappellani militari, occorre «prospettare diverse forme di presenza, meno direttamente legate a un’appartenenza alla struttura militare: esse consentirebbero maggior libertà nell’annuncio di pace specie in contesti critici». L’affermazione inedita, che sembra introdurre da parte dei vescovi l’avvio di una riflessione sulla smilitarizzazione dei preti-soldato, è contenuta nella Nota pastorale “Educare a una pace disarmata e disarmante”, approvata dalla Conferenza episcopale italiana nella 81ma Assemblea generale ad Assisi a fine novembre (v. Adista n. 42/25) e diffusa dall’ufficio comunicazioni della Cei lo scorso 5 dicembre (quando il precedente fascicolo di Adista era già in stampa).
Qualche avvisaglia si era già avuta nel documento di sintesi del Cammino sinodale della Chiesa in Italia (“Lievito di pace e di speranza”), approvato lo scorso 25 ottobre, dopo che la prima versione era stata respinta dall’Assemblea perché giudicata troppo timida (v. Adista Notizie n. 14/25), dove si legge: «La Cei promuova, secondo le proprie competenze, nelle sedi opportune una riflessione pastorale sulla natura e sull’orientamento del servizio di assistenza spirituale alle Forze dell’Ordine e alle Forze Armate» (n. 24). Ora però la presa di posizione è decisamente più chiara – si parla esplicitamente di una presenza «meno direttamente legate a un’appartenenza alla struttura militare» – ed è contenuta in un documento approvato dall’Assemblea generale della Cei a larghissima maggioranza: 190 sì e 15 no, secondo quanto apprende Adista da chi era presente alla votazione.
I vescovi italiani, sulla spinta del Sinodo, sembrano quindi accogliere finalmente le proposte di Pax Christi e delle Comunità cristiane di base, che da decenni sostengono la smilitarizzazione dei cappellani militari («cappellani sì, militari no») e l’affidamento dell’assistenza spirituale ai militari a semplici preti delle diocesi, senza più i gradi e gli stipendi dei soldati a cui ora sono equiparati, a cominciare dal vescovo ordinario militare che è un generale di corpo d’armata. Certo si tratta di materia concordataria, che non può essere modificata unilateralmente. Però se la Cei davvero volesse, e riuscisse a vincere le resistenze interne – a cominciare da quelle dell’ordinariato militare –, potrebbe chiedere l’avvio di un tavolo con il governo.
Ma c’è anche altro nella Nota pastorale della Cei, a cominciare dalle proposte di servizio civile obbligatorio e di riduzione delle spese militari e degli investimenti in armamenti. Una sorta di riposta all’aumento dei finanziamenti per le forze armate e ai piani di riarmo del governo Meloni e alla proposta del ministro della Difesa Guido Crosetto di reintrodurre il servizio militare. In un tempo segnato «dall’“inutile strage” di persone, per lo più civili e bambini», contraddistinto «da una mentalità che rincorre la strategia della deterrenza degli armamenti, che può cambiare l’economia e la cultura dei nostri Paesi», e caratterizzato «da una violenza diffusa che rischia di diventare una cultura che affascina soprattutto i più giovani», è «necessario» rimettere al centro il discorso sulla pace, spiega il card. Matteo Zuppi, presidente della Cei, nell’introduzione alla Nota.
L’analisi dei vescovi parte dall’Ottantanove, ovvero dal crollo del Muro di Berlino e dalla fine dell’Urss. «Momenti che hanno fatto sperare in una pace perpetua aprendo, dopo il 1989, una fase di contrazione delle spese militari. Si era convinti che tutti i conflitti, anche quelli sociali, andassero verso la dissoluzione, in una società globale centrata sui valori dell’autoespressione individuale, dell’autonomia, dell’espansione dei diritti civili». Invece, quegli stessi Paesi occidentali che avevano costruito il nuovo ordine mondiale, hanno in realtà contribuito al suo «deterioramento», seguendo due direttrici: un «modello economico che accresceva le diseguaglianze, rivelando la fallacia della promessa di benessere globale del liberismo»; e la guerra, «giustificata come umanitaria o perché esercitata a difesa dell’ordine internazionale». Il risultato è quello che oggi appare evidente: la «guerra mondiale a pezzi» – così denunciata da papa Francesco – e la «minaccia nucleare».
È proprio in questo difficile contesto che bisogna tornare a «educare alla pace», rilanciando il «primato della fraternità» e il comandamento del «non uccidere», prendendo spunto dal magistero di due vescovi, che sono stati anche presidenti di Pax Christi: Luigi Bettazzi e Tonino Bello. Con alcune proposte che i vescovi rivolgono alla Chiesa, alla società e anche alla politica, a partire dall’introduzione non di un servizio militare alla Crosetto, ma di un servizio civile per tutti. «Oggi, di fronte al mondo in guerra, dovremmo poterdeclinare il valore della “difesa della patria” in un servizio civile obbligatorio per ogni giovane, come momento che accompagna la maturità politica della maggiore età con quella civile e morale – si legge nella nota –. Un servizio civile obbligatorio sarebbe un investimento per dare alle prossime generazioni l’occasione di praticare la cura per la dignità della persona umana e per l’ambiente, per opporsi all’ineguaglianza che si fa sistema sociale, all’inimicizia come qualifica delle relazioni fra esseri umani e popoli, alla soggezione dell’altro alle proprie ambizioni».
Poi la riduzione delle spese militari e per gli armamenti – in Italia come in Europa – e «la presa di distanza da quelle realtà economiche che sostengono la produzione ed il commercio di armi», rafforzando i controlli della legge 185/90 (di nuovo sotto attacco delle lobby armiere e del governo) e sostenendo la campagna contro le “banche armate”. «Si parla talvolta di obiezione bancaria per indicare il disinvestimento, da parte di singoli ed istituzioni, da quei soggetti finanziari coinvolti in tali dinamiche – scrivono i vescovi –. È un’opzione importante, che singoli e comunità possono valorizzare per esprimere una volontà di pace attenta a quei fattori strutturali che contribuiscono a dinamiche conflittuali». Una proposta, quest’ultima, che chiama direttamente in causa la Chiesa, visto molti organismi ecclesiastici e la stessa Cei utilizzano le “banche armate” (v. Adista Notizie nn. 17/22, 30/23 e 3/24). Insomma potrebbe dare subito il buon esempio, per dimostrare di passare dalle parole ai fatti.
*Foto presa da Unsplash, immagine originale e licenza
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