Miopia politica e pressioni delle lobby: la retromarcia ambientale dell’Ue
Tratto da: Adista Notizie n° 45 del 27/12/2025
42471 ROMA-ADISTA. Prosegue a pie’ sospinto il piano di “Semplificazione e Competitività” della Commissione Europea, sotto il secondo mandato di Ursula von der Leyen che, dietro l’obiettivo esplicito di ridurre del 25% gli oneri amministrativi complessivi delle aziende europee (i costi sostenuti dalle aziende per adempiere alle indicazioni normative), intende smantellare le conquiste ottenute in campo sociale, ambientale e climatico, sotto la pressione delle destre europee e delle lobby industriali e finanziarie europee allergiche al Green Deal e alla transizione.
La retromarcia europea
La strategia della Commissione si è realizzata con la presentazione, lungo il 2025, di 9 pacchetti Omnibus di provvedimenti che, dopo il passaggio in Parlamento e Consiglio, andranno a modificare decine di norme comunitarie in ambiti diversi: Omnibus I su Sostenibilità/ESG; Omnibus II su Mercato Interno e Investimenti; Omnibus III su Agricoltura (PAC); Omnibus IV su Digitale e AI; Omnibus V su Trasporti; Omnibus VI su Sanità e Dispositivi Medici; Omnibus VII su Energia; Omnibus VIII su Ambiente (Natura e Autorizzazioni); infine, ultimo arrivato, presentato il 16 dicembre scorso, l’Omnibus IX su Emergenza Automotive. Quest’ultimo, presentato come “Pacchetto Realismo” in risposta alla crisi del settore automobilistico in particolare in Italia e Germania, segna una grave marcia indietro su uno dei pilastri principali del Green Deal (peraltro fortemente voluto dalla stessa von der Leyen nel suo primo mandato) e cioè lo stop ai motori endotermici: l’obiettivo “emissioni zero” entro il 2035 si stempera così in un taglio del 90% delle emissioni automobilistiche, quanto basta per disincentivare ancora una volta il rinnovamento di un comparto industriale obsoleto che – sostenuto dalla miopia di una destra politica a ricasco del negazionista climatico Donald Trump – continua a guardare al passato e a perdere posizioni di competitività in un futuro già scritto, guidato oggi dalla Cina che nel 2024 ha già conquistato i due terzi del mercato dell’auto elettrica nel mondo.
Il mondo ambientalista europeo è sul piede di guerra anche contro i pacchetti Omnibus I e VIII, su Sostenibilità e Ambiente. In particolare il secondo pacchetto comprende modifiche normative estremamente gravi, che andranno a minare, per esempio, il Regolamento EUDR (European Union Deforestation Free Regulation) del 2023 – adottato per combattere la deforestazione e il degrado boschivo nel mondo, vietando l'importazione o l'esportazione di prodotti provenienti da filiere non certificate (v. Adista Notizie n. 38/25) – o anche, sempre per esempio, la Direttiva Quadro sulle Acque, un pilastro fondamentale per i movimenti per l’acqua bene comune (v. Adista online 16/12/2025).
Intanto, all’Europarlamento
L’iter legislativo dell’Omnibus I ha segnato un (brutto) passo avanti.
La “Corporate Sustainability Due Diligence Directive” (CSDDD) è la Direttiva europea sulla sostenibilità aziendale, che impone alle grandi imprese europee di prevenire e mitigare gli impatti ambientali e sociali negativi causati dalle loro attività lungo tutta la catena del valore, compresa quella di filiali e società partner.
Il 16 dicembre scorso, data campale per la strategia della Commissione, il Parlamento Europeo ha approvato il pacchetto “Omnibus Sostenibilità/ESG” che interviene sulla Direttiva CSDDD e anche sulla Direttiva CSRD (“Corporate Sustainability Reporting Directive”) che riguarda la rendicontazione trasparente delle performance non finanziarie (per esempio l’impatto ambientale).
Il voto europeo (428 eurodeputati favorevoli, 218 contrari e 17 astenuti) «indebolisce la responsabilità delle imprese su diritti umani e clima» e rappresenta «un arretramento che incide su tutela dei diritti, accesso alla giustizia e credibilità dell’Unione», accusa il giorno del voto Mani Tese, ong italiana che dal 1964 opera in tutto il mondo sui temi della giustizia sociale, economica e ambientale.
Arretramenti europei
Proprio mentre il mondo economico e l’opinione pubblica europea si dimostrano più attenti alle questioni ambientali e sociali, Bruxelles assume la grave decisione di indebolire la normativa sulle responsabilità ambientali, umane e sociali delle imprese europee: «Quella presentata come una semplificazione normativa rappresenta, nei fatti, una svolta che incide sulla tutela dei diritti umani, sull’accesso alla giustizia per le vittime di abusi aziendali e sulla credibilità dell’Unione europea. Un passaggio che merita un’analisi approfondita e uno spazio nel dibattito pubblico».
La riforma, aggiunge infatti Mani Tese, «elimina tutele fondamentali in materia di diritti umani e ambientali, compresi i piani di transizione climatica per le grandi aziende. Il risultato è una normativa che rende più difficile per le vittime di abusi aziendali ottenere giustizia e che segnala un preoccupante arretramento dell’Ue nella risposta alle crisi climatiche e dei diritti umani».
Come si è arrivati a negare anni di conquiste e a smantellare normative tanto importanti ed efficaci? Secondo Mani Tese, insieme alle solite pressioni delle lobby industriali europee, che mai hanno digerito la svolta green delle istituzioni europee, il problema è puramente politico: lo slittamento a destra dell’opinione pubblica continentale ha spinto il Partito Popolare Europeo (PPE), storicamente moderato, a spostarsi sempre più su posizioni di destra, anche dal punto di vista ambientale e sociale. E questo rappresenta «un precedente pericoloso che rischia di compromettere seriamente la responsabilità democratica e la credibilità dell’Unione europea come leader globale in materia di diritti umani e sostenibilità».
Dal punto di vista climatico, accusa ancora Mani Tese, il pacchetto prevede la «cancellazione dei piani di transizione climatica» e le imprese più grandi non saranno più «tenute a dimostrare come intendano ridurre il proprio impatto ambientale. Questo sposta il peso dell’azione su cittadini e Stati, mentre chi contribuisce maggiormente al problema resta al riparo da responsabilità vincolanti».
E ora?
Secondo Mani Tese ci sarà tempo fino al 2028 per recepire i cambiamenti a livello normativo nazionale. «Molto dipenderà dalle scelte dei governi: se utilizzeranno questo spazio per consolidare le regole o, al contrario, per indebolirle ulteriormente».
Il futuro della responsabilità sociale e ambientale d’impresa è dunque nelle mani dei singoli governi, il cui colore politico sarà discriminante in assenza di una pubblica opinione ben informata e attivata. «È quanto mai urgente che anche in Italia, come già avviene nella maggior parte degli Stati membri, il dibattito pubblico e mediatico su questi temi sia vivo, informato e aperto. Solo una discussione ampia e trasparente può spingere governi, imprese e decisori politici a scegliere se trasformare la due diligence in uno strumento realmente efficace di tutela dei diritti umani, dell’ambiente e dell’accesso alla giustizia, oppure lasciarla scivolare definitivamente verso una promessa mancata».
*Foto presa da Unsplash, immagine originale e licenza
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