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LA CHIESA AUTOCTONA È FRUTTO DEL CONCILIO, NON DI UNA IDEOLOGIA. LA REPLICA DEI VESCOVI DEL CHIAPAS SUI DIACONI PERMANENTI

Tratto da: Adista Documenti n° 30 del 15/04/2006

DOC-1726. SAN CRISTÓBAL DE LAS CASAS-ADISTA. Ai 10 mila indigeni cattolici che il 24 marzo hanno sfilato per il centro di San Cristóbal de las Casas contro il divieto vaticano, valido a tempo indeterminato, di ordinare nuovi diaconi permanenti, i palazzi vaticani devono essere apparsi quanto mai freddi e lontani. Non si capacitano, gli indigeni del Chiapas, di come il papa abbia potuto mostrare tanta incomprensione nei riguardi di una necessità così vitale per le loro comunità come è quella del diaconato permanente, elemento essenziale della Chiesa autoctona di San Cristóbal. Così, all'ordine giunto da Roma (comunicato dal prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, il card. Francis Arinze, in una lettera indirizzata a mons. Felipe Arizmendi; v. Adista n. 24/06) essi hanno risposto con una processione ricca di simboli, fiori, immagini religiose, striscioni con la fotografia di mons. Romero e scritte come "Viva la Chiesa autoctona", "Viva don Samuel, don Raúl, don Felipe e don Enrique", i quattro vescovi che li hanno accompagnati lungo il loro cammino: il vescovo emerito Samuel Ruiz, l'indimenticato e indimenticabile vescovo degli indios; mons. Raúl Vera López, suo coadiutore (con diritto di successione) dalla fine del 1995 alla fine del 1999, quattro anni sufficienti a farlo amare dagli indigeni del Chiapas e a convincere il Vaticano dell'opportunità di spostarlo all'altro capo del Paese; l'attuale vescovo Felipe Arizmendi e il suo ausiliare Enrique Díaz Díaz, che, anziché normalizzare la diocesi, hanno provato a portare avanti il lavoro pastorale di Tatic (padre) Ruiz. C'erano entrambi, non a caso, alla processione del 24 marzo, ed entrambi hanno firmato la lettera aperta a Benedetto XVI scritta dalle diverse parrocchie della diocesi e dal Consiglio diaconale diocesano per convincere il papa a tornare sui suoi passi, e ad autorizzare l'ordinazione di nuovi diaconi permanenti (la riportiamo qui di seguito in una nostra traduzione dallo spagnolo).

Sul divieto vaticano i due vescovi sono intervenuti anche con un comunicato pubblicato in occasione del 17.mo Incontro diocesano dei diaconi permanenti della diocesi di San Cristóbal, di cui ha dato notizia l'Aci Digital, la stessa agenzia che aveva diffuso la lettera del card. Arinze. Nel documento, i due vescovi ricordano in primo luogo che quella decisa da Roma è solo "una sospensione temporanea" e che "gli attuali diaconi permanenti possono continuare a svolgere il loro ministero senza alcuna restrizione". "Accettiamo questa decisione - scrivono - con fede serena e speranza attiva, per quanto con sofferenza. Non ordineremo più diaconi permanenti, fino a quando tale porta non venga nuovamente aperta. Potremmo procedere a nuove ordinazioni, e avrebbero validità; ma sarebbero illecite e romperemmo la comunione ecclesiale, isolandoci e rendendoci una ‘Chiesa autonoma', cosa che nessuno vuole".

Non autonoma, ma autoctona: così essi vogliono la loro Chiesa. "Ci preoccupa - spiegano - che si definisca come ‘ideologia' il nostro sforzo di arrivare ad essere una ‘Chiesa autoctona'", perché "sebbene individuiamo limiti e deficienze, testimoniamo che si sta cercando di realizzare il progetto di una Chiesa autoctona secondo le indicazioni del Concilio": "cadremmo in un'ideologia , in un ‘isolamento ideologico', se il nostro progetto di Chiesa autoctona si confondesse con quello di una Chiesa autonoma. Non siamo, né intendiamo essere, una Chiesa autonoma".

I due vescovi negano di aver alimentato illusioni riguardo a "un diaconato permanente orientato verso il sacerdozio uxorato", come aveva evidenziato il card. Arinze nella sua lettera: tant'è, dicono, che, proprio per scongiurare tale pericolo, avevano persino introdotto nel Piano diocesano l'avvertimento che "non vi sono speranze che la Chiesa cambi la sua pratica, che viene dal Vangelo e da una tradizione di molti secoli" e che dunque essa "continuerà ad ammettere al sacerdozio solo uomini celibi". Ricordano i loro sforzi per favorire le vocazioni al sacerdozio celibe (grazie ai quali i seminaristi sono passati dai 16 del 2000 ai 34 di ora) ed esprimono la loro volontà di continuare a formare i catechisti, "non in vista di una possibile ordinazione diaconale immediata, ma per rafforzare il loro servizio nelle comunità, preparandoli per essere istituiti Lettori e Accoliti, e per dare loro il permesso di celebrare il battesimo e di presiedere ai matrimoni". Anche perché così, "quando lo Spirito Santo lo disporrà e si apriranno nuovamente le porte del diaconato permamente, alcuni di loro già saranno preparati per l'ordinazione".

Di seguito la lettera delle comunità della diocesi di San Cristóbal a Benedetto XVI. (claudia fanti)

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